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La retorica della patria

(19 Marzo 2011)

Nulla ci è stato risparmiato, proprio nulla. Rutelli che parla di sangue per la patria versato mentre il leghista Speroni gli fa notare che forse era meglio che nessuno lo versasse, i parlamentari in seduta congiunta che “spontaneamente” cantano tricolorati l’inno di Mameli, quel misto di cascami della romanità (elmo di Scipio e coorte) e voluttà di martirio, un grande attore come Giancarlo Giannini che legge una delle più brutte poesie di Manzoni (incentrata su sangue, religione, suolo, un migrante con la bandiera italiana, la strada di casa mia tricolorata come quando gioca l’Italia, Bersani patriottico che s’inventa che i ministri giurano non solo sulla Costituzione ma anche sulla bandiera, una compunta Rosi Bindi in atteggiamento rispettoso, quasi davanti al sacro tabernacolo, ai piedi di quell’orrenda torta di zucchero chiamata altare della patria. Persino il presidente della Repubblica che s’inchina davanti alla tomba dell’antenato di quel re che abbandonò Roma sotto le bombe dei suoi ex alleati nazisti per scappare verso una Brindisi ieri imbandierata come capitale d’Italia per qualche mese (ma nessuno ha detto perché), il tutto davanti ai Savoia opportunamente transennati con Vittorio Emanuele cacciatore di sub e il suo rampollo portato agli onori di Sanremo come partner di Pupo e candidato dall’Udc a rappresentare l’Italia in Europa.
Sì, nulla ci è stato risparmiato. Ignorati Carlo Pisacane, il massacro di Bronte ordinato da Nino Bixio, le minoranze laiche e anticlericali. Anzi, tutti a messa dal cardinal Bagnasco. Sembra un elenco di situazioni grottesche, ma non è così. D’altronde, la manifestazione pro Costituzione del 12 marzo era all’insegna del tricolore: vietate bandiere “altre”, perché «il tricolore ci unisce tutti», come ha dichiarato Oliviero Diliberto.
E’ vero che i dirigenti del Pci nella retorica semplificatrice dei comizi dichiaravano che il movimento operaio (e il Partito comunista) con la Resistenza aveva sollevato la bandiera italiana dal fango in cui l’avevano gettata i fascisti e i loro complici, ma con quella affermazione, se non mi fa velo il ricordo di parte, si voleva alludere alla nuova “nazione”, a Di Vittorio e alla dignità che il movimento operaio aveva ridato alla “nazione” italiana dopo la vergogna del ventennio fascista. Ora i sedicenti del Pci cantano insieme agli eredi del fascismo e si ammantano di quel tricolore che per decenni è stato “di parte”, cioè di destra, e mostrano di ignorare che con quel tricolore i soldati di quel Regno d’Italia di cui celebriamo acriticamente i 150 anni massacrarono le popolazioni africane durante un colonialismo precursore del fascismo.
Questa è la grande strategia di una cosiddetta Sinistra che pensa di combattere la Lega ammantandosi di retorica patriottarda e nazionalista ed è convinta di combattere la Lega da una parte assumendo localismi e plebiscitarismi, dall’altra strizzando l’occhiolino allo statalismo democristiano di Casini e alla destra patriottica di Fini. Insomma per acquisire meriti presso gli anticomunisti di sempre, i post-comunisti si travestono ogni giorno di più in una triste mascherata, fino a rendersi via via sempre più irriconoscibili. Persino a se stessi.

Imma Barbarossa - Liberazione

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