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Il predellino

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(29 Marzo 2011) Enzo Apicella
Guerra in Libia. Videoconferenza tra Obama, Merkel, Cameron, Sarkozy. Il governo italiano non è invitato

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    (Imperialismo e guerra)

    NEOCOLONIALISMO ITALIANO
    TRA GUERRA IMPERIALISTA E CRISI LIBICA

    (29 Marzo 2011)

    Dopo Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, lo Stato italiano è di nuovo in guerra. Adesso contro la Libia, da opportunista come sempre. Garantisti e costituzionalisti alla Napolitano, arrivano persino a calpestare la “loro” carta costituzionale come l'art. 11, che testualmente recita: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; ...”.
    Nella fattispecie libica Napolitano se l'è sbrigata con un “faremo quel che è necessario...”. Dove il “necessario” è l’utile alle multinazionali che lucrano sui popoli e lucreranno anche con questa guerra.

    Dopo i baciamani, le frecce tricolori a Tripoli, le escort a lezione di Corano e presidenti del Consiglio a lezione di bunga-bunga, a condimento degli sporchi affari di oppressione e sfruttamento, peraltro sanciti da un Trattato di “amicizia” italo-libico, ratificato in maniera bipartisan - quasi all’unanimità - dal Parlamento italiano (6 febbraio 2009), è arrivato il momento per i moderni savoiardi, di abbandonare l'alleato caduto in disgrazia al suo destino.
    In nome dei “diritti umani”, che sono ad uso e consumo di un drappello di monarchici cirenaici, mentre finora sono stati spietatamente negati a decine di migliaia di africani, lasciati marcire e morire nei lager libici, impiantati proprio in ottemperanza a quel famigerato Trattato (art. 19 “Collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all'immigrazione clandestina.”).
    Si può affermare che questo ennesimo tradimento di alleanza, sia stato imposto ai voltagabbana italiani obtorto collo dalle altre potenze imperialiste, sentitesi emarginate da quel trattato e fermamente decise a ridistribuire manu militari la torta libica, ricchissima d’idrocarburi.

    L'aggressione alla Libia è una guerra imperialista. Per questo va contrastata senza indugi. Quel che appare dubbio è che si sia di fronte ad uno scontro tra imperialismo ed antimperialismo. Come strumentalmente prova a gestire il governo libico e come, purtroppo, argomentano alcuni ingenui a sinistra, che rievocano le virtù del secolo scorso del leader libico, dimentichi dei vizi filoimperialisti da questi accumulati nell’attuale secolo.
    La sovranità nazionale e la proprietà popolare libiche sono da tempo appassite, sacrificate con la formale rinuncia del controllo delle proprie frontiere (come sancito, ad esempio, nel Trattato in oggetto) e con la svendita delle risorse energetiche alle multinazionali del settore (Eni in primis). Per non parlare della fattiva e pervicace collaborazione nella cosiddetta “lotta al terrorismo” di matrice imperialista, che da un decennio sta insanguinando le terre dalla Palestina all’Afghanistan e di cui hanno fatto le spese, grazie ai libici, molti militanti arabo-mussulmani. In particolare palestinesi e libanesi.
    Per non parlare del ruolo di gendarme antimmigrati a protezione della fortezza razzista europea, in cambio di crediti e dell’accesso nei salotti buoni del capitale finanziario imperialista (in Italia: Fiat, Unicredit, Eni, ecc.); quindi partecipando attivamente allo sfruttamento capitalistico del proletariato italiano, anche facendolo in esclusiva, attraverso aziende come la Tamoil.

    Gheddafi ha la gravissima responsabilità di aver voluto giocare sul tavolo truccato delle potenze imperialiste, dove il banco vince sempre. Come hanno amaramente verificato tutti quelli che, precedentemente, vi si sono avventurati, dai Balcani alla Mesopotamia.
    Con l’imperialismo non si gioca e non si scherza, chi ci ha provato è stato, prima o poi, fagocitato o annientato. Questa è la lezione storica, che Gheddafi ha ignorato per sua ingordigia, giocandosi Libia e libici sui tavoli delle oligarchie. E l’imperialismo ora passa all’incasso.
    Sui cosiddetti insorti, c'è poco da dire: chi si fa accogliere a corte dalle potenze coloniali ed invoca spudoratamente i loro bombardamenti sul proprio paese, evidentemente è disinteressato alla sovranità e all'indipendenza del proprio popolo. Così come organizzarsi sotto i vessilli di una monarchia feudale, non sembra proprio essere sintomatico di una prospettiva di sviluppo progressista.

