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Libia. Contro l'intervento, per la rivoluzione!

(19 Marzo 2011)

“Ci sono dei momenti in cui la democrazia ha bisogno di fatti.
Più utile che invocare le piazze pacifiste è agire per fermare i regimi, per sostenere le fragili democrazie, per accogliere i profughi.
Oltre che prefigurare i danni di un intervento Nato, va messo in campo ciò che serve affinché i libici possano riprendere autonomamente in mano il proprio destino”.
( lettera aperta della Direzione Nazionale Arci sul “Manifesto” del 9/3)


L’America tenta di arginare il proprio indebolimento relativo sullo scacchiere delle potenze mondiali, contendendo all’Europa la battaglia per un miglior insediamento economico e militare in medio oriente.

L’U.E., sotto il novello duetto militarista anglo-francese, ritrova una sfilacciata unità, seppur contraddittoriamente frenata dal realismo renano.

L’Italia offre le proprie basi e si mette a disposizione degli ordini NATO, allineando e coprendo tutte le località topografiche parlamentari.

In mediooriente, tutti i fantocci americani si predispongono al nuovo intervento umanitario, sciacallando sulla prossima fine di un loro pericoloso concorrente.

Russia e Cina, in chiave antiamericana, ma anche in difesa degli interessi concorrenti nell’area mediorientale, fanno gli attendisti anteponendo il profitto al “diritto internazionale”.

L’ONU, cui spesso si sono appellati i belati pacifisti, si fa strumento dell’ennesimo intervento militare condito in salsa umanitaria, a coprire l’ultimo capitolo del riequilibrio nei rapporti di forza tra potenze e blocchi imperialisti.

per il proletariato
SOLO NEMICI!

La linea filomediorientale e filolibica di ogni governo della repubblica borghese Italiana viene contraddetta dal nuovo corso della competizione pluripolare e costretta dai vincoli del patto euroatlantico.
Tutti uniti, governo ed opposizione, con l’interessata astensione di lega ed i.d.v., i parlamentari votano ancora una volta i crediti di guerra, adeguandosi docilmente ai dettami dell’O.N.U. ed a quelli della asimmetrica cooperazione rafforzata europea.
I pacifisti, annegati dopo il fallimento del loro “mondo possibile”, ormai incapaci di ogni mobilitazione che non sia il solito piagnisteo di gruppo, impegnati in tutte le campagne elettorali e referendarie, perdono anche la possibilita’ di appello all’O.N.U. o ad una U.E. piu’ interventisti che mai.
I tifosi dei “colonnelli antimperialisti”, strenui difensori di ogni satrapo dittatore oltreche’ di un mondo che non c’è piu’, finiranno con lo schierarsi contro il popolo libico di cui spesso, a torto, si riempiono la bocca.

Noi, che non abbiamo mai avuto stati guida, che non abbiamo mai scambiato un ambiguo “antiamericanismo” per antimperialismo, che non ci siamo mai appellati ad alcuna “comunità internazionale” né ad alcuna Europa progressista, ribadiamo la nostra opposizione alla guerra, a tutti i suoi protagonisti, “attaccanti o attaccati” che siano.
Non abbiamo da schierarci da alcuna parte, con nessuna banda armata, ma solo contro tutte le bande armate, quelle internazionali come quelle autoctone, entrambi massacratrici del proletariato libico.
Di certo, il proletariato mediorientale paga la mancanza di una internazionale proletaria capace di opporre alla forza armata nazionale ed internazionale borghese una forza armata internazionale proletaria, un processo di liberazione da tutti i rais.
Di certo, nostro dovere internazionalista, pur coscienti della sproporzione di forze e di attrezzatura combattente, è l’opposizione e la lotta contro i nostri padroni, qui ed ora, nel nostro paese.

Al di la delle parole e delle eventuali sfilate,
è la nostra prospettiva strategica.
Contro l’intervento, per la rivoluzione
La rivolta dei popoli del Nordafrica e Medio Oriente ha cacciato i tiranni di Tunisia ed Egitto, ma la brezza della libertà potrebbe avere vita breve, perché il potere resta in mano agli eserciti, armati dagli imperialisti, che avevano espresso e sorretto i tiranni. In Bahrein il sultano ha chiamato le armate reazionarie d’Arabia come un tempo i tiranni d’Europa chiamavano le armate dello zar. Nello Yemen solo ieri la polizia ha ammazzato 41 manifestanti. In Algeria, Marocco, Giordania la repressione non ha posto fine alle proteste.
In Libia la rivolta ha trionfato in Cirenaica, ma da Tripoli, dove ha raddoppiato gli stipendi, il tiranno Gheddafi ha lanciato l’offensiva per la riconquista.
Ora le grandi potenze lanciano una nuova “guerra umanitaria”. Come contro la Serbia, contro l’Iraq e l’Afghanistan l’ONU serve come foglia di fico per coprire i loro sporchi interessi, che in Libia si chiamano petrolio e gas. L’iniziativa è partita da Francia, Gran Bretagna e USA, che hanno visto l’occasione per scalzare il predominio italiano sull’ex colonia, come già avevano fatto dopo la Seconda Guerra Mondiale.
L’Italia, governo e opposizione uniti, fa cinicamente buon viso a cattivo gioco e partecipa all’aggressione contro il tiranno che fino a ieri i governi Prodi e Berlusconi hanno coccolato, riverito, lodato, coprendolo di denaro e armi – quelle stesse armi con cui ora cerca di sopprimere la rivolta – in cambio di petrolio, gas, commesse e repressione degli immigrati africani. Come altre volte nella storia l’imperialismo italiano salta sul carro del più forte, per essere invitato al banchetto.
Noi diciamo no all’intervento delle potenze imperialiste, perché esso non intende salvare, ma soffocare la rivoluzione in Libia!
L’insurrezione in Libia non si salva se al posto del tiranno sostenuto da alcune potenze si sostituisce un governo addomesticato da altre potenze. Può trasformarsi in rivoluzione vittoriosa se vengono mobilitate tutte le energie del proletariato, se a fianco dei lavoratori libici vengono armati anche i due e più milioni di lavoratori immigrati da Egitto e paesi arabi, dall’Asia e dall’Africa, che hanno costruito gran parte di ciò che esiste in Libia, ma sono tenuti in condizione di semischiavitù.
L’altro ieri non abbiamo festeggiato il 150° dell’unità di un’Italia costruita sullo sfruttamento dei lavoratori a vantaggio di capitalisti e parassiti, che ha partecipato a due massacri mondiali e massacrato centinaia di migliaia di uomini e donne in Libia, Etiopia, Somalia, e che ancora oggi nega il lavoro a milioni di giovani e i diritti a centinaia di migliaia di immigrati.
Ieri 18 marzo era il 140° anniversario della Comune di Parigi, il primo governo operaio della storia. Che le rivolte di Tunisia, Egitto, Libia non si fermino a metà strada, ma spazzino via gli eserciti e gli Stati di sua maestà il Capitale! Che nuove Comuni di Parigi sorgano nei paesi a giovane capitalismo, che la fiaccola della rivoluzione dal Nordafrica si propaghi a tutti i continenti, e giunga ai nostri paesi di vecchio capitalismo!
Organizziamo una opposizione rivoluzionaria all’interventismo imperialista, e la solidarietà con i proletari in rivolta!

COMBAT

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