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(5 Febbraio 2011) Enzo Apicella
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USA, shutdown rimandato

(13 Aprile 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Sul filo del rasoio, la notte di venerdì 8 aprile, il Congresso ha approvato la finanziaria 2010-2011, evitando così la bancarotta dello Stato.
Ma a quale prezzo! E il peggio deve ancora venire.

I repubblicani hanno rinunciato ad alcune questioni più di forma che di sostanza (aborto e ambiente), che poco incidono nel bilancio dello Stato. I democratici hanno invece calato le braghe, con un taglio da 38,5 miliardi di dollari, che riguardano un semestre scarso. Su base annua, la somma tagliata tocca gli 80M$. A farne le spese è l’assistenza sociale e sanitaria, che ha visto svanire 17,8M$. Qualche briciola in meno, 3M$, anche per la difesa, che comunque si mangia quasi metà della spesa pubblica (513M$ su 1.049). E ciò nonostante, i soldi non bastano a far fronte ai numerosi impegni della guerra continua.

In poche parole, va a farsi benedire il piano sanitario a favore degli anziani (medicare) e a favore dei poveri (maedicaid), su cui Obama centrò la sua campagna elettorale. E nel frattempo le condizioni sociali dei proletari americani sono andate peggiorando (vedi Robert Reich, Ci stiamo incamminando verso un’altra crisi, dell’8 aprile, tratto da http://robertreich.org/).

I tagli, oltre a condannare all’indigenza milioni di persone, avranno un effetto cascata, in primis colpiranno anche i dipendenti pubblici, impegnati nel settore assistenziale, soffiando sulla disoccupazione che è attorno al 10%, secondo i dati ufficiali, che sono assai compiacenti (considerano occupati coloro che lavorano una settimana all’anno).

I tagli incidono su redditi in continua diminuzione, non da oggi ma da decenni. Sul fronte dei salari operai, in molte grandi aziende (vedi la Crysler), ultimamente sono state fatte riduzioni fino al 15%. Ma è sempre una pacchia, in confronto alla dilagante palude della miriade di vere e proprie maquiladoras, dove i salari sono un optional, a tutta discrezione del padrone.

L’Amministrazione Obama è consapevole dei sacrifici imposti, e parla di «lacrime e sangue». Ma questi sacrifici sono un soffio rispetto all’uragano che si profila all’orizzonte. A ben vedere, gli 80M$ «risparmiati» sono nulla, in rapporto a un debito pubblico di oltre 14.000M$.

Il 16 maggio, al Congresso, ci sarà lo scontro ben più grave sul tetto del debito pubblico, che ora è di 14.290M$, prossimo quindi a splafonare. Il capo dei Tea Party, il senatore della Florida Marco Rubio, si dichiara contrario a ogni innalzamento, che favorirebbe ulteriormente gli investitori stranieri in titoli di Stato USA, come la Cina, che già detengono metà del debito dello zio Sam. È una cura da cavallo, quella di Marco Rubio & Co., che dovrebbe «restituire vigore al Paese», ma potrebbe avere effetti «collaterali» catastrofici, secondo il governatore della FED, Ben Bernake.

Per evitare un default, Obama si rimangia tutte le sue velleità progressiste, e propone una cura alla «greca»: forti tagli ai programmi di assistenza sociale, blocco dei salari degli statali e generose riduzioni fiscali alle aziende. In cambio, solo le promesse di un sostegno all’istruzione, grazie a un eventuale aumento delle tasse per i redditi sopra i 250mila$. Promesse...

Ma, ancora una volta, i contabili yankee fanno i conti senza l’oste. L’oste è il debito complessivo degli Stati Uniti, cui concorrono il debito degli Stati Federali, delle famiglie, delle banche, delle imprese. Infine, c’è una parte di debito «sommersa», fuori dalle statistiche ufficiali. Calcolando tutti questi debiti gli USA, hanno un’esposizione complessiva di 75milaM$, vale a dire più del 500% del Pil (che è di 14.266M$). Per capirci, il debito pubblico italiano è intorno al 120%, con una differenza sostanziale, rispetto agli USA: lo Stato italiano è indebitato sopratutto con gli italiani, privati e imprese, che, a loro volta, sono poco indebitati, anzi, le famiglie hanno ancora qualche risparmio.

Sull’orlo del baratro, gli Stati Uniti sono allo sbando; cercando di salvare capra e cavoli, vivono alla giornata e si barcamenano tra espedienti improvvisati, spesso in contrasto l’uno con l’altro. Non ultimo, a fine marzo, mentre il Pentagono schierava la Sesta flotta nella Sirte, la FED ha salvato la Central Bank of Libya, con un’iniezione di 35M$, per rimediare alle malefatte della Lehman Brothers (vedi Stepehn Gandell, Bailout Revelation: Fed Lent Billions to Save Libyan Bank, 4 aprile 2011, in http://curiouscapitalist.blogs.time.com/2011/04/04/bailout-revelation-fed-lent-billions-to-save-lybian-bank/#ixzz1JISavAX5). Non c’è che dire, un bel sostegno al colonnello Gheddafi. Mentre i piccoli imprenditori yankee se lo son presi nel lisca.

12 aprile 2011

Dino Erba

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