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Berlusconi bombarda

Berlusconi bombarda

(26 Aprile 2011) Enzo Apicella
Dopo aver escluso l'impiego di aerei italiani bombardare la Libia, Berlusconi promette ad Obama l'esatto contrario

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Per una posizione autonoma contro la guerra imperialista

(10 Aprile 2011)

Nel capitalismo, l’antagonismo tra pace e guerra è una truffa.
Noi non siamo pacifisti, e nemmeno contro tutte le guerre.
Noi siamo internazionalisti, cioè per la rivoluzione, la guerra di classe.

LE GUERRE DEL NUOVO EQUILIBRIO GLOBALE
L’organizzazione autonoma di classe è la nostra “coalizione dei volenterosi”.
La rivoluzione sociale è il nostro “intervento umanitario”.

Nei momenti storici di passaggio epocale, quando grande è la confusione sotto il cielo, bisogna afferrare il nodo del metodo materialista di analisi sganciandolo da ogni forma liturgica ed invariabile del “verbo”.
Vogliamo dire che un moderno anticapitalismo deve cimentarsi con il recupero del metodo marxista per interpretare la nuova realtà, senza cadere nella riproposizione di “verità” precotte, né nell’attesa di una qualche mitica scadenza.
Vogliamo dire che un moderno internazionalismo non può limitarsi alla pur corretta constatazione delle cose, o all’attualizzazione della nemicità in casa propria, ma deve dotarsi dello strumento per soppiantare i nemici di casa propria: l’organizzazione autonoma di classe.

PER UNA POLITICA INTERNAZIONALE DI CLASSE

Le relazioni internazionali tra gli stati borghesi non sono regolate, come sembra in apparenza, dal diritto internazionale, ma dal loro peso economico, e quindi militare, monetario e politico.
Ogni nostra considerazione intorno all’evoluzione storico-politica delle relazioni internazionali non può prescindere da questo assunto teorico, figlio specifico del metodo materialista e dialettico.
Un assunto che vale sempre, nella pace come nella guerra capitaliste.
Essendo la forza economica il contenuto della potenza politica, i rapporti tra gli stati sono rapporti di forza, e l’intera politica internazionale altro non è che l’insieme dei rapporti di forza tra le potenze per la spartizione del mercato mondiale, esercitati sia con la concorrenza che con la guerra.
Le forme della lotta tra le potenze mutano al mutare delle condizioni del mercato mondiale, ma la sostanza della lotta per la spartizione non muta, essendo comunque caratterizzata dal proprio connotato di classe: la spartizione del mondo proporzionale al capitale.
Quindi, sia la pacifica concorrenza interimperialistica che la guerra rispondono, in forme diverse, allo stesso scopo.
Al ciclo della pace da accumulazione segue il ciclo della guerra di distruzione per un nuovo equilibrio tra le potenze, e l’inizio di un nuovo, pacifico, ciclo di accumulazione capitalista.
La pace e la guerra sono ambedue funzionali all’incessante mutamento dei rapporti di forza tra le potenze, a segnare lo sviluppo estensivo ed intensivo del capitalismo.
La concorrenza sul mercato mondiale determina anche le politiche nazionali esercitate dai singoli stati, che devono necessariamente adeguarsi ad un movimento reale ormai planetario.
Insomma, il movimento storico della formazione economico sociale capitalista, se da un lato ha reso mondiale il mercato e la dinamica del rapporto tra le potenze, continua a servirsi degli stati nazione nel rapporto dialettico tra concorrenza ed interdipendenza.
Il ciclo economico capitalista, unificando il mercato mondiale, crea la “dipendenza” della singola nazione dal mondo intero, costringendola spesso, per aumentare la base economica della propria potenza, a concentrarsi con altre nazioni dando vita al blocco continentale.
Sommando a questo processo la legge dello sviluppo capitalistico non eguale tra aree geografiche e settori economici del pianeta, si determinano, come nella fase storica attuale, una serie di poli, di blocchi continentali in competizione tra loro, nella forma della concorrenza e nella forma della guerra.
Quindi, da un lato l’unione tra stati produce il polo imperialista, dall’altro permane la concorrenza tra le nazioni ( per la guida dei processi unitari, contro le crisi, nelle guerre, nella mutevole formazione di assi e cooperazioni rafforzate etc. ) all’interno dello stesso polo continentale.
L’interdipendenza e la competizione sono la forma del movimento reale mondiale, che segna l’intero evolversi della politica internazionale, e ci permette di affrontare dialetticamente il rapporto tra il generale ed il particolare nell’epoca storica capitalista.

