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(11 Novembre 2012) Enzo Apicella

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The Wall

di Israel Shamir

(21 Giugno 2003)

Vedemmo il film dei Pink Floyd, The Wall, in un piccolo, spoglio cinema chiamato Semadar, il Germoglio di Vite nella Colonia Tedesca di Gerusalemme. Svuotata dagli ebrei della sua popolazione di etnia tedesca nel 1948, conserva ancora le sue antiche case di pietra dal tetto di tegole rosse, con le mura decorate da pannelli di salmi scritti in caratteri gotici, nascondendo dietro il suo pesante cancello la muratura e il misterioso Cimitero dei Templari.
Semadar, chiamato cosi' a causa di un'espressione nel Cantico dei Cantici, era il luogo preferito per parlare durante l'era del Paradiso Perduto, la Palestina anteguerra cui aneliamo con nostalgia, quando esso era frequentato da ufficiali britannici, giovani cosmopoliti delle migliori famiglie della Citta' Santa, armeni, greci, ebrei, tedeschi e, naturalmente, i nativi palestinesi. Molti matrimoni oltrepassavano le barriere, le affiliazioni religiose e le passioni politiche prendevano forma nel suo romantico e minuscolo cortile: la figlia di un rabbino sefardita trovava li' un corteggiatore scozzese, un Nashashibi, il rampollo di questa nobile famiglia musulmana palestinese, si incontrava con una vivace ragazza sionista di sinistra. Semadar non e' cambiato, e' sopravvissuto alla Caduta e alla Partizione, per diventare un'istituzione delle novelle gerusalemiti di Amos Oz, come un ghiaccio fossile che sopravvive al surriscaldamento globale.

Semadar e' rimasto il luogo di incontro per le famiglie che, negli anni '80, uscivano, in quei benedetti giorni prima che il video, la Tv ed il computer assorbissero tutto il nostro tempo libero, e spesso vi andavamo con i bambini, per vedere un film. Ad ogni modo, The Wall fu un flop. Nel mezzo del film, una bocca spalancata in un urlo sembrava volesse divorare lo spettatore.
Questa spaventosa bocca senza ossa ma piena di denti copriva l'intero schermo, svettando sulle nostre teste. Era troppo per nostro figlio di sette anni, che scappo' via. Fuori della sala, i muri erano completamente tappezzati da posters con la stessa bocca urlante, e ci vollero alcune ore per calmarlo. Questo simbolo del Muro, la spaventosa bocca fagocitante, e' rimasto seppellito nella profondita' della mia memoria.

E' ritornato con vendetta oggi, quando mi sono imbattuto nel Muro dopo una bellissima passeggiata. Per molte ore avevamo camminato e guidato tra le soffici colline delle Highlands, avanzando tra l'alto prato verde, raccogliendo anemoni viola, guadando un torrente ancora pieno d'acqua e di amichevoli ragazze e ragazzi completamente vestiti che spruzzavano acqua a noi ed a loro stessi con giovanile abbandono, mentre i loro genitori, del vicino villaggio di Anata, preparavano un pic-nic inviandoci i loro cordiali "salam". Salutammo un monaco che scendeva dal suo eremo roccioso di San Chariton e ricevemmo le sue benedizioni; inseguimmo un gruppo di quattro o cinque timide gazzelle dal manto maculato; accendemmo una candela all'immagine della Madonna Bizantina nella chiesa del villaggio di Taybeh, dove, secondo le tradizioni gelosamente custodite, Cristo trascorse gli ultimi giorni prima della Passione. Bevemmo la famosa birra spillata di Taybeh nelle Pietre, un caffe' nella citta' di Ramallah, con un professore di filosofia dell'Universita' di Bir Zeit vestito di tweed, un architetto dal sorriso timido, uno svagato ebreo inglese vagamente rassomigliante a Noam Chomsky da giovane ed una bellissima palestinese bruna, esiliata in Tunisia e laureata a Parigi e che, dunque, parlava francese.

