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(3 Maggio 2011)
Nell’ambito delle celebrazioni patriottiche dell’Unità d’Italia portata (quasi) a termine 150 anni fa (mancano ancora l’Istria e la Dalmazia “irredente”, per dirla con Napolitano, Nizza e Savoja e le ex-colonie AOI; ma chissà...), anche L’Ernesto ha voluto fare la sua parte dando spazio ad alcune “note introduttive su una idea-forza di fondamentale importanza” a firma Spartaco Puttini dal titolo La questione nazionale. Articolo non a caso ripreso con favore dai “fascisti rossi” in salsa varia.
“I partiti comunisti, così come si sono caratterizzati nel corso del Novecento – ci insegna Puttini – non sono affatto estranei all’idea di nazione. Lo stesso internazionalismo non significa affatto, contrariamente a quanto ritenuto da molti, negazione delle nazioni ma fratellanza tra le nazioni, cioè tra i popoli” (laddove per il nostro nazione equivale a “popolo”, classi a parte per non complicare le cose, n.), e “solamente nell’eterodossia trotzkista ed in determinati segmenti della nuova sinistra post-sessantottina il suffisso (in realtà prefisso, ma è la più innocente tra le perversioni del Puttini, n.) inter è stato sostituito concettualmente dal suffisso a (privativo, n.), fino ad arrivare a coniare slogan come “il proletariato non ha nazione, internazionalismo rivoluzione!”, uno degli slogan più pericolosi e fuorvianti che vi siano”.
Il primo pericoloso fuorviante che ci viene in mente è, naturalmente, il Marx del Manifesto che ci dice che “gli operai non hanno patria” e “non si può togliere loro quello che non hanno” e che “la prima cosa che il proletariato deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione”, “ancora nazionale (siamo al 1848), seppure non certo nel senso della borghesia” e in una prospettiva in cui “le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre di più già con lo sviluppo della borghesia” e “il dominio del proletariato li farà scomparire ancora di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l’azione unita, per lo meno dei paesi civili”; cioè: internazionalismo-rivoluzione, sino alla famosa chiusa: proletari di tutti i paesi, unitevi!, in luogo di: popoli, affratellatevi intorno alle vostre rispettive “patrie” sovrane. E siamo nel 1848!
Il Puttini l’ha facile nell’esaltare (cosa che anche noi fuorvianti facciamo) la lotta di vari popoli per arrivare da una fase pre-borghese alla “liberazione nazionale”, alla costituzione di un proprio stato sovrano. Sempre Marx: “I comunisti appoggiano dappertutto ogni movimento rivoluzionario diretto contro le situazioni sociali e politiche attuali” mettendo “in rilievo, come problema fondamentale, il problema della proprietà”; “perciò in Germania (1848) il partito comunista combatte insieme alla borghesia contro la monarchia assoluta, contro la proprietà fondiaria feudale e il piccolo borghesume appena la borghesia prende una posizione rivoluzionaria. Però il partito comunista non cessa nemmeno un istante di preparare e sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più chiara è possibile dell’antagonismo ostile fra borghesia e proletariato, affinché i lavoratori tedeschi possano subito rivolgere, come altrettante armi contro la borghesia, le condizioni sociali e politiche che la borghesia deve creare con il suo dominio, affinché subito dopo la caduta delle classi reazionarie in Germania, cominci la lotta contro la borghesia stessa”. Se il “patriottismo” richiamato dal Puttini stesse in questi termini sarebbe il benvenuto; e, intanto, non assumerebbe questo nome, ma: conquista di un potere di classe localizzato, per il momento.
Ma per il nostro, tutto all’opposto, patriottismo uguale – testuale – “la difesa della sovranità nazionale, la lotta per l’indipendenza della propria patria”, a cominciare – tanto per essere chiari – della nostra patria-Italia imperialista sotto una sola bandiera nazionale, antagonismi ostili di classe a parte, salvo il fatto che, semmai, si rimprovera alle nostrane classi dirigenti di non saper fare fino in fondo la propria parte “svendendosi” a superpotenze estere o tradire e “lasciar cadere nel fango” le bandiere nazionali che, poi, spetta ai “comunisti” raccogliere, come da buona lezione togliattiana. Patriottismo pittiniano significa ristabilire “le prerogative sovrane degli Stati-nazione” ridando allo Stato (quale?, di chi?, n.) il ruolo di “protagonista assoluto (!!!, n.) dello stesso sviluppo economico” (Mussolini: tutto nello Stato, nulla al di fuori dello Stato). E sentite un po’: “Per gestire i problemi delle nostre società sempre più complesse non è possibile affidarsi all’anarchia del mercato, occorre avvalersi di una programmazione dirigista e chi lo fa è avvantaggiato nella competizione globale”. Patria statalizzata a servizio di una più proficua concorrenza; alla faccia, poi, della “fratellanza tra i popoli”... in reciproca competizione. Come riconosceva anche Mussolini, le classi continuano sì ad esistere e, sembrerebbe, persino su gradini dispari, ma gli interessi della Patria esigono che sia cancellato l’antagonismo tra esse una volta “corporativizzate” entro lo Stato “di tutti”. A questa stregua la “necessaria politica di giustizia sociale”, secondo il Puttini, esigerebbe “per il bene dell’intera comunità nazionale, una equa ripartizione del carico fiscale ed una capillare redistribuzione della ricchezza nella spesa sociale”. Roba da Repubblica di Salò. In un altro articolo dello stesso dedicato al caso-Libia, L’Italia è in guerra contro i suoi interessi, l’argomento centrale contro l’aggressione imperialista alla Libia consiste nel fatto che “gli interessi dell’Italia è evidente che stanno da un’altra parte” e che un corretto patriottismo in nome dell’“intera comunità nazionale” avrebbe difeso il fatto che “il rapporto stabilito con la Libia di Gheddafi rispondeva al nostro interesse nazionale” in quanto mirante all’accaparramento delle materie prime di cui il Paese ha bisogno. Tutto qui.
