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Serva dell'imperialismo

Serva dell'imperialismo

(19 Marzo 2011) Enzo Apicella
Il governo italiano mette a disposizione 7 basi militari per l'attacco alla Libia

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Perché non difendo Gheddafi

Risposta ai critici "super-anti-imperialisti"

(31 Marzo 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Ho ricevuto diverse critiche per quanto scritto sugli avvenimenti libici. Mi riferisco anzitutto ai due articoli del 25 febbraio «Se Gheddafi tira in ballo Bin Laden», e del 2 marzo «Via Gheddafi, senza se e alcuni ma». Secondo i critici è sbagliato sostenere la "cosiddetta rivolta”, mentre occorre appoggiare Gheddafi, e quindi la sua controffensiva militare per schiacciare gli insorti. Non tutte le obiezioni hanno lo stesso segno, né il medesimo linguaggio acrimonioso. Per meglio comprendere ciò di cui sto parlando, ne consegno ai lettori le tre che mi paiono più significative.

«Moreno, puoi citare, da buon cattotrotskysta, tutti i Vangeli secondo San Matteo che vuoi, e fare ora, alla mal parata ("fino a prova contraria", eh già...), ogni possibile arrampicamento trotskotalmudico sugli specchi. Rimane "alla storia" (si fa per dire) che tu, che ti credi grande analista e stratega e sei invece tanto presuntuoso quanto scemo, hai spudoratamente appoggiato un tentativo di putch mafioso-tribale dei più reazionari musulmani monarchici vaganti tra i deserti nordafricani e Londra, Parigi, Washington. Complimenti vivissimi!... E siccome sei, appunto, un fine interprete dei fatti storici, eri e rimani convinto che quest'ennesima rivoluzione manco più colorata avrebbe condotto, condurrà le fantamasse "operaie e contadine" a un rivolgimento epocale in senso "anticapitalista", "socialista". Sì, sì. Se per caso le canaglie anglogiudamericane riusciranno a trovare l'apposito via libera politically correct per scatenare il bombardamento e l'invasione della Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista, te ne accorgerai... Anzi, è probabile neanche allora. La lingua di legno si associa sempre alla testa di pietra. "La Libia, ci dice Del Boca, è uno 'stato-nazione fallito'. Lo è appunto perché dal tessuto sociale arcaico beduino, strutturato per tribù e clan, non è riuscito a sorgere uno Stato-nazione." Sei tu, povero cretino, e il tuo bel maestro, ad essere un completo fallito. I "beduini" libici, che hanno saputo conquistare l'indipendenza dai vampiri coloniali e sono riusciti a rendere il proprio Paese uno dei più avanzati ed equi del continente, quanto a loro, non vi vedono neanche in cartolina e difenderanno sino all'ultimo uomo la loro patria. Hanno tutta la mia ammirazione. LIBIA LIBERA!» (F.J. 13 marzo)

«Moreno! ma cosa volete che la NATO bombardi Tripoli, per fare le vostre belle e idiote manifestazioni pacifiste?. MORENO! BASTA! Stanotte le milizie popolari lealiste riprenderanno il controllo delle vie per Bengazi, e saranno accolte dalla sollevazione lealista a Bengazi.
Poi a tenaglia: e vaffanculo ai golpisti senussiti pilotati da Londra e ai loro tanti amici falliti (INCLUSI I CANI ROGNOSI DELLA LEGARABA E I FALLITI DELL'UNIONE AFRICANA).
QUANTO ALL'UE: SARKOSI E BERLUSKETTO...EH!EH! IN LIBIA è battaglia di terra, più qualche colpetto mirato dal cielo. solo militare. E forza BRICS!!! Se allende avesse avuto l'aviazione fedele, altro che camposanto antimperialista!!!
E ABBASSO I PACIMINKIA!!! Siamo in guerra! per la guerra di resistenza! guerra alla guerra!
*saluti dai nostri amici: hanno tutti un bel mitra in mano»! (MDM, 14 marzo)