Poi, mentre ci dirigevamo verso il Campo dei Pastori, ci imbattemmo nel Muro. Sezionava il tenero paesaggio campagnolo di Betlemme come un colossale abisso divoratore, e la natura scompariva. Dozzine di bulldozers scavavano le colline, sradicavano alberi di viti e di fichi, schiacciavano le rocce per qualche mostruosa Margarita. Demolivano vecchie case di contadini e torri medievali, denudando le pendici su cui aveva camminato la Vergine. Il Muro veniva costruito come una grande autostrada a quattro corsie, delimitata da barriere di doppio acciaio alte 20 piedi, sormontate da fili ad alta tensione, intervallate da telecamere, postazioni per cecchini e qualche cancello. Era il piu' formidabile recinto perimetrale per campi di prigionia che avessi mai visto e si addossava strettamente alle case del villaggio, come un folle ballerino di tango fa con la sua partner.

I contadini guardavano i loro alberi d'olivo ancora li', ancora modestamente germogliati, ma gia' separati, rimossi, imprendibili. I contadini venivano rinchiusi dietro il muro, come in ogni prigione che si rispetti. I loro campi, i loro pascoli, le loro sorgenti d'acqua erano fuori. Un cancello, sorvegliato da un soldato israeliano, li connetteva al loro sostentamento, alla loro terra, alla loro liberta' - chiuso o aperto a piacere dell'esercito. Sempre attenti al guadagno facile, i militari hanno istituito una tassa di due dollari a persona per aprire il cancello. Se proprio questi palestinesi non riescono a stare lontani dai loro alberi d'olivo, che paghino.

In alcune parti, il Muro era una semplice costruzione di cemento armato, che rubava pezzi di terra e di panorama, segregando gli abitanti dei villaggi in grosse prigioni all'aria aperta. Ma il muro era ancora peggiore allorche' permetteva una allettante visione della terra che una volta era loro. Il Muro si snodava per centinaia e centinaia di miglia, circondava villaggi, li separava dalla loro terra e divorava la bellissima natura della Palestina.

Il Muro non e' un'invenzione nuova. L'ho gia' visto, prima. Non lontano dal sacro Monte Carmelo, vi era un villaggio armeno. Era stato costruito da profughi armeni che scappavano dalla furia curda nel 1915. I sempre ospitali palestinesi li aiutarono a costruire le case e prestarono loro la terra, dal momento che questi armeni erano contadini provenienti dalle rive del lago Van. Nel 1948, il loro villaggio divenne parte dello stato ebraico. Gli ebrei non li uccisero e non li scacciarono: semplicemente, circondarono il villaggio con un muro e lo strangolarono. Esso perse le sue terre e si trasformo' in una prigione, con un cancello sempre sorvegliato da una guardia israeliana. Gli armeni resistettero dieci anni. Alla fine degli anni '50, l'ultimo armeno vendette la sua casa agli ebrei in cambio di una canzone ed ando' via.

Il Muro ha un altro precursore: il sistema di autostrade "per soli ebrei". Mentre ne' Haifa ne' Afula hanno strade by-pass, ogni villaggio arabo le ha: un ampio sistema di autostrade li accerchia e ne impedisce lo sviluppo. Centinaia di case palestinesi furono demolite, migliaia di ettari di terreno devastati per costruire la rete by-pass secondo una ricetta presa in prestito dalla Guida per la Galassia dell'Autostoppista. Cio' fu fatto per nessuna ragione visibile, dal momento che i piccoli insediamenti ebraici non avevano bisogno di questo investimento multi-miliardario per "ragioni di sicurezza". Inoltre, le strade appena costruite erano di solito bloccate dall'esercito. Ora, con la costruzione del Muro, che s'innalza sempre piu', la rete by-pass comincia ad avere senso: essa non era altro che il Primo Stadio della devastazione e dell'imprigionamento.