La caduta del muro di Berlino, accelerando l’unificazione economica e monetaria europea, ha prodotto la fine del mondo bipolare, moltiplicando gli agenti economici in gioco sul mercato mondiale, spostando il baricentro economico planetario ad est, trasformando gli ex giovani capitalismi nelle potenze del BRIC.
Questa “rivoluzione” apre il ciclo pluripolare di copertura mondiale del capitale, nel quale linee di alleanze multiple ed instabili sanciscono, tra l’altro, l’avvenuta piena ripresa del ruolo internazionale delle potenze sconfitte sul campo dell’ultima guerra mondiale imperialistica.
Altro che “fine della storia” e pacificazione sotto le bandiere del “pensiero unico”: l’aumento dei competitors, la modificazione dei rapporti tra le potenze, la diffusione dei blocchi imperialisti stanno mandando in frantumi i passati equilibri senza che se ne producano ancora di nuovi.
La ricerca di un nuovo equilibrio in un mondo cambiato è alla base della odierna alternanza tra periodi di pace e di guerra, per ora fatta combattere e pagare lontano dai cuori del sistema capitalistico.
Per ora………


IL NEMICO DI CASA NOSTRA È LO STATO BORGHESE ITALIANO, ASSERVITO E VINCOLATO AL PROPRIO BLOCCO IMPERIALISTA DI RIFERIMENTO: QUELLO EUROPEO.

Dopo il gigantesco soccorso statuale per salvare banche e sistemi dalla crisi di finanziarizzazione, sono le rivolte del Maghreb e la guerra contro la Libia a causare nuove prove tecniche di protagonismo mondiale dell’imperialismo Europeo, frutto di un rinnovato impegno di centralizzazione e governance comune.
Dopo aver parzialmente evitato il collasso di Grecia ed Irlanda, l’intento europeo è quello di riprogettare e consolidare il proprio sistema economico e finanziario al fine di prevenire nuovi rischi nelle prossime crisi.
La sostanza è che nel nuovo “patto per l’euro”, sottoscritto da 17 stati ma aperto anche agli altri 10 stati membri della U.E., si delineano procedure e misure tendenti ad un aumento generalizzato della produttività di sistema.
Si tratta del “Patto Euro Plus”, che comporta un coordinamento piu’ stretto tra gli stati, che adotta il metodo decisionale intergovernativo supportato dalle scelte della BCE e dalle mutevoli cooperazioni rafforzate.
Per la competitività si punta su una generale riduzione del debito pubblico, pagato in termini di welfare e di snellimento dell’architettura del diritto del lavoro.
Il vertice dei 27 paesi U.E. del 24-25 marzo ha varato inoltre il MECCANISMO EUROPEO di STABILITA’, che supera il Fondo di sostegno per gli stati in difficoltà, avendo una capacità di prestito di 500 miliardi di euro.
L’Italia dovrà necessariamente aggrapparsi agli orientamenti della “Strategia U.E. 2020” mutuandoli in salsa riformista: riassorbimento del debito pubblico, snellimento e funzionalizzazione dell’apparato statuale, deregulation sfrenata del diritto del lavoro, riforma elettorale.
E’ evidente che qualsiasi governo si avvicendi al comando dell’Italia, non potrà non applicare la cura Europea, facendola trangugiare al proletariato.
Una medicina amara che non trova opposizioni organizzate, né rivolte momentanee come in Grecia, in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna, e, per ultime, in Maghreb.
Non un vero sciopero generale, tantomeno una mobilitazione di classe contro la guerra.
D’altra parte, le dinamiche elettoralistiche legate alle amministrative di maggio ed al referendum di giugno sono alla base di fibrillazioni e contrasti tanto interni ai ceti politici della sinistra di stato quanto estranei al tessuto di classe.
Le assemblee, quanto gli “scioperi generali” si susseguono a scandire i tempi del lungo riflusso operaio.
Le “rivolte” negli atenei si sono sciolte al primo sole di primavera lasciando il campo alle “unità contro la crisi” ed al moltiplicarsi degli “scioperi” compartimentati del sindacalismo di base o dei miniscioperi della c.g.i.l..
Alla faccia dell’”insurrezione” del 14 dicembre, prima soffocata e poi trasformata in icona inoffensiva.
Alla faccia dell’unione tra operai e studenti!
Tra febbraio e maggio 4 ( quattro! ) “scioperi generali” variamente targati, ma tutti in competizione tra di loro ed egualmente estranei ad una reale mobilitazione di massa, che blocchi il paese, che si faccia sentire.
Ciascuno “sciopero generale” ha i suoi supporter, i suoi tifosi, tutti a “generalizzare”, ad “approfondire”, ad infuocare la prossima “calda primavera”.
E cosi’, dopo un autunno tiepido ed un inverno freddo, si spera nel caldo della primavera.
L’iperpoliticismo italico si scontra con le vere rivolte in corso in Maghreb, nell’attesa messianica di un automatico effetto alone.