«Le domande sorgono spontanee leggendovi.
Che cosa sarebbe questa "genuina rivolta popolare sull’onda di quelle limitrofe (in orizzontale)" ? Rivolta "in orizzontale" ? Dove, quando, come e perché ? Chi sono questi "ribelli"? Li avete mai visti ? A parte le interviste fake comparse sui media imperialisti, con persone (chissà chi) riprese chissà dove che parlano chissà quale dialetto arabo che dicono di "volere la libertà" (quale libertà" ?): sapete chi sono questi e che cosa vogliono di preciso ? L'hanno mai detto, chessò - una conferenza stampa, interviste, pubblicazione di manifesti programmatici ? L'unico segno è la bandiera di Re Idris (bella, eh !). E poi ? A parte i nomi di Jalil e Yunis (70enni ex-funzionari della Giamahiria passati dall'altro lato nel giro di mezza giornata, chissà perché), quali sono gli altri nomi ? Perlomeno quello dei capi ? E poi, secondo voi, perché le forze gheddafiane stanno avanzando con tanta facilità ? Perché radono al suolo tutto ? Suvvia !
O forse perché effettivamente una vera resistenza non c'è - i ribelli sono quattro gatti arrivati da chissà dove - non ci avete pensato ? A me questa storia sembra tutta una farsa». (C.R. 14 marzo).

Sorvoliamo sui toni e lo stile delle critiche. Andiamo alla sostanza e proviamo ad individuarne i momenti o argomenti portanti. Successivamente li sottoporremo alla verifica degli avvenimenti e delle obiezioni ragionevoli, per vedere se ne resta in piedi qualcosa.

Gli argomenti topici dei miei critici sono i seguenti: (1) La rivolta è in realtà un "Colpo di stato senussita"; (2) Si tratta di un Colpo di stato reazionario perché la Jamahiria, sarebbe «Araba, Popolare e Socialista»; (3) I golpisti sarebbero poi pilotati da Londra e manutengoli di USA e NATO; (4) Dati questi tre postulati facile dedurne il teorema: i lealisti gheddafiani vanno appoggiati senza se e senza ma; (5) C’è un quinto aspetto, che precede gli stessi postulati, che cioè tutto ciò che noi sappiamo di quanto accade da quasi un mese in Libia, è propaganda occidentale e quindi la “rivolta” sarebbe una “farsa”, una costruzione della propaganda occidentale.

Dietrologia paranoica

Davvero tutto quanto sappiamo degli avvenimenti libici è una caterva di bugie diffuse artatamente dalle centrali imperialiste della propaganda? Vero è che nei primi giorni i media, quelli arabi compresi, hanno sparato notizie di genocidi inesistenti, inventando bombardamenti a tappeto e fosse comuni. Erano i primi giorni dell’insurrezione scoppiata in Cirenaica. Immediatamente dopo, tuttavia, uno sciame di giornalisti e reporter ha raggiunto la Libia, iniziando ad inviare una messe di informazioni di prima mano, sia sulla dinamica del conflitto, sia sui suoi protagonisti. Esiste forse una Spectra, una centrale di disinformazione mondiale di cui tutti i giornalisti inviati sul campo sarebbero zelanti funzionari? Ovvio che no. Molti giornalisti sono evidentemente embedded, ideologicamente imperialisti, se non addirittura al servizio delle diverse intelligence. Altri non lo sono affatto e, per quanto anche ai loro racconti occorra fare la tara, i loro reportage di guerra sono strumenti preziosi di informazione. Il caso iracheno è lì a dimostrarlo. Abbiamo saputo di più sulla Resistenza irachena, delle sue ragioni e dei suoi protagonisti, che dai protagonisti stessi. Potremmo citare centinaia di esempi, i quali mostrano che proprio i giornalisti americani e inglesi hanno saputo scavare a fondo, spiegare, denunciare fin’anco le malefatte e i crimini degli occupanti. Non abbiamo forse saputo proprio da questi giornalisti della battaglia di Falluja e dell’uso del fosforo bianco, delle tante stragi, della vergogna di Abu Ghraib? E non sono stati alcuni giornalisti a smentire le versioni ufficiali dei comandi militari USA?

