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Le contraddizioni del “pacifismo assoluto” di Bertinotti

(6 Febbraio 2004)

Il dibattito contro la violenza nel (e del) movimento operaio non è nuovo. Questa affermazione irriterà molti pacifisti che hanno bisogno di far credere, soprattutto a se stessi, di essere originali e di non avere imbarazzanti antenati. Le cose stanno però proprio così.

Durante e dopo la rivoluzione russa ebbe toni accesissimi, con la socialdemocrazia schierata contro i metodi violenti dei bolscevichi e contro la sua stessa ala sinistra, che poi si organizzò separatamente come spartachismo, represso militarmente proprio da Noske diventato nel frattempo ministro socialdemocratico. Stiamo parlando esattamente di quella socialdemocrazia che si pretendeva angelica di fronte ai “crimini” dei bolscevichi, ma che aveva giustificato la guerra mondiale con il suo carico di 20 milioni di morti. Kautsky, che già aveva scritto un pamphlet, dal titolo “terrorismo e comunismo”, nel 1928, per meglio giustificare la sua scelta “pacifista”, in un libro di ben 1800 pagine sul “materialismo”, pretese addirittura di dimostrare che tale scelta si accorda con la natura primordiale dell’essere umano. La sua monumentale pedanteria, con pretese scientifiche, fu ben criticata da Korsch. In Italia è abbastanza nota la polemica socialista, secondo cui il fascismo ebbe a vincere, non già per i compromessi di Turati e c. che arrivarono fino al patto di pacificazione con Mussolini e a boicottare lo sciopero generale dell’agosto 1921 (si badi: lo sciopero, non la presa del palazzo d’inverno), ma per la pretesa comunista di rispondere con la violenza. Alle tesi socialiste finì per aderire poi anche il Pci di Togliatti ansioso di riscattarsi da quel bordighismo di cui era stato, in un primo momento, un troppo solerte sostenitore…salvo a rimproverare a quel bordighismo di non essersi alleato nella lotta armata antifascista degli Arditi del Popolo.

“Stranamente”, Amadeo Bordiga, in alcune sue memorie successive, non additò i socialisti come pacifisti. Precisò invece che essi esigevano il pacifismo da quelli che preconizzavano il passaggio al comunismo, mentre, all’occorrenza, gli stessi si impettivano in prima fila nella difesa o ripristino della democrazia borghese con la violenza. Il suo severissimo giudizio trovava riscontro, perfino clamoroso, nel comportamento che ebbero i socialisti durante la II guerra mondiale. E’ anche da annotare che durante la resistenza contro il nazifascismo furono proprio i settori politicamente e socialmente più moderati ad esercitare il massimo grado di violenza patriottica: emblematico al riguardo fu il caso di Amendola, quasi un liberale tra i pciisti, che, come è noto fu, in quanto membro dei gap, tra gli organizzatori dell’attentato a via Rasella.

Il ricordo di questi antecedenti “pacifisti” di sinistra viene di solito annebbiato, poiché a qualcuno potrebbe venire il dubbio sull’altrettanta strumentalità anti-comunista del pacifismo di oggi. Si preferisce allora parlare, in riferimento alla scelta non violenta di oggi, di grandissima novità, addirittura (frase che fa sempre un effetto teatrale) di rivoluzione copernicana.

Naturalmente, la storia non si ripete mai (e vi risparmiamo la scontata battuta sulla tragedia che si ripresenta in farsa). Qualcosa di nuovo c’è anche nel “pacifismo” di oggi: dato che deve rivolgersi a masse più smaliziate e attente al pulpito da cui viene la predica, è costretto ad attingere, con opportuni filtri, alle risorse dell’anarchismo.

Intanto e preliminarmente ci corre l’obbligo di saggiare se quanto ebbe a sostenere il primo segretario del partito comunista sul falso pacifismo dei suoi “compagni” contemporanei sia vero anche per i nostri pacifisti, che addirittura si autodefiniscono “pacifisti assoluti”. Per i primi la constatazione fu fatta con il senno di poi, mentre allo stato parrebbe che manchi ancora la prova del budino. Tuttavia, alcuni indizi importanti li possiamo già prendere in esame.

Peraltro, il pacifismo assoluto di Bertinotti, tanto per fare un esempio, non riguarda solo il presente e il futuro, ma si dichiara talmente assoluto da mettere sotto accusa anche il passato del comunismo e di tutto ciò che gli è stato simile.

