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Non c'è piacere senza peccato

(12 Aprile 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.cattolicesimo-reale.it

Non c'è piacere senza peccato

foto: www.cattolicesimo-reale.it

Nel 2008 il Vaticano aveva bocciato la proposta francese di depenalizzare l'omosessualità. Alla fine del marzo scorso 83 paesi hanno presentato una risoluzione contro le discrimiazioni fondate sull’orientamento sessuale. E la Santa Sede si è nuovamente opposta.

Il diritto di omofobia

L'arcivescovo Silvano Tommasi, dell'Osservatorio Permanente del Vaticano all'ONU, ha addirittura cercato di rovesciare la frittata denunciando come «violazione dei diritti umani fondamentali» gli attacchi contro gli omofobi che, a sentir lui, esprimono «pareri del tutto normali basati sulla natura umana». E' nota del resto la reiterata omofobia della Chiesa, sfociata nel razzismo quando Ratzinger definì «non ingiusta» la discriminazione di insegnanti o istruttori sportivi in base all'orientamento sessuale (Lettera sulla cura delle persone omosessuali,1993), o che spinse Bertone, lo scorso anno, a confondere l’omosessualità con la pedofilia. E ancora oggi è radicata, non solo nella Binetti, l’idea dell’omosessualità come malattia: ancora nel febbraio scorso il vicario del Tribunale ecclesiastico della diocesi di Genova, Paolo Rigon, dichiarò che «non si nasce omosessuali» ma l'omosessualità è «indotta» e va «curata», prendendola dall'inizio, prima che sia «incancrenita».

Contro natura?

A fondamento dell’omofobia cattolica vi è l'idea che i rapporti omosessuali siano “contro natura” tanto che, asseriva Giovanni Crisostomo, gli animali «non conoscono questo tipo di amore». Purtroppo per la Chiesa, le nostre conoscenze sono progredite dal IV secolo ed è ormai pacifico che «in natura esistono animali omosessuali» mentre «a dover caso mai essere catalogato con il terribile appellativo di comportamento contro natura, è invece la castità volontaria» dato che «finora non sono stati riscontrati animali non in cattività che la pratichino» (Daniele Raimondi, “Contro natura”: un'arma a doppio taglio, Cronache laiche, 28 marzo 2011).

Ma se, nonostante questo, l’opinione della Chiesa non muta è per una ragione più profonda, che si coglie anche dalle parole del teologo progressista Vito Mancuso.

Intervistato sulle dichiarazioni di Rigon, Mancuso ha risposto: «La causa dell'omosessualità dal punto di vista della fisiologia umana è indubbiamente una difformità. Se siamo venuti al mondo è per il maschile che si unisce al femminile, anche nel mondo animale e vegetale. Ma per quanto riguarda le cause di questa difformità, a quanto ne sappia io, nessuno ha le idee ancora chiare». (La Repubblica, 26 febbraio 2011). E prosegue spiegando che accanto all’ipotesi dell’omosessualità come malattia, c’è chi ipotizza per questa «difformità» una causa «genetic» o «sociale».

Sesso=procreazione:

Mancuso trova dunque incauto Rigon, quando stabilisce una sola causa certa per dell’omosessualità ma concorda con lui nel ritenerla una difformità essendo, come dice Ratzinger, «chiusa alla vita». Pari pari come il vecchio Tommaso d’Aquino, che definiva contro natura «ogni coito dal quale non possa risultare generazione» (Super ad Romanos, c. 1, 149). Al fondo vi è sempre l’idea che il piacere sessuale sia legittimo e non “difforme” solo se è goduto dentro un rapporto a due, per di più etero e finalizzato alla riproduzione.

Ma si tratta di un’idea priva di qualsiasi fondamento logico, anzi contradditoria e insostenibile per gli stessi cattolici. Perfino due eterosessuali che si accoppiano in piena conformità ai dettami ecclesiastici, raggiungono lo scopo procreativo due-tre-dieci (!) volte, a dir tanto, su centinaia o migliaia di rapporti fra loro. Metti pure che per un certo numero di altri si possa dire che erano mossi dalla speranza di “farcela”. Ma tutti gli altri in cui l’uomo è sterile o la donna infeconda, in menopausa etc.? Sono rapporti «chiusi alla vita» tanto quanto un rapporto omosessuale, un rapporto orale, sodomitico ecc. fra due etero o l’autoerotismo. Tanto è vero che gli antichi padri della Chiesa dicevano: « finché resta la speranza della figliolanza… può essere seguito il desiderio di avere un rapporto sessuale. Ma per i coniugi anziani… essi si astengono dall’avere rapporti» (Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca); «la pudicizia coniugale… non permette rapporto con la donna in mestruazione, in gravidanza, o in età tale che non abbia più possibilità di concepimento» (Agostino, Contro Giuliano).

Sullo sfondo il peccato originale

Oggi la Chiesa, obtorto collo, non solo ha lasciato cadere questi divieti estremi consentendo anche i matrimoni fra vedovi in tarda età ma autorizza, come legittima alternativa ai contraccettivi, rapporti consumati nei periodi infecondi e dai quali quindi non può «risultare generazione»…

E tuttavia, contro ogni logica e contro la sua stessa pratica, continua a ripetere che «l’atto coniugale per sua natura è ordinato a generare la prole» (Pio XI, Casti connubii); e che il piacere sessuale non è valido e liberamente godibile per sé, purché non comporti violenza ad altri, ma è un disvalore, riscattato unicamente dal fine procreativo.

Il motivo di questo accanimento nell’interdire e inibire il più possibile il piacere, nel farlo vivere come debolezza e come colpa, è la necessità di rafforzare nei fedeli l’idea della vita come valle di lacrime, come espiazione del peccato originale e come transito verso il cielo.

L’omofobia diventa così uno sbocco terminale, una spia di perversioni ben più profonde, cioè di una morale sessuofobica e di una concezione dell’umanità come “massa dannata”, riscattata solo da Gesù-Chiesa, ai quali (specie alla seconda) si devono infinita gratitudine e obbedienza.

cattolicesimoreale.it

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