    La chiave di lettura principale di questa guerra è che si tratta di un conflitto inter-imperialista, che prosegue la politica della competizione internazionale con altri mezzi, cercando di sfruttare la conclamata debolezza del regime nordafricano. Divide et impera, come sempre, è il principio di riferimento delle potenze capitaliste. Quello in corso è soprattutto uno scontro tra differenti fazioni del capitale europeo (anglo-francese e italo-tedesco) che, d’accordo sulla spartizione della torta libica, stanno ora decidendo le dimensioni delle rispettive fette. Gli strumenti in loco sono rappresentati dai lealisti gheddafiani che nel corso degli ultimi anni hanno stretto un accordo strategico con l'asse imperialista italo-tedesco, mentre i monarchici antigheddafiani sono stati “coltivati” dall'imperialismo anglo-francese. Le contraddizioni ed i contrasti emerse in sede Nato lo dimostrano chiaramente. Mentre come outsider pronti ad occupare i posti vacanti, sullo sfondo s'intravedono Russia e Cina che, pilatescamente, in sede Onu, se ne sono lavate le mani.

    In tutti i casi lo scatenamento della guerra imperialista, tenuto conto della debolezza strategica del regime gheddafiano, presuppone due sole alternative: l'immediato cambio di regime sotto la spinta congiunta dei bombardieri occidentali e la conquista di terreno da parte dei monarchici - allo stato attuale improbabile -, oppure una lunga guerra di logoramento - come contro l'Iraq - che prevede la divisione della Libia in due (Tripolitania sotto Gheddafi e Cirenaica agli insorti), con sanzioni ed assedio per il restante regime di Gheddafi, fino al soffocamento di quest'ultimo. Tutto a vantaggio delle mire di spartizione imperialiste.
    L'unica sorpresa (positiva) potrebbe essere che il popolo libico, presa coscienza dei pericoli che incombono sul proprio futuro, decida di prendere in mano il proprio destino, contrastando decisamente l'aggressione, sbarazzandosi dei collaborazioni filoimperialisti ed infine “pensionare” il rais e la sua cricca, per i danni che hanno provocato con i loro ambigui affari economici e doppiogiochismo politico-diplomatico.

    Purtroppo, come per le rivolte tunisine ed egiziane, anche quella libica ha il pregio rivoluzionario di aver messo in movimento le masse, che di per sé è un fatto storico di fondamentale importanza. Il difetto è che nell'immediato, carenti di un programma sociale e politico alternativo ai sistemi di potere contro cui si sono ribellati, in questa fase, le stesse rivolte possono essere facile preda di manipolatori e collaborazionisti eterodiretti dalle potenze occidentali, che vogliono cogliere l'occasione per sostituire gli storici satrapi di riferimento con altri meno impresentabili. Cambiando tutto in apparenza, per non cambiare niente nella sostanza. A lungo termine, però, i popoli in movimento scopriranno l'inganno e la necessità di salvarsi li doterà di programmi ed organizzazioni in grado di rivoluzionare i sistemi da cui sono oppressi.
    Per l'Italia e, soprattutto, per il proletariato italiano vale lo stesso principio. Senza dotarsi di un programma ed un'organizzazione rivoluzionaria, c'è poco da fare e da dire. Però quel poco che si può e si deve fare è sottrarsi alla complicità di guerra richiesta dalla borghesia che, grazie alla passività delle masse, sta trasformando il popolo in popolo neocolonialista.

    Opporsi alla guerra imperialista condotta dallo Stato delle multinazionali, sottrarsi alla complicità di guerra e denunciare l'incapacità dei padroni a rappresentare una prospettiva di salvezza popolare. Questo “poco” si può, si deve fare. Differentemente, come affetto dalla sindrome di Stoccolma verso i propri aguzzini di classe, il proletariato italiano andrà spedito verso il disastro, dal quale sarà impossibile salvarsi.

    - NO all’intervento armato dello Stato italiano
    - NO alla guerra imperialista
    - NO al collaborazionismo di classe guerrafondaio
    - FUORI l’Italia dalla Nato
    - PER l’autodeterminazione dei popoli
    - Mobilitarsi contro la guerra: dalla Libia all’Afghanistan

    23 marzo 2011

    LOTTA e UNITA’
    per l’organizzazione proletaria

    Fonte

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