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(15 Giugno 2011) Enzo Apicella

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(Stato e istituzioni)

La guerra sporca di Mussolini e le omissioni dell’Italia repubblicana.

Considerazioni intorno ad un'iniziativa

(16 Maggio 2011)

Nell'ultimo ventennio, attorno alle vicende belliche e coloniali italiane, s'è sviluppato un filone di ricerca che è tra i più vivi e vitali dell’odierna storiografia. Molte pagine nere, rimosse dalla cultura ufficiale, sono state ricostruite con dovizia di particolari. Ciò ha talvolta indotto strenui difensori del luogo comune sugli "italiani brava gente" a passare a più miti consigli.
Sono stati fatti molti passi avanti dalla vittoria riportata da Angelo Del Boca su Indro Montanelli, quando il celebre giornalista fu costretto dalle evidenze documentarie a riconoscere l'uso di gas tossici nella guerra d'Etiopia (ricevendo, nonostante il carattere tardivo dell'ammissione, i consueti complimenti per la propria “onestà intellettuale”). Eppure, questo notevole sforzo di restituzione delle peggiori vicende della politica estera italiana, non sembra ancora aver sortito grandi effetti sul senso comune.
Una riflessione collettiva al riguardo pare a tutt'oggi un'ipotesi lontana. Sono ben lontane dal promuoverla le più alte autorità del paese, a partire dal Presidente della Repubblica, Napolitano, che s'è invece distinto per una lettura unilaterale di quanto accaduto, durante la seconda guerra mondiale e subito dopo, sul confine orientale. Così, nonostante lavori ben documentati come L'Occupazione italiana dei Balcani (2008) di Davide Conti, da noi si continua a parlare delle foibe e dell'esodo della comunità giuliano-dalmata ma non delle efferatezze fasciste in Jugoslavia.
L'orientamento delle istituzioni è condiviso dai principali media del paese che raramente si confrontano con le nuove acquisizioni storiografiche sulle guerre italiane. Uno dei casi più indicativi di questa tendenza a non amplificare troppo gli esiti, spesso sconvolgenti, della ricerca sui crimini bellici italiani, riguarda la Grecia. Un recente documentario, La guerra sporca di Mussolini di Giovanni Donfrancesco, ha portato alla luce una strage sconosciuta, quella nel villaggio di Domenikon, in Tessaglia (febbraio 1943), restituendo con grande efficacia il contesto in cui essa si è inserita. Ossia, l'occupazione fascista della Grecia con tutte le sue dolorose conseguenze per la popolazione. Alla luce di ciò, nel febbraio del 2009 l'ambasciatore italiano, per la prima volta, ha chiesto scusa alla Grecia. Bene, ma quale eco ha avuto da noi questo atto ufficiale? Non pare che i media gli abbiano dato grande risalto.
A volte sembra che, nonostante l'ormai considerevole mole di libri ed audiovisivi sul tema, in Italia si faccia di tutto per non allontanarsi dai nefasti anni '50, quelli del "processo s'agapò". Allora, la comparsa sulla rivista Cinema Nuovo di un soggetto cinematografico sull'occupazione italiana della Grecia (L'armata s'agapò), comportò pesanti conseguenze per il direttore della testata (Guido Aristarco) e per l'autore del soggetto (Renzo Renzi), accusati di vilipendio alle forze armate, soggetti a 45 giorni di carcerazione preventiva nella fortezza di Peschiera del Garda e processati dal Tribunale Militare di Milano. L'opinione pubblica democratica non si scandalizzò solo per l’attacco alla libertà di stampa: colpì il fatto che poiché i due imputati erano civili in congedo ancora in età da servizio militare, basandosi sul Codice di procedura penale del 1930, ad occuparsi di loro non fu la magistratura ordinaria.