Di sicuro niente va preso a scatola chiusa. Ogni notizia va verificata, controllata. Ma solo dei complottisti paranoici potrebbero liquidare tutto quanto passa sui media come menzogna. Aimé questo approccio è tuttavia ben radicato in certi ambienti i quali, paradossalmente, paiono fare loro la visione del mondo dei servizi segreti per i quali, appunto, il mondo che vediamo è solo una rappresentazione falsa, che tutto quanto vediamo è fallace, che dietro ad ogni evento c’è lo zampino e/o l’eterodirezione di poteri occulti. Siccome tutto quanto ci vien detto è falso, i complottisti ne deducono o che la verità non esiste, o che, per conoscerla, è sufficiente affermare l’esatto contrario di quanto ci viene somministrato dai media. E’ quello che chiamo “dietrologia paranoico”.

Rivolta popolare o Colpo di stato?

Ma qual è la differenza fra i due? Celeberrimo è il testo di Curzio Malaparte Tecnica del colpo di stato. Come si sa per Malaparte la Rivoluzione d’Ottobre non fu che un impeccabile Colpo di stato ordito dai bolscevichi con a capo Trotsky, e di cui la mobilitazione delle masse fu soltanto un orpello, un’astuta mess’in scena. La tesi del Malaparte, successivamente ricredutosi, è alquanto semplice: in base ad un disprezzo aristocratico per la “folla”, ed alla considerazione per cui il popolo è nulla di più che un branco di pecoroni che seguono il demagogo del momento, Malaparte riteneva che ogni lotta per conquistare il potere manu militari, in quanto tale, deve giocoforza culminare in un Colpo di stato.

Questa tesi è ovviamente sbagliata. Una rivoluzione si distingue dal Colpo di stato sia per il contenuto che per la forma. Per il contenuto perché una rivoluzione non si limita a cambiare la composizione del personale politico dirigente di un dato sistema politico-sociale ma, consegnando il potere a classi e gruppi sociali prima oppressi ed esclusi, tende a demolire le fondamenta del vecchio sistema sociale e a costruirne sulle sue ceneri uno nuovo. Si distingue di conseguenza anche per il metodo, poiché le classi e i gruppi prima oppressi, essendo esclusi dalla sfera del dominio statuale, possono salire al potere, non grazie ad una congiura di Palazzo, ma solo sull’onda di una mobilitazione rivoluzionaria extra e anti-istituzionale.

Ora, che la sollevazione contro il regime di Gheddafi sia un golpe, con tutto il rispetto, è una tesi, non solo goffa ma letteralmente ridicola. Buffo Colpo di stato, infatti quello per cui, mentre i palazzi del potere stanno a Tripoli (Governo, Quartier generale dell’esercito, stazione Tv e radio, ministeri, comandi degli apparati di sicurezza, ecc.), l’assalto avviene a duemila Km di distanza, a Bengasi. I sostenitori del putsch vogliono forse dirci che per Golpe, intendono non solo che non c’è stata alcuna verace mobilitazione di popolo, ma se quest’ultima c’è stata è consistita solo una pagliacciata, poiché dietro c’erano alti papaveri del regime. Una congiura insomma.

Vero è che all’inizio non vi erano a Bengasi, a Tobruk, a Misurata o a Ajbadiya “osservatori imparziali”. Successivamente, tuttavia, sono state raccolte centinaia di testimonianze in base alle quali non vi può essere alcun dubbio sulla dinamica dei fatti, ovvero che la rivolta è scoppiata spontanea, animata anzitutto dai giovani, poi allargatasi alla maggioranza della popolazione - coinvolgendo queste tribù piuttosto che quelle. Né più e né meno, fatto salvo lo specifico elemento tribale, di ciò che è avvenuto in Tunisia o in Egitto, per essere precisi, proprio sull’onda di quelle sollevazioni.