Il Muro lascera' gli alberi d'olivo nelle mani dei coloni, scrisse il sempre razionale Uri Avnery. Ma i coloni non hanno bisogno degli alberi d'olivo e non hanno intenzione di curare la terra. Preferiscono bruciarli. I coloni non sono la causa, ma una razionalizzazione della causa: il desiderio di spopolare la Palestina ed ucciderne la natura.
Come potrebbe essere differente? Il programma attualmente in costruzione fu delineato dal Sionismo in un saggio degli anni '30, Il Muro di Ferro, di Vladimir Zabotinsky. Ma le radici sono ancora piu' profonde, poiche' il Muro e' la manifestazione visibile dello spirito ebraico, e ben si accorda allo stato ebraico. Ci sono dozzine di parole, in ebraico, per definire il "muro", probabilmente quante ce ne sono in eschimese per indicare la neve. Il simbolo sacro degli ebrei e' il Muro del Pianto; la loro strada preferita, Wall Street. Gli egiziani, i babilonesi, i cristiani ed i musulmani costruirono piramidi verticali, torri e cattedrali per connettere la terra al cielo; gli auto-adoratori ebrei, che non avevano bisogno ne' della terra ne' del cielo, preferirono costruire - da Londra al Minnesota - l'eruv, un muro simbolico che separasse loro dai non-ebrei. La sola iscrizione ebraica mai rinvenuta in un tempio ebraico non era ne' il Decalogo ne' un insegnamento morale, ma la scritta: "Goy, se oltrepasserai questo muro, dovrai incolpare te stesso della tua dolorosa morte".

Il piu' importante suggerimento degli insegnamenti ebraici e' la massima: Costruisci un Muro attorno alla Torah. Esso intensifica ogni proibizione della Legge con dozzine di proibizioni aggiuntive. Ad un ebreo e' proibito raccogliere frutti di sabato, ma il Muro proibisce anche di arrampicarsi su un albero, poiche' si potrebbe essere tentati di raccoglierne i frutti. E allora, se l'albero non ha frutti? E' bandito per la stessa ragione: se questo sabato ti arrampicherai su una betulla, il prossimo sabato lo farai su un albero di mele e, tra un mese, raccoglierai anche le male e trasgredirai realmente la Legge.

Il Muro di Sharon e' proprio un Muro attorno alla Torah, perche' se lasci che un goy giri liberamente, presto o tardi uccidera' un ebreo. Il Muro di Sharon e' il Muro del Tempio, perche' se un goy lo oltrapassera' dovra' incolpare se' stesso per la pallottola di un cecchino. Il Muro di Sharon e' il Muro del Pianto per i palestinesi ed e' Wall Street per le imprese ebraiche di costruzione. La voce che ordina e' quella di Giacobbe, ma le mani sono quelle di Esau': il Muro viene costruito col sudore dei palestinesi ridotti al lastrico, sorvegliati da russi e pagati dagli americani per mettere in prigione i loro fratelli. [...]

Questo Muro e' la vera road-map del sionismo, poiche', quando la sua costruzione sara' completata, la Palestina sara' distrutta ed i suoi abitanti una volta felici saranno tutti profughi. Ma neppure il destino degli ebrei sara' invidiabile, perche' il Muro e' dovunque. Ogni negozio, ogni ristorante, ogni pub di Tel Aviv ha il suo muro vivente: un ragazzo importato dalla Russia o dall'Ucraina per fare la guardia. Per quattro dollari l'ora devono fermare un kamikaze col loro corpo, per poi essere seppelliti dietro il Muro del cimitero. Noi israeliani veniamo perquisiti dieci volte al giorno, nei negozi, al lavoro, nei luoghi di divertimento. L'intera Terra Santa e' diventata un'enorme prigione di sicurezza per tutti i suoi abitanti, ebrei e non ebrei.

Poteva essere predetto. Gli ebrei non furono chiusi da crudeli stranieri entro le mura del ghetto, scrisse Zabotinsky: essi lo scelsero, come gli stranieri in Cina scelsero di vivere nei loro insediamenti separati. Cinquant'anni dopo, Israel Shahak fece un'altra valida osservazione: le mura del ghetto furono aperte dall'esterno, dallo stato, mentre gli ebrei non desideravano lasciarlo. Le mura materiali furono aperte, quelle interne rimasero. LO stato ebraico e' un'emanazione della ripugnanza e della paura ebraica per lo straniero, mentre le politiche da Cabala del Pentagono sono un'altra manifestazione della stessa paura e dello stesso disgusto su scala globale.

