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Esperti militari italiani in Libia

Esperti militari italiani in Libia

(21 Aprile 2011) Enzo Apicella
Il governo italiano ha deciso di inviare esperti militari a Bengasi, roccaforte dei ribelli libici

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L’impero attacca in Libia, Bahrein, Yemen, Siria......

(20 Marzo 2011)

Siamo ad un nuovo passaggio della crisi globale, quello in cui le insorgenze che hanno scosso il dominio del capitale sono ora sottoposte ad un attacco militare globale da parte dell’Impero, colto in un primo momento di sorpresa dalla capacità di reazione e di lotta della moltitudine.

Se in Europa e negli USA le lotte in autunno hanno segnato il passo a fronte di una loro gestione opportunistica e di carenze programmatiche, ora il clima politico, anche grazie all’entusiasmo creato dal successo delle lotte sociali in Tunisia ed Egitto, è acceso e insorgenze si iniziano a determinare un po’ ovunque (Wisconsin, Ohio, ecc) mentre il mondo arabo è attraversato da fermenti rivoluzionari centrati sulla richiesta di giustizia sociale, diritti e democrazia vera ed in Giappone sono apparsi evidenti i limiti del modello neoliberista di sviluppo societario, basato su un uso del territorio che non riesce a tenere conto della complessità delle variabili ambientali.

Per questi motivi mentre nello Yemen la polizia apre il fuoco sui manifestanti, uccidendo più di 50 persone ed in Bahrein le truppe di invasione dell’Arabia Saudita e di altri emirati del Golfo attuano tecniche cilene nel perseguire quanti sostengono la protesta contro la locale teocrazia, una nuova “coalizione di volenterosi” attacca la Libia, dove invece l’insorgenza nata nella parte est del paese non era riuscita ad estendersi alle altre regioni.

Premesso che ogni processo rivoluzionario deve raggiungere in piena autodeterminazione le finalità che si prefigge, appare evidente che il caso libico ha una sua peculiarità, con una struttura clanica che rende non equa la distribuzione della rendita petrolifera tra le tre grandi etnie del paese, un clan vincente che sotto la direzione di Gheddafi molti anni fa ha marcato una autonomia politica, economica, culturale e militare sconosciuta a tutti gli altri paesi arabi, mentre più recentemente ha messo a disposizione intere regioni della Libia per i processi di delocalizzazione produttiva.

Ora, se quel coacervo di etnie che noi chiamiamo “libici” fossero riusciti da soli a sbarazzarsi di Gheddafi, saremmo stati contenti.

Ma quando interviene l’Impero, la natura della rivolta cambia profondamente, in primo luogo perché i rivoltosi, qualora vincessero, si troverebbero a scrivere il loro programma sociale con le pistole imperiali puntate sulla loro testa e verrà loro riconosciuto un solo diritto, quello di essere precari a vita, come da noi.

In secondo luogo in una area rivoluzionaria si installeranno altre basi dei servizi segreti imperiali, che cercano disperatamente di recuperare terreno rispetto all’attivismo sociale che pervade quella parte del mondo.

Occorre poi considerare che la Nato non è mai riuscita a mettere piede in Africa, tanto che Africom si trova ora a Vicenza ( sic!): sarà difficile rifiutare la concessione di basi alla coalizione dei volenterosi, nel caso in cui il loro appoggio si rivelasse determinante.

Quindi non vi è alcun motivo per non condannare l’intervento militare imperiale nel Maghreb e per non differenziarsi dalle posizioni guerrafondaie che accomunano Napolitano, Fini, Casini e Vendola.

La giustizia sociale, i diritti e la democrazia per cui lottano nello Yemen, in Bahrein, in Libia e in altri cento paesi è la stessa per cui lottiamo anche noi.

Nessuno si illuda che queste conquiste viaggino sulle dei caccia bombardieri imperiali.
Da domani iniziamo la mobilitazione sociale contro la guerra imperiale alle moltitudini in rivolta.

Carlo CSA PG

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