Solo dopo, ovvero come effetto della mobilitazione popolare, è avvenuta una fratturazione tra le fila del personale politico e militare dello Stato. Solo dopo due settimane dalla liberazione della città gli insorti di Bengasi hanno dato vita ad un Comitato provvisorio o ad interim, nel tentativo di dotarsi di un organo esecutivo e di rappresentanza politica.

Rivolta reazionaria?

Cosa deve intendersi per “rivolta reazionaria”? Il lettore mi scuserà la pedanteria, ma le parole e i concetti sono importanti. Se non usiamo lo stesso vocabolario e lo stesso registro linguistico come possiamo sperare di capirci? Per di più alcuni vocaboli sono polisemici o banali convenzioni semantiche.

Un movimento può essere giudicato reazionario per due motivi; o perché, semplificando, è retrogado rispetto al nemico che combatte (in questo caso il regime di Gheddafi), o perché esprime interessi corporativi di gruppi sociali interessati a liquidare conquiste sociali democratiche ed egualitarie. Secondo chi scrive non è vera né l’una né l’altra tesi.

La causa vera della sollevazione consiste - in un paese ad “economia distributiva diventato del tutto simile alle petro-monarchie del Golfo, al cento per cento dipendente dai ricavi del petrolio e dalla rendita derivante dagli investimenti di questi ricavi nel sistema finanziario mondiale, e dove il proletariato è composto solo dagli immigrati mentre i cittadini libici o non lavorano o se lavorano espletano essenzialmente funzione di amministrazione e di controllo della forza-lavoro, essendo cioè funzionari, diretti o indiretti del capitale nazionale e multinazionale - nella richiesta di una diversa distribuzione della ricchezza.

Di qui vengono le richieste di democrazia politica, di diritti di libertà, avanzate dagli insorti. Poiché non c’è dubbio che, anche a causa dell’immarcescibile tessuto tribalistico e parassitario, questa ricchezza enorme, veniva distribuita in Libia in maniera diseguale e iniqua.

Si vuole dire che ogni movimento che abbia aspetti tribali è di per sé reazionario? Ma allora non meno reazionario è il regime gheddafista, e il blocco di clan che lo sostiene. Con la non lieve differenza che alcuni clan erano in posizione dominante, mentre altri erano in una posizione di subalternità e altri ancora di emarginazione.

Fatto salvo questo livello di analisi noi restiamo dell’opinione che non si può capire il particolare senza inserirlo nel generale, ovvero che l’insurrezione in Libia è solo un tassello del più generale sconquasso che sta travolgendo il Maghreb e il Medio oriente. Staccare la sollevazione libica dal contesto generale e da quelle che l’hanno preceduta, credendo alle fanfaronate e alle scemenze di Gheddafi (“Dietro c’è al-Qaeda che droga i nostri ragazzi - quantomeno egli confessa che si tratta di una sommossa di cui la gioventù è stata la forza motrice), non me ne vorranno i miei critici, significa sprofondare nell’idiozia.

Non una rivolta rivoluzionaria quindi, ma una rivolta che miscelava assieme più elementi sociali: gli interessi di frazioni dell’oligarchia parassitaria, le aspirazioni del ceto medio, i bisogni di tanta povera gente, gli appetiti di clan e tribù marginalizzate dal regime di Gheddafi, il disagio giovanile e il malessere verso la dittatura soffocante. Come definire concettualmente questo amalgama se non ”rivolta popolare”? Non solo nel suo significato descrittivo, altresì in quello politico?

Rivendicare la sua soppressione violenta è possibile solo per due motivi: o dall’altra parte abbiamo un regime, per quanto imperfetto, di tipo rivoluzionario e antimperialista - per cui il suo rovesciamento causerebbe un danno strategico alla più generale causa dell’emancipazione dei popoli oppressi -, oppure perché la sollevazione è in realtà una pedina di una cospirazione imperialistica. In tutti e due i casi, la vittoria della sollevazione si tradurrebbe in un inaccettabile successo strategico dell’imperialismo.

La «Grande Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista»

C’èin effetti chi giustifica l’appoggio a Gheddafi col fatto che la Libia sarebbe una specie di “stato socialista”. Altri, volando più basso, dicono che la Libia va difesa in quanto la sua economia è quasi del tutto nazionalizzata. Altri ancora si arrampicano sugli specchi sottolineando che i proventi del petrolio vengono distribuiti tra la popolazione nella forma di reddito garantito.

Cominciamo dall’obiezione più semplice, l’ultima.

Se la distribuzione erga omnes della rendita derivata dall’esportazione del petrolio costituisse un criterio valido per dare un giudizio positivo del governo libico cosa dovremmo concludere dei regimi di Arabia Saudita, Kuwait, del Qatar o degli Emirati, ben più generosi verso i loro cittadini?

La distribuzione orizzontale di una quota, pur importante, della ricchezza, non fa di un regime un soggetto antimperialista, tantomeno socialista. Lenin, certamente semplificando, diceva con uno slogan che il socialismo russo era i soviet più l’elettrificazione, ovvero il potere ai lavoratori stessi e lo sviluppo delle forze produttive, dal quale primariamente sarebbe dipesa la ricchezza disponibile.

Se andate in Libia a dire che il potere politico è in mano ai lavoratori si mettono a ridere pure i nomadi tebu. Di chi è in mano allora?

La Jamahiria pretende di fondarsi sulla “democrazia diretta”, ovvero, proibito ogni pluralismo politico, in assenza di libertà associativa, sui “Congressi popolari”. E’ notorio che si tratta solo di una finzione, di una mascheratura del sistema tribale sottostante. Vero è che il colpo di stato filo-nasseriano del 1969 prometteva di sradicare questa infrastruttura ancestrale. A quaranta anni di distanza abbiamo che la modernizzazione sociale, che pure c’è stata, è entrata in una simbiosi imperfetta col tribalismo. Imperfetta poiché ogni equilibrio faceva e fa perno sulla figura bonapartistica del leader supremo, il quale, prendendo atto della resistenza del vecchio tessuto di clan, ha finito per sussumerlo, ponendo i suoi familiari e i notabili suoi sodali in posizioni di comando.

Tutte le leve del potere sono così in mano, nemmeno ad un partito (propriamente non esiste alcun partito), ma ad una classe di dignitari e maggiorenti fedeli alla cupola di fedelissimi di Gheddafi, cupola in cui i legami di parentela giocano un ruolo determinante. Va da sé che questo equilibrio si fondava su una distribuzione degli incarichi in base al criterio di ossequiosa obbedienza. E come in ogni sistema tribale che si rispetti ogni appoggio ha un prezzo: concessioni di privilegi, di posti di comando, di incarichi in cambio, appunto, dell'obbedienza alla cupola. Ognuno può immaginare fino a che punto potesse essere giunta la corruzione. Lo stesso esercito è ammorbato dal cancro del tribalismo e del nepotismo, tant’è che nella Jamahiria, ben diversamente che dall’Egitto nasseriano, l’esercito regolare conta ben poco, visto che, come ogni satrapia che si rispetti, la fiducia viene risposta in corpi pretoriani, spesso formati da mercenari stranieri, e nei potenti servizi segreti.

Chiamare socialista o anche solo popolare un simile dispotismo beduinico significa prendersi gioco dell’intelligenza. Andatelo a chiedere al milione di lavoratori immigrati, i soli a mandare avanti la macchina produttiva e trattati come paria, privi dei diritti più elementari (esattamente come nei paesi del Golfo). Andatelo a chiedere ai migranti africani in cerca di un imbarco per l’Europa, rinchiusi, su richiesta italiana, in veri e propri lager nazisti.

Un regime antimperialista? Alle sue origini senza dubbio. Dopo varie peripezie e giravolte si giunse alla data fatidica del 1990, quando il regime condanna l’Iraq di Saddam Hussein, con ciò legittimando l’invasione americana dell'anno successivo. Era solo l’inizio della redenzione, della conversione filo-imperialista. Arriviamo al 1999 quando la Libia, dopo aver consegnato i presunti responsabili dell’attentato di Lockerbie del 1988, si vede tolto l’embargo e in cambio si unisce agli Stati Uniti nella Santa alleanza anti-terrorista. Nel maggio 2006 Libia e USA riallacciano le relazioni diplomatiche interrotte nel 1979, e la Libia viene tolta dalla lista degli “stati canaglia”. Di mezzo c’è non solo la riappacificazione con la Francia (con la quale Gheddafi coopera in tutta la cintura subsahariana), ma il rifiuto di ogni sostegno alle resistenze palestinese, libanese e irachena, come pure l’appoggio fattivo ai guerriglieri del Darfur e del Sud Sudan contro il governo di Karthoum. E’ proprio in questo conflitto che la Libia stabilisce rapporti acclarati di cooperazione con Israele: la prima recluta i mercenari e mette loro a disposizioni basi per l’addestramento, il secondo invia gli istruttori.

Ritenere che la Libia sia ancora una specie di base antimperialista significa essere ciechi o semplicemente ignorare quando accaduto non da qualche mese, ma da un ventennio a questa parte.

Per quanto attiene la sfera economica essa ha seguito il corso filo-occidentale in politica estera. Lo stesso regime di nazionalizzazioni è stato “riformato” nel 2005, con l’avvio di numerose privatizzazioni, tra cui quelle nel decisivo settore bancario e finanziario. Come se non bastasse ai capitali occidentali, oltre a ingenti investimenti nel settore petrolifero e delle infrastrutture, è stato concesso di aprire banche di investimento a esclusivo capitale occidentale. D’altro canto, proprio come le petro-monarchie del golfo, gli ingenti utili ricavati dalla vendita del petrolio e dalle concessioni alle multinazionali, venivano investiti come capitale finanziario in giro per il mondo. Anzitutto nei paesi europei e negli USA, ma anche in alcuni paesi africani sub sahariani. Da almeno un decennio il capitale finanziario libico, amministrato da pochi intimi di Gheddafi e in alcuni casi di loro diretta proprietà, è parte integrante del circuito imperialista e partecipa alla generale rapina tipica del capitalismo casinò. Si calcola che gli investimenti libici in banche, aziende e Fondi europei ed americani (Africa e Paesi del Golfo esclusi) siano più grandi del Pil (90mila milioni di dollari).

La partecipazione della Libia di Gheddafi alla coalizione imperialistica capeggiata dagli USA è quindi contestuale al suo ingresso come consocio nella grande giostra del capitalismo finanziario globale.

Dove sono andate a finire le ingenti rendite derivate da questo sodalizio? La risposta questa domanda ci aiuta forse a capire la rivolta di febbraio e come mai alcune importanti tribù, non solo della Cirenaica (i Warfalla e dgli Zuwayya) dopo l’inizio dell’insurrezione, si siano schierati contro Gheddafi. Non c’è dubbio che il conflitto libico ha avuto quest’aspetto di guerra per bande, di clan, per la spartizione del bottino costituito dalla rendita derivante, sia dal petrolio che dagli investimenti all’estero.

Se fosse stato solo questo, o se questo fosse stato l’aspetto determinante c’era di che stare alla larga da entrambi i fronti.

Gli imperialisti dietro alla rivolta?

Che alcuni oppositori di antica data di Gheddafi abbiano trovato rifugio a Londra non è un mistero. Nemmeno che Londra li appoggi dietro le quinte. Da qui a sostenere che la rivolta scoppiata a Bengasi nel gennaio e culminata con l’insurrezione del 17 febbraio sia tutta una pantomima, una manovra dei servizi segreti inglesi e occidentali ce ne corre.

Anche in Egitto gli Stati Uniti, nel corso della rivolta contro Mubarak, giocavano su due cavalli, strizzando l’occhio ai rivoltosi e tentando di metterci il cappello sopra. Ma a nessuno è venuto in mente di pensare che una sommossa di massa senza precedenti nella moderna storia egiziana fosse una macchinazione americana. Non lo si è pensato dei tumulti in Algeria, non lo si è pensato per la Tunisia. Non lo si pensa per lo Yemen. Per la Libia, tuttavia, si ritiene che la rivolta non sia genuina. Chi lo pensa ritiene che tutte le informazioni a nostra disposizione sulla dinamica della rivolta in Cirenaica e poi nel resto del paese, siano fasulle, false. Noi non lo crediamo.

Noi prendiamo per buoni i centinaia di reportage delle centinaia di giornalisti presenti sul terreno i quali, pour essendo giunti solo agli inizi di marzo, concordano nel descrivere la rivolta come spontanea, talmente spontanea che nessuno escluso descrive come sgangherata, posticcia. I resoconti dai fronti di guerra tutti quanti confermano che le milizie degli insorti sono una specie di armata Brancaleone, prive di ogni coordinamento, incapaci di usare le poche armi pesanti in loro possesso, molti nemmeno in grado di maneggiare un Ak-47. E questa accozzaglia arrangiata alla bene e meglio sarebbe un braccio armato degli imperialisti? Lo slancio di migliaia di giovani impreparati, abituati fino al giorno prima a passare il tempo alla play station, mercenari degli anglo-americani?

Si può credere ad una simile sciocchezza? Una sciocchezza, vale sottolinearlo, che mentre contiene un disprezzo viscerale per i giovani insorti e le loro istanze, svela una patologica empatia verso un regime dispotico e il sicofante alla sua testa.

Servizi segreti? Ma se tutti i governi occidentali hanno dovuto ammettere che le rivolte nel Maghreb e in Egitto li hanno colti di sorpresa? Se gli stessi ministri, compresi quelli israeliani, hanno tirato le orecchie ai loro servizi perché non avevano nemmeno percepito i terremoti in arrivo? Bugie pure queste? Ma se son tutte bugie chi sarebbe la voce della verità? Evidentemente solo chi parla di cospirazione imperialista per rimuovere Gheddafi. E su quali informazioni essi si basano? Su nessuna, le loro sono soltanto deduzioni, sillogismi da quattro soldi. Perché mai gli imperialisti avrebbero dovuto fare tutto questo casino e per togliere di mezzo un pittoresco ma prezioso alleato? Misteri della fede complottista, e contro la fede cieca, si sa, non c’è ragione che tenga.

Essi tirano in ballo la bandiera rosso,verde nera degli insorti, prova provata che il movimento sarebbe monarchico. Ora, a parte il giudizio sul Re Idris Senussi e sulla setta della Senussia, resta il fatto che lo stesso Consiglio Nazionale Libico (espressione della Alleanza della Rivoluzione del 17 febbraio), non solo non rivendica la secessione, ma nemmeno il ritorno della monarchia, e chiede una nuova costituzione repubblicana.

Ora, i nostri critici ritengono che la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU 1973 e la successiva aggressione a suon di bombe (che noi, a scanso di equivoci, condanniamo fermamente) diano loro ragione retroattiva, ovvero che se adesso siamo con Gheddafi occorreva esserci dall’inizio.

Per niente!

Qui non valgono né sillogismi né proprietà transitive, ma l’analisi concreta della situazione concreta. Nel mio articolo, Via Gheddafi, senza se e alcuni ma, fatto bersaglio di critiche da parte dei filo-Gheddafi-sin-da-subito, scrivevo:

«Abbiamo spiegato che ove gli ex-protettori imperialisti di Gheddafi, oltre a mettere il cappello sulla rivolta, osassero sbarcare in Libia schierandosi con gli insorti allo scopo di schiacciare la resistenza di Tripoli, non esiteremo un attimo a condannare questa alleanza e, per quel che ci compete, ad aiutare la Resistenza stessa. Non è pura la rivolta cirenaica, men che meno lo sarà l'eventuale resistenza tripolitana. Se ciò accadesse gli insorti si trasformerebbero in truppa di complemento dell’armata imperialista, la guerra, da conflitto interno si trasformerebbe in conflitto di magnitudo internazionale, la Cirenaica e la Libia diventerebbero avamposti del Moloch euro-atlantico, a tutto svantaggio non solo delle Resistenze arabe, ma di tutti i popoli, anzitutto di quelli tunisino ed egiziano che hanno appena rialzato la testa».

L’invasione non c’è stata, l’ONU autorizza gli imperialisti a colpire le forze lealiste per impedire loro la vittoria sul campo che era imminente. Il senso di quanto scritto non si presta comunque ad equivoci. Con l’intervento diretto delle armate imperialiste la natura del conflitto cambia: non una legittima rivolta popolare è adesso il fattore principale, ma, appunto, l’aggressione della NATO. E quindi, da una posizione di appoggio alla rivolta contro Gheddafi, occorre passare ad una posizione di sostegno alla Resistenza contro l’aggressione NATO.

Chi fa spallucce per questo cambio di campo o è prigioniero di una concezione fascista - per cui il popolo è soltanto un mito borghese, la rivoluzione un’illusione comunista e chiunque rivendichi democrazia, libertà e diritti è al soldo dei plutocrati americani o della “perfida Albione” -, oppure non capisce un’acca di cosa sia una guerra, di come ogni giudizio sui fronti che si contrappongono deve tenere conto dell’analisi dei protagonisti, dei loro interessi, dei loro obbiettivi, come pure dell’andamento delle operazioni belliche.

Parlando di cose più serie è importante notare che la tragedia rischia davvero di trasformarsi in farsa. Il tutto sembra un vero e proprio circo, in cui Sarkozy ha tolto a Gheddafi la parte di pagliaccio principale. Quest’ultimo, dopo avere ridicolmente detto che la rivolta era promossa da al-Qaeda che impasticcava i ragazzi libici, poco prima che il Consiglio di sicurezza approvasse la 1973, ha superato il limite del ridicolo minacciando che «... la Libia uscirà dall'alleanza internazionale contro il terrorismo. Ci alleiamo con al-Qaeda e dichiariamo la guerra santa», salvo riaffermare, al giornalista che gli chiedeva perché non accettasse alcun negoziato con gli insorti: «Negoziare con i terroristi legati ad Osama Bin Laden non è possibile. Loro stessi non credono al dialogo, ma pensano solo a combattere e ad uccidere». (Il Giornale, 15 marzo).

Sarkozy, dicevamo, ha preso il posto di clown protagonista. Pensate davvero che il suo maldestro protagonismo nasconda l’appetito di papparsi la Libia? Ma quando mai. Questa mezza-copia di Berlusconi cerca solo di arrestare il crollo dei suoi consensi nell’opinione pubblica francese, ricorrendo alla solita grandeur francese. Stratagemma a cui la sinistra d’Oltralpe col suo codazzolo di nouveaux philosophes sembra aver abboccato sulla falsa riga di quella italiana.

Ma la gatta frettolosa fa i figli ciechi. Gli americani sono furiosi per l’iniziativa unilaterale di Parigi. L’Italia risponde con il Regno Unito che ci vuole il comando NATO delle operazioni. Parigi risponde picche, la Turchia fa altrettanto per diverse ragioni. Si litiga di brutto come non mai in seno al blocco occidentale, mentre Russia, Cina, India e Lega araba condannano l’aggressione come disordinata, foriera di nuovi disastri, basata su una errata lettura della 1973.

Gli imperialisti si sono ficcati in un bel casino. Peggio per loro.

15 marzo 2011

Moreno Pasquinelli

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