Non solo gli individui, anche le societa' e le culture possono essere folli. Questa importante scoperta fu fatta da una sociologa americana, Ruth Benedict, una intima amica di Margaret Mead e Franz Boas. Il suo "Caratteristiche Culturali" (1934) reasta uno dei capisaldi della letteratura sociologica fino ad oggi. In quest'opera, la Benedict descrive le diverse culture nativo-americane e caratterizza gli Indiani Pueblo come "placidi ed armoniosi".

Il sociologo ebreo Franz Boas le forni' i dati che mostravano "il carattere auto-compiacente e megalomaniaco dei Kwakiutl, mentre Reo Fortune dimostro' che gli isolani di Dobu erano "paranoici e di spirito gretto".

Quest'ultima definizione si adatta come un guanto alla cultura ebraica. Cos'altro e' questa ricerca ossessiva delle armi di distruzione di massa in Iraq se non una manifestazione di paranoia? L'attuale Israele, il paese della perenne perquisizione fisica, e' l'ultima societa' paranoide, secondo Ruth Benedict. Gli USA stanno soccombendo sotto la stessa malattia, a causa dell'attuale cricca di governanti seguaci di Leo Strauss: costruisce muri e disarma terre lontane, ed i suoi stessi cittadini, poiche' la paranoia ebraica e' estremamente contagiosa.

E' inutile combattere contro il Muro, come e' stato inutile combattere le colonie illegali, finche' ne si ignori la causa. "Il Muro e' nel cuore", ubeliba homa, cantavano gli ebrei che conquistarono Gerusalemme nel 1967. E il Muro e' il cuore del problema, e questo e' lo stato ebraico in Palestina. Attivisti di pace giovani e meno giovani sulle colline lungo il Muro ancora agitano lo slogan "Due Stati" in direzione dei bulldozers, e i bulldozers davvero realizzano il sogno dei due stati, il mio incubo: uno stato ebraico e una catena di riserve indiane per i goyim, lo "stato palestinese". Chiunque dica: "uno stato palestinese indipendente a fianco dello stato ebraico" finge di non vedere il Muro. Il MUro e' l'operazione mediante cui si separano due gemelli siamesi, e solo il piu' forte sopravvivera'. Le discussioni sul Muro vengono sepolte nella sabbia in Israele: la stragrande maggioranza degli israeliani, dal Labour al Likud, lo supportano, mentre i sostenitori piu' tenaci della Bocca Divorante sono i "pacifisti" israeliani.

Il Muro si prende gioco delle anime innocenti infiammatesi per la road-map, un altro piano per separare i gemelli. Sharon non se preoccupa, poiche' esso concede abbastanza tempo per completare il Muro, pone il fardello della "pacificazione" sulle spalle dei palestinesi e gli da' piena liberta' d'azione in cambio di alcune vuote promesse.

I pacifisti sperano di alterare il corso del Muro qua' e la'. Ma cio' non servira' a nulla, poiche' il Muro separera' per sempre il popolo dalla sua terra. Dovunque sia, esso separera' i rifugiati del campo profughi di Dehishe dalle loro case di Deir al-Sheikh, dieci miglia piu' in la'. Separera' i cristiani di Taybeh dal Santo Sepolcro e i musulmani di Yassouf dalla Moschea dell'Aqsa. Separera' anche gli ebrei dai luoghi sacri. Separera' i contadini delle Highlands dai loro posti di lavoro di Haifa e Tel Aviv.

Il Muro di Sharon, questo terribile disastro, fornisce la rara opportunita' di osservare la natura reale dello stato ebraico e di chiedere il suo smantellamento. Non del Muro, ingenui! Dello stato ebraico!

Israel Shamir

Fonte

  • traduzione a cura di www.arabcomint.com

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