Certo, oggi, rileggendo quel testo si fa fatica a considerarlo dirompente. La descrizione del vissuto dell'Armata dell'amore (s'agapò in greco vuol dire "ti amo"), del modo in cui essa induceva le donne greche affamate a prostituirsi, pur consegnandoci un quadro desolante, non può che risultare parziale rispetto a quanto ci fa sapere il documentario di Donfrancesco. Ma probabilmente, anche all'epoca (siamo nel 1953), ciò che spinse ad intervenire contro Aristarco e Renzi non fu solo il contenuto del soggetto, bensì la reazione ch'esso provocò tra alcuni italiani che avevano partecipato all'occupazione della Grecia. Non mancarono infatti le lettere di chi confermava quanto scritto da Renzi, aggiungendo altri particolari tratti dalla propria esperienza. In pratica, si stava sviluppando un dibattito pubblico attorno all'occupazione della Grecia. Un dibattito che andava assolutamente stroncato.
In favore di Aristarco e Renzi vi furono molte prese di posizione, alcune semplicemente legate al rifiuto delle misure lesive della libertà di stampa e di un ruolo delle giustizia militare non consono ad uno Stato democratico, altre imperniate sulla condanna delle guerre fasciste. Forse, nella campagna contro il “processo s'agapò” prevalse il primo aspetto, tanto che due anni dopo si giunse ad una modifica del Codice di procedura penale, in modo che i civili in congedo dal servizio militare passassero definitivamente sotto la giurisdizione penale ordinaria. Ad ogni modo, l'intento delle autorità italiane - militari e non - fu raggiunto. Sulle vicende greche della seconda guerra mondiale fu messa sopra una pietra tombale, nel sollievo di una parte cospicua del paese, che non voleva fare i conti con certe scomode realtà.
Un intervento emblematico sulla vicenda è quello, a processo concluso, dello scrittore Curzio Malaparte, nella sua rubrica Battibecco sul settimanale Tempo, rotocalco politico che accoglieva diversi punti di vista. L'autore dei romanzi La pelle e Kaputt, noto per le sue giravolte politiche, dal fascismo alla tarda adesione al PCI, nonché per la sua vena polemica esibizionistica, esprime meglio di altri l'opinione più diffusa.
"Tutto è buon pretesto, nella nostra repubblica democratica, per metter le manette e la museruola agli italiani. Perfino le leggi fasciste. Perfino le leggi che sono sfacciatamente contro la Costituzione. Ma mi sono guardato bene dal proclamarmi pronto (come molti han fatto con sospetta leggerezza) a firmare l'articolo del Renzi".
Dunque, Malaparte si smarca dall'Italia più reazionaria, ritenendo illegittimo il processo. Ma parimenti - ed anzi con maggior foga - si dissocia dall'autore del soggetto cinematografico contestato: "(...) se il Renzi aveva il diritto (...) di esprimere la propria condanna morale di quella guerra, non aveva tuttavia il diritto di far passare la massa dei soldati italiani per un branco di cialtroni, privi, come lui, di qualunque sensibilità morale, che approfittavano allegramente della loro condizione di 'falsi vincitori' (purtroppo vera) per sfogare i loro bassi istinti a danno di un'inerme popolazione vinta e affamata, e perciò degna non soltanto di pietà, ma di rispetto".
Nell'argomentare, Malaparte butta un po' di fumo negli occhi dei lettori, avanzando dubbi sulla coerenza morale del soggettista, "un ufficiale che, durante gli stessi anni dell'occupazione italiana, si è comportato senza generosità verso l'infelice popolazione greca". "Quando è emerso, dal dibattito processuale, l'episodio del cittadino greco da lui fatto arrestare per aver applaudito un aereo inglese, il pubblico ha mormorato di sdegno contro il Renzi".
Ma questi riferimenti alle responsabilità dello scrittore sono pretestuosi. Il punto, per Malaparte, è un altro: "Come mai, prima di condannare l'esercito italiano in Grecia, egli non si è preoccupato di condannare quelle vere e proprie 'armata s'agapò' che erano gli eserciti alleati in Italia? Spero non venga a dirmi che egli ignora l'uso che delle loro pagnotte e dei loro pacchetti di sigarette facevano gli americani, gli inglesi, i francesi, i brasiliani, i negri, gli indiani, i marocchini, durante gli anni di occupazione in Italia. Perché il Renzi si preoccupa tanto del bruscolo che ha nell'occhio e non della trave nell'occhio altrui?".
La morale evangelica viene ribaltata senza pudore, per ribadire che "per condannare le occupazioni straniere, il Renzi non aveva nessun bisogno di andare a prendere ad esempio i soldati italiani in Grecia: gli doveva bastare l'esempio degli alleati in Italia" (Curzio Malaparte, Battibecco, 1953-1957, Vallecchi 1967, pp 91-95). Per quanto eccentrica sia la sua figura, Malaparte qui ha avuto la capacità di mettere nero su bianco, con rara efficacia, la mentalità dominante in questo paese.
Una mentalità sicuramente favorita dall’impunità di cui hanno goduto i criminali di guerra italiani, dalla mancata Norimberga nostrana cui si arrivò mediante quel percorso di trattative e di accordi segreti, di elusione delle richieste di giustizia dei paesi aggrediti, che è efficacemente descritto nell’ultimo libro di Davide Conti.
A molti, d'altra parte, ha fatto comodo l'omissione pluridecennale delle efferatezze belliche italiane. Sicuramente, a quella parte cospicua dell'apparato burocratico-militare che dal fascismo si riciclò nella repubblica democratica, in un quadro di continuità dello Stato che smentiva le istanze profonde di cambiamento che avevano attraversato la Resistenza. Così come alla NATO, che non aveva interesse che un suo paese membro, cruciale per la posizione nel Mediterraneo e verso i Balcani, venisse trascinato sul banco degli imputati. Ciò che fu impossibile evitare alla Germania, venne risparmiato all'Italia, che riuscì ad accedere allo status di cardine della democrazia senza fare i conti con le sofferenze inflitte ad altri popoli.
Ora, per amore di verità va detto che la tendenza a rimuovere cospicui pezzi di storia non è stata sufficientemente contrastata dagli antifascisti e dalla sinistra italiana nelle sue diverse anime, incluse le più radicali. Il tradizionale antiamericanismo ci spesso portato a non affiancare alla legittima denuncia della trave nell'occhio altrui (cioè, delle imprese passate e presenti dell’imperialismo USA), la messa in evidenza anche della trave nel proprio occhio. Perciò, si è riscontrato un ritardo nell'iniziativa su questi temi e solo negli ultimissimi anni ci si è messi al passo con la migliore produzione storiografica.
Intensificare l'azione su questi temi è quanto mai necessario. E' vero: oggi non si finisce sotto processo per aver realizzato un documentario come quello di Donfrancesco sui crimini italiani in Grecia. Però, se la situazione è diversa da quella dell’era del “processo s'agapò”, è come se rispetto ad una lunga fase segnata dalle omissioni non si fosse comunque consumata una cesura completa.
L'impressione è che non si voglia procedere ad un superamento definitivo del mito degli "italiani brava gente" per finalità diverse dal passato, ma sempre connesse al ruolo internazionale dell'Italia. Dal 1991 (prima guerra all'Iraq) ad oggi, si sono moltiplicate le imprese militari in cui è coinvolto il nostro paese, uno dei più presenti, con i suoi soldati, nei cosiddetti "scenari di crisi".
Questa politica estera, sostanzialmente aggressiva, ha trovato il consenso di larga parte del quadro politico, dalla destra alla sinistra ufficiale. A determinarla, è senz'altro il vincolo che lega l'Italia all'Alleanza Atlantica ed al blocco dei paesi occidentali in generale. Ma non solo. Sarebbe errato trascurare la spinta che, in questa direzione, viene data da rilevanti settori del capitalismo italiano, interessati a partecipare alla spartizione delle risorse dei paesi occupati militarmente.
Ora, su queste vicende in Italia non vi è né un'adeguata informazione né un serio dibattito pubblico. Vi sono organi di informazione indipendenti come PeaceReporter che, rispetto all'occupazione dell'Afghanistan, producono documentazione relativa sia alle concrete azioni belliche poste in essere dai soldati italiani sia agli affari di guerra realizzati dalle imprese nostrane. Ma questi elementi vengono deliberatamente ignorati dai principali media, interessati a dipingere le missioni militari all'estero come operazioni umanitarie, sostanzialmente inoffensive e dedite ad assistere le popolazioni locali.
E’ evidente: se in questo paese vi fosse stato un dibattito reale sulle guerre del passato, se i crimini commessi in altre fasi storiche avessero un maