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(26 Marzo 2011) Enzo Apicella
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Tsunami giapponese: le lacune umane e non la potenza della natura, sono le calamità reali

(18 Marzo 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Tsunami giapponese: le lacune umane e non la potenza della natura, sono le calamità reali

foto: www.radiocittaperta.it

L'onda, che ricorda la magistrale stampa xilografica di Hokusai, ha distrutto le passate difese litorali giapponesi dei frangliflutti portuali e i giganteschi sbarramenti a quattro piloni chiamati tetrapodi, sollevando le imbarcazioni sperondandole attraverso le dighe/argini e sbattendole contro i parcheggi del centro. Le aree marittime si svuotarono presto di automobili e le case trascinate verso l'alto e indietro nel mare. Onde alte fino a 10 metri impressionano, ma prima di reputarle inimmaginabili, considerate lo storico tsunami Sanriku che nel 1896 s'innalzò fino a 15 metri ed uccise 27 mila persone.
La potenza terrificante della natura, per quanto la possiamo temere, è semplicemente grande quanto lo è la vulnerabilità (causata dall'uomo) della nostra civilizzazione. Poco dopo il natale del 2004, ho volontariato nell'operazione di salvataggio il giorno successivo lo tsunami dell'Oceano Indiano e simultaneamente eseguito uno studio in campo sulle cause delle fatalità nella Tailandia meridionale. Il rapporto, rilasciato dalle università di Thammasat e Honk Kong, concluse che l'acqua alta non fu la sola causa del massiccio bilancio delle vittime – 230 mila decessi. No, sono gli edifici che uccidono – per essere specifici, strutture progettate male, senza vie di fuga sui tetti o, nella nostra avidità immobiliare, situate in lagune e letti fluviali drenati, o dentro interramenti ribassati. Nell'odierno disastro di Tohoku, un ultramoderno aeroporto come quello di Sendai rimase impotentemente allagato su tutti i lati mentre nelle vicinanze un mostruoso torrente nero spazzò intere case.
Altre minacce vengono costruite nelle vulnerabilità delle nostre infrastrutture cruciali e nei sistemi di alimentazione. Le palle infuocate ora sfornate da enormi serbatoi di gas ad Ichirara, nella prefettura di Chiba, non sarebbero possibilmente mai avvenute se precauzioni tecniche fossero state eseguite propriamente.
Molta gente ritiene che i meticolosi giapponesi siano tra i cittadini più responsabili del mondo. Come giornalista investigativo che ha trattato il terremoto di Hanshin (Kobe) e l'attacco al gas sarin nella metropolitana di Tokyo, entrambi del 1995, chiedo di dissentire. Il Giappone è migliore di altri nell'organizzare coperture ufficiali.

La crisi nucleare nascosta
La tendenza ricorrente di negare gli errori sistematici - “per evitare il panico” - è radicata nella determinazione di una burocrazia trincerata a difesa di se stessa piuttosto che in qualsiasi intento affermato di servire la nazione e la sua gente. Questa è la tacita regola in molti governi, e il Giappone non fa eccezione.
Dunque cos'è stato silenziato dopo il terremoto di magnitudo 8,8 su ordine del governo di Tokyo? Il mantra ufficiale è che tutte e cinque le centrali nucleari nel nordest sono messe in sicurezza e senza perdite. La verità nascosta è che almeno una di queste – la Centrale Nucleare Fukushima di Tepco – è in stato di emergenza ad un livello indicativo di una rottura interna causata dalla scossa. La centrale elettrica di Fukushima è una delle maggiori al mondo, con sei reattori ad acqua di ebollizione.

Nel corso dei decenni , il pubblico giapponese è stato rassicurato dalla Tokyo Electric Power Company che i suoi reattori nucleari sono preparati ad ogni eventualità. Tuttavia il mistero a Fukushima non è il primo problema dell'energia nucleare non dichiarata, ma solo il più recente. Nel 1996, nel mezzo di un incidente al reattore nella provincia di Ibaraki, il governo non ha mai ammesso che le perdite radioattive siano finite fino ai sobborghi nord-orientali di Tokyo. I giornalisti ottennero conferma dalle stazioni di monitoraggio, ma la stampa ebbe ordine di non pubblicare alcuna notizia allarmante, a dispetto delle circostanze. Per una nazione che ha vissuto sotto le nuvole atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la totale smentita diventa possibile perché il dito sul pulsante è ora il nostro.

Il popolo è la miglior difesa

Nonostante la dipendenza del paese all'energia nucleare che mantiene illuminati i neon sopra il famoso angolo di Shibuya, il Giappone rimane ancora la società meglio preparata ai terremoti, tsunami, conflagrazioni ed altri disastri. Ogni unità di lavoro, piccola o grande, ha un piano di risposta all'emergenza. L'odierna scossa di Tohoku ha colpito in un pomeriggio lavorativo, ovvero quando il personale in tutte le fabbriche e gli uffici poteva agire in squadra per domare piccoli incendi, chiudere i condotti di gas, prestare pronto soccorso e ripristinare i sistemi di comunicazione. Addirittura in molte case, i residenti hanno una torcia elettrica ricaricabile collegata ad una cavità e bottiglie d'acqua d'emergenza.

Il Giappone nord-orientale è preparato meglio delle altre zone perché, a seguito della scossa di Kobe, il Keidanren regionale, o la federazione delle organizzazioni industriali, sponsorizzarono uno studio approfondito sulla gestione del rischio e risposta alle crisi. Il personale del Keidanren di Tohoku, che era a conoscenza delle mie relazioni delle scosse di San Francisco e Kobe, mi ha chiesto di scrivere un articolo dando priorità alle preparazioni del disastro.

Primo nella mia lista c'era una rete di comunicazione basata sulla gente, come la banda radio che permise ai nord-californiani di autorganizzarsi dopo il terremoto del 1989 nonostante le interruzioni energetiche. Questo portò ad una rapida installazione di nuove torri di telefonia mobile attrezzate con batterie di riserva. Secondo punto fu la generazione di energia indipendente nelle maggiori fabbriche in modo che questi grandi impianti potessero ricaricare le batterie, fornire illuminazione e pompare l'acqua ai quartieri nelle vicinanze e, se necessario, offrire rifugio, servizi igienici, e cure mediche. Questi sistemi devono essere utilizzati routinariamente – almeno nei fine settimana – cosicché l'attrezzatura venga verificata regolarmente e il personale rimanga famigliare con le operazioni.

Terzo, e più importante, è l'abilità degli individui di raccogliersi come comunità autosufficienti. A Kobe, la società è collassata sotto un senso di sconfitta personale. A San Francisco, al contrario, i vicini hanno allungato le loro mani come amici e hanno aperto le loro porte, le scorte alimentari e i cuori alle vittime e i loro congiunti. Senza solidarietà, ognuno di noi è davvero molto solo.

Come membri delle comunità che possono improvvisamente trovarsi indifesi di fronte a pericoli impensabili, dobbiamo agire per disinnescare la “bomba” mortale che ci fornisce illuminazione, energia per gli elettrodomestici e l'aria condizionata. La prevenzione delle prossime Chernobyl e Three Mile Island inizia quando smettiamo di credere ingenuamente all'efficienza dell'uranio (e del resto della pulizia e salubrità del carbone “pulito”).

Il Giappone ha in mare aperto vaste risorse eoliche non sfruttate, l'unica alternativa pratica all'energia nucleare e ai combustibili fossili. E ancora la lobby nucleare, le compagnie carbonifere e le grosse multinazionali del petrolio hanno spinto il governo e l'industria a rifiutare testardamente l'investimento nella progettazione di turbine, inclusi rotori a levitazione magnetica che eliminino il bisogno di dover sopportare grandi sforzi per l'approvigionamento energetico. A definite tappe dell'evoluzione sociale, giunge un messaggio inequivocabile di lasciarci alle spalle le nostre coperte logore e cavalcare l'onda del futuro. Lo tsunami è solo un segnale derivante dagli abissi oceanici per risvegliare il Giappone, come un leader tecnologico, per spingere molto più in fretta verso un mondo più pulito, più verde e più sicuro.

*Yoichi Shimatsu, ex-editore del Japan Times Weekly, ha coperto i terremoti di San Francisco e Kobe, partecipato nelle operazioni di salvataggio immediatamante successive allo tsunami dell'Oceano Indiano nel 2004 e guidato gli studi di campo per un rapporto architettonico sui difetti della progettazione che portarono al bilancio dei morti in Tailandia.

Yoichi Shimatsu*

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