Non sentiamo il bisogno di svolgere ulteriormente il tema in contrapposizione con argomentazioni simili. Se lo facessimo rischieremmo di mettere una pulce negli orecchi del nostro quanto a riferimenti storici nobili del “comunismo del Novecento”. Ad esempio: che dire di un Lenin che proclamava il disfattismo (antipatriottico) e se la prendeva coi “traditori” nazional-sciovinisti della socialdemocrazia tedesca? O non avevano forse ragione questi ultimi quando proprio in nome della difesa della Patria contro il pericolo zarista chiamavano alle armi la “comunità nazionale” teutonica a difesa della minacciata “sovranità nazionale”? Come faceva Lenin a sostenere, con Liebknecht, che “il nemico principale è in casa nostra”, applicandone il principio anche alla sua stessa Russia sostenendo che la disfatta delle armate nazionali zariste costituiva il coefficiente migliore per la rivoluzione internazionale? Il Puttini si limita a definire tutto ciò “attese messianiche” “messe da parte dalla svolta realista operata da Stalin”. E si capisce benissimo! Ma, si dirà, la difesa della Russia dall’attacco delle potenze straniere all’indomani della rivoluzione? E’, per Lenin, la difesa del primo bastione della rivoluzione internazionale il cui nerbo è l’Internazionale (vergogna!) i cui partiti “nazionali” si definiscono come “sezioni”. Alla causa della “patria russa” (“al di sopra” delle classi) aderiranno volentieri i vari nazionalisti, fascisti compresi, e l’Internazionale, questa onta “antinazionale”, sarà anche formalmente cassata da papà Stalin.
Ci basta qui riprendere letteralmente dei passaggi... preputtiniani del Maestro Togliatti in cui i concetti sopra richiamati sono svolti al massimo della chiarezza:
“... si richiede però, prima di tutto, che noi ci avviciniamo a tutti gli strati e gruppi di giovani, discutiamo con loro, eliminiamo le pregiudiziali o i pregiudizi che ci tagliano la strada. Dico questo pensando in particolar modo a quei giovani che più o meno attivamente sono stati fascisti e a quelli che del fascismo non sono ancora riusciti a liberarsi. Questi giovani sono stati i nostri avversari e anche nemici. Contro i fascisti, diventati servi dello straniero, non abbiamo esitato, quando ce lo imposero le circostanze stesse, a prendere le armi... Ma se nel corso della guerra vi era fra le due parti un abisso e scorse il sangue, questo non vuol dire che tra noi e una parte di coloro che combattevano contro di noi non esistesse quello che vorrei chiamare (..) un “malinteso”. Non ci eravamo intesi, con le generazioni che furono fasciste, sin dall’inizio, cioè sin dalla fine della precedente guerra, ma non è detto che non avremmo potuto intenderci, se non fossero intervenuti l’inganno e la violenza, che hanno falsato tutto il processo di sviluppo, rompendo l’unità delle forze nazionali. Il “malinteso” consisteva nel fatto che quando una generazione di giovani aspirava alla grandezza della nazione italiana e alla felicità degli italiani che vivono di lavoro, aspirava alle stesse cose cui noi aspiriamo. Non solo, ma quando questa generazione accoglieva l’idea di una più elevata giustizia sociale, questa idea era la nostra. (..) Non abbiamo nessuna intenzione di conculcare od offuscare l’idea della patria e del sentimento nazionale. Al contrario... (...) Non è vero che sia perduto, per la causa per cui il popolo combatte, il giovane oggi aderente alle nuove organizzazioni fasciste o di tipo fascista. Al contrario, spesso il giovane va in quella direzione (perché) si illude di schierarsi per la grandezza della patria e alle volte anche per il progresso sociale. Avvicinate questo giovane, discutete, comprendetevi a vicenda...”.
E avvicinamenti, discussioni e comprensioni reciproche sono in corso. Noi felicemente esclusi.
P.S. In cerca di referenti autorevoli, non reperibili negli scaffali del marxismo, il Puttini cita (e se ne appropria) De Gaulle: “Il patriottismo è amare il proprio paese, il nazionalismo odiare quello degli altri”. Gli offriamo un ulteriore appoggio, quello del celebrato “socialista” H. De Man, di Bruxelles: “Dove l’amor patrio si può sviluppare liberamente, la grande stima dei valori nazionali non conduce necessariamente alla disistima del valore di altre nazioni” (in perfetta linea col citato De Gaulle). E, di più: “Affinché il nazionalismo non scateni nuove passioni belliche, il futuro assetto mondiale dovrà basarsi sulle nazioni, su tutte le nazioni. Specialmente l’unione europea non è concepibile che come unione di nazioni. La nazione è l’indispensabile e insostituibile elemento base di ogni sovrastruttura continentale, intercontinentale o universale” (l’evocata “fratellanza”, n.). Piccolo particolare: la citazione è tratta dal n° 1 di Scienza Europea, rivista... internazionale, vista la gamma dei collaboratori, della RSI. Com’unitarismo allo stato puro!
30 aprile 2010
nucleo comunista internazionalista
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