LA RISPOSTA ADEGUATA

La guerra alla Libia ripropone per intero il movimento reale del blocco imperialista Europeo, caratterizzato tanto dall’interdipendenza quanto dalla competizione tra stati.
La determinazione di Parigi e Londra, la rottura del vecchio asse-guida Franco-Tedesco, l’adeguamento Italiano, l’assenza di Bruxelles, i dubbi di Belino sono li a dimostrarlo, come confermano che l’Europa non ha ancora una politica estera comune, nonostante il Pesc ( politica estera e di sicurezza comune ) introdotto dal trattato di Lisbona un anno fa.
La materialità del bottino è certo uno dei motivi primi della guerra alla Libia, senza trascurare però il gigantesco rimescolamento di carte nei rapporti di forza mondiali, tra blocchi continentali e, all'interno dei blocchi, tra stati ed assi portanti i processi integrativi interni ai blocchi.
Alla “esportazione della democrazia” delle passate guerre Americane va sostituendosi l’attuale “responsabilizzazione nell’intervento” targata U.E.-O.N.U e condita in salsa vaticana.
Pur nella partecipazione limitata, viene allo scoperto l’indebolimento degli U.S.A. anche sul terreno militare a loro piu’ confacente.
La stessa diatriba sul comando Nato delle operazioni, unita alla posizione "defilata" americana, denota una variazione sul tema guerra, connotandola in senso pluripolare, a comando e determinazione europea.
Il nuovo tentativo di insediamento profittuale in mediooriente riscopre l’europeismo mediterraneo coprendolo con l’offerta ideologica della "democrazia" per i popoli del Maghreb.
Questa verità è alla base della diserzione pacifista di stampo socialimperiasta, oltre il richiamo alla base operato dal "pastore tedesco" dei milioni di cattolici pacifisti mobilitati dal "movimentista Woityla".
Come contro la crisi, cosi’ contro la guerra, alle episodiche rivolte in alcuni stati europei corrisponde la pace sociale Italiana.
D’altra parte, senza un’internazionale dei lavoratori che coordini le lotte di resistenza alla crisi in senso internazionalista contro i propri governanti, non poteva andare altrimenti.
In Italia, poi, un sindacato di stato integrato ed una sinistra defunta tra sciopericchi, pacifismi preelettorali e flash-mob. di qualche ragazzo della via Paal, non ha scalfito né impensierito la portaerei della guerra oltrechè la base internazionale del comando Nato.
La nostra autonoma posizione di lotta contro la guerra imperialista non ha da appellarsi a nessun articolo della costituzione repubblicana borghese, fondata sulla guerra interna del lavoro salariato.
E poi basta con la litania del CHIEDERE..."cessate il fuoco, ripresa della diplomazia, diminuizione delle spese militari".
A chi dovremmo CHIEDERE?
All' ONU che copre la guerra? Ai governi che sparano? Alla "società civile" che se ne frega? Al padreterno?
Si tratterebbe, piu' che di CHIEDERE, di imporre altri rapporti tra gli esseri umani...ma ci vorrebbero i rapporti di forza necessari, e magari un'organizzazione dei lavoratori che funzioni, e che non c'è.
E' chiaro che le manifestazioni del CHIEDERE sono solo manifestazioni di desideri destinati a restare delusi.
E neanche riaffermare giustamente che "il nemico è in casa nostra" può bastare, se non si costruisce lo strumento per abbattere i nostri nemici.
Concludendo, la nostra posizione è autonoma perché concretizza nella lotta per la costruzione dell'organizzazione di classe il nostro internazionalismo, la nemicità con i padroni di casa nostra.

E’ un impegno che sta diventando piu’ di una ipotesi.

Combat

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