In estrema sintesi, questo tipo di pacifismo (cui dice di riferirsi Bertinotti), caratterizzandosi con un assorbente ispirazione etica, rifiuta (e condanna) la violenza anche degli sfruttati e degli oppressi in una più generale filosofia di congruità dei mezzi con i fini. Si badi bene: per siffatto pacifismo non è solo in discussione l’eccesso di violenza, ma la violenza stessa anche se esercitata a fini di autodifesa legittima. In tale ottica, ovviamente non è previsto alcun compromesso.

Con queste note non andiamo ad analizzare l’infondatezza filosofica, teorica e politica di questa tesi così assoluta. Al riguardo, rinviamo anche alla traccia offerta da Bernocchi sull’inconsistenza paralizzante delle categorie erette (dalle ben note scuole idealistiche e spiritualistiche) a verità assolute fuori dalla storia e dalla dinamica degli scontri reali. Quello che qui ci preme, invece, è di stabilire, sulla base delle sue scelte pratiche e perfino delle sue esternazioni letterarie, che cosa significa e comporta il pacifismo assoluto di Bertinotti. E, poiché non apparteniamo al suo partito, ci prendiamo la libertà di farlo con molta chiarezza, compresa quella di non trascurare il fatto che egli bara su un revisionismo del suo passato: come tutti sanno, Bertinotti non è mai stato un “violentista” (leggi: chi mette in conto anche l’insurrezione), ma proviene da quella schiera (capeggiata da Lombardi, Vecchietti e Berlinguer) già impegnata da tempo a screditare la metafora della presa del “palazzo d’inverno”. Ma facciamo per un attimo finta che il segretario di RC non stia facendo l’autocritica di Cacciapuoti, dirigente napoletano del Pci anni ’50, che quando voleva attaccare gli avversari nel partito affettava di criticare se stesso.

Per prima cosa, allora, e anzi come titolo di quanto andiamo di seguito a spiegare, ci sentiamo di affermare che Bertinotti non è un pacifista assoluto (come del resto in politica non lo è –di fatto- mai nessuno), ma soltanto un pacifista relativo.

Come è noto, egli, dopo la sua condanna dei kamikaze palestinesi (condanna particolarmente importante negli ambienti “torinesi” che frequenta(va)no il salotto di Vittorio Foa), si è visto obiettare che i comunisti avevano compiuto azioni terroristiche durante la resistenza al nazifascismo e poi nel corso delle lotte di liberazione: in particolare, durante la lotta di liberazione in Algeria, immortalata anche dal film di Pontecorvo, tali azioni terroristiche venivano compiute anche e spesso a danno dei civili. Ebbene, Bertinotti, pur di dare forza persuasiva al suo pacifismo “assoluto”, è arrivato a condannare anche tali azioni.

Recentemente, però, in risposta ad un lettore di Liberazione che riportava ancora una volta le orrende e vigliacche azioni terroristiche degli Usa compiute durante la II guerra mondiale (Hiroshima e bombardamenti a tappeto sui civili in Europa), egli ha sì condannato anche questi crimini, ma ha inserito un inciso molto significativo. E’ il caso di riportare testualmente le sue parole:

“Come lei ricorda, questo è accaduto (la quantità dei crimini commessi dagli Usa) anche all’interno di quello che io continuo a ritenere –e vi ho dedicato diverse pagine dell’ultimo libro che ho scritto- una guerra percepita come giusta, cioè la guerra contro il nazifascismo. Giusta al punto che la resistenza, quella con la R maiuscola, in tanti paesi europei, fra cui il nostro, si è intrecciata con le vicende della II guerra mondiale.”

Il concetto non avrebbe bisogno di spiegazioni, considerato anche l’illuminante precisazione sulla resistenza con la R maiuscola per screditare evidentemente le lotte di resistenza dei paesi oppressi. Tuttavia, visto che nessuno se ne è accorto, è il caso di chiarire che il più grande massacro dell’umanità (tale anche al netto dei crimini di guerra) viene giudicato da Bertinotti super-pacifista come una guerra giusta per quanto riguarda il campo democratico. In altri termini, gli americani, gli inglesi, i francesi e i resistenti avevano il diritto di contrastare con la guerra il nazifascismo: il segretario di Rc non si sogna neppure minimamente di sostenere che avrebbero dovuto scegliere la lotta non-violenta. A loro disdoro ci sono solo gli eccessi, cioè alcuni crimini, peraltro mai pesantemente aggettivati nel senso che il suo interlocutore gli propone o nel modo in cui egli stesso indulge ad aggettivare il terrorismo dei deboli.

Probabilmente, qualcuno penserà che –come tanti altri teorici- anche Bertinotti si è lasciato scappare una frase contraddittoria con la sua coerenza di pacifista assoluto: un lapsus, può succedere. Ma, non è così: Bertinotti non è Alex Zanotelli, sebbene su altri argomenti il suo vero pensiero non pacifista non sia immediatamente e clamorosamente percepibile come nel caso sopra citato. Per darne conto, facciamo un altro esempio.

Discorso sull’Onu. Bertinotti è ovviamente critico di questa Onu, tuttavia è un tenace sostenitore di un’Onu riformata. La proposta è molto invitante e sembra in linea con il pacifismo, perché proprio un’Onu riformata dovrebbe e potrebbe garantire la “pace perpetua”. Per inciso, però, va annotato che l’attuale e pur severamente criticata Onu continua ad essere invocata come possibile benefattrice dei popoli, salvo sempre a rendersi conto –come fu nel caso della Somalia- di essersi sbagliati.

Qui lasciamo stare il giudizio, completamente campato in aria, di un’Onu che sarebbe stata fondata dai vincitori della II guerra mondiale (in particolare gli Usa, che, senza rispettare neppure le apparenze, imposero che la sua sede fosse posta nel loro territorio invece che nel territorio neutrale di Ginevra) per nobili motivi, ispirati all’imperativo categorico, filosofato da quel noto liberal/conservatore che era Emanuele Kant. In proposito, ci limitiamo a richiamare il giudizio di eminenti studiosi di diritto internazionale per i quali il Consiglio di Sicurezza è la vera realtà dell’Onu), “il Consiglio di Sicurezza è, per così dire, la Santa Alleanza del nostro tempo e i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono una Santa Alleanza entro la Santa Alleanza”. Con buona pace di tutti i deliranti riformatori che applicherebbero le loro energie anche per migliorare un eventuale consiglio nazista dei ministri.

Poniamo, invece, pure che l’Onu cancelli la sua attuale Costituzione e diventi un organo democratico con un’Assemblea costituente e deliberante, dotata anche di una forza di coazione super partes; fantastichiamo pure che questa araba fenice venga accettata dagli Usa e dalle altre grandi potenze, che così correrebbero il rischio di andare sempre in minoranza. A tal punto, l’Onu –per venire al dunque e per usare sempre le parole dello stesso Bertinotti- avrebbe la forza di evitare le guerre e, di fronte alle violazioni del cosiddetto diritto internazionale e/o dei diritti dell’uomo, dovrebbe limitarsi a svolgere solo funzioni di polizia. Quest’ultimo concetto Bertinotti l’ha ripetuto più volte nelle occasioni in cui si è posto la necessità di perseguire il terrorismo: polizia internazionale versus esercito.

Tutti intuiscono che un’Onu del genere –ammesso che sia possibile e auspicabile- dovrebbe avere una notevole forza coercitiva, poniamo pure di tipo soltanto poliziesco, tenuto conto per di più che tale forza, se non vuole essere esercitata a senso unico sui soliti “criminali” indifesi, potrebbe avere destinatari criminali del calibro degli Usa. Bene. In altre parole, non si tratterebbe del ritorno al vecchio bobby di Londra. Ci si spieghi, però, come una posizione del genere –a parte ogni altro giudizio di valore- abbia a che fare con il pacifismo assoluto. Per quale motivo ancora una volta sarebbe ammissibile la violenza “legittima” dei governi o dei supergoverni o del governo mondiale…per fare giustizia, mentre sarebbe esecrabile la violenza determinata dall’urgenza popolare che deve affrontare una brutale aggressione?

Ma, l’argomento che assolutamente Bertinotti non avrebbe dovuto toccare è quello relativo alla congruenza dei mezzi con i fini. Questo argomento, che è l’asse fondamentale del pacifismo assoluto, viene agitato con la stesso autocompiacimento dei bambini che credono di aver escogitato finalmente la “furbata” per mettere in difficoltà il “vecchio” marxismo.

Anche qui non entriamo nel merito della sua infondatezza, laddove questo argomento crede di dimostrare che la violenza di autodifesa o di liberazione ci renderebbe simili agli aggressori o agli oppressori, con effetti per di più irreversibili. Nemmeno la criminologia più reazionaria è arrivata a sostenere questa sciocchezza, dell’uomo violento un giorno “violento per sempre” o “della violenza è sempre la stessa”. Bisogna riuscire a leggere qualche fanatico “americano”, per scoprire che “chi ruba un dollaro è come se rubasse o è capace di rubare un milione di dollari”. Ci limitiamo invece a far notare l’incoerenza di Bertinotti, che “imprudentemente”, nonostante i consigli di Sofri, quando parla dei fini allude ancora al comunismo.

Al riguardo, è nota la idiosincrasia neo-sinistrese ad un minimo di approfondimento teorico sul tema, certamente nel caso di specie non per evitare disinvolti utopismi. Non ci si potrà, però, negare che il comunismo, pur previsto con la presenza di differenze e caratterizzato dagli individui sociali, sarà una società senza classi, senza violenza distruttrice e senza potere. Sull’assenza del potere si può discutere ovviamente. C’è chi ammette che questa assenza è riferita solo all’aspetto statuale, senza doversi o potersi eliminare un’essenziale organizzazione di una società comunque complessa, c’è chi si spinge fino a preconizzare una comunità completamente libera. Ma anche quando si ammette un minimo di potere, sembra unanime la posizione –dei comunisti- che lo concepisce in modo diverso da quello attuale. Il più grande estimatore dello zapatismo in salsa anarco-pacifista, Halloway, cui Bertinotti sembra far riferimento, parla addirittura di antipotere da perseguire già nelle lotte di oggi, abolendo perfino la parola contropotere come evocatrice comunque del potere. Si parla infatti di funzionari elettivi e revocabili e di superamento degli apparati repressivi separati. Insomma, saremo molto lontani dall’attuale democrazia burocratica/rappresentativa.

In tale prospettiva, chi volesse ritenere giusta la teoria, secondo cui i mezzi devono essere coerenti con i fini (per non finire per somigliare al mostro che si combatte), dovrebbe decorosamente rifiutare ogni pratica parlamentare, giacchè l’attuale parlamento contraddice a tutta evidenza la rappresentanza della società comunista, anche ove quest’ultima venisse concepita nel modo più realistico possibile. Bertinotti, però, sostiene che il suo partito non solo deve essere presente nel parlamento, ma deve essere presente anche in tutti gli esecutivi delle istituzioni cosiddette rappresentative, quindi nei governi e nelle amministrazioni comunali, provinciali e regionali. Al fine di svuotare il potere anche dall’interno. Con il corollario di accettare il finanziamento statale…anche questo non suscettibile di trasformare il suo partito in partito statale. E lo sostiene, nonostante le reiterate conferme, senza alcuna eccezione, della degenerazione delle pratiche parlamentari pur sostenute (una volta si diceva “il partito di lotta e di governo”) da poderosi movimenti di lotta.

Abbiamo già posto questi problemi a molti iscritti e dirigenti di RC. La risposta più frequente è stata quella “classica”: “il problema non è questo”. Chissà perché, invece, chi si libera con la violenza resterà per sempre un violento, chi organizza un potere transitorio (sia pure “comunardo” o “consiliare”) si trasformerà irreversibilmente in uomo/donna di potere. A noi non risulta che una donna, difesasi violentemente contro uno stupratore, sia diventata una donna irreversibilmente violenta; come pure non ci risulta che un uomo che abbia ucciso una volta lo farà per tutti i giorni della sua vita futura. La teoria dei delinquenti per tendenza (naturale e/o appresa dal potenziale genetico) la lasciamo volentieri ad altri.

Ma fino a quando gli assessori di RC riusciranno a sopportare la flagrante contraddizione del loro segretario? O vedremo anche loro discettare disinvoltamente sulla congruità dei (loro) mezzi con il fine in questo nuovo scenario politico che somiglia sempre di più ad un teatro degli equivoci? O sarà - molto più improbabilmente - la base “zapatista” di RC a chiedere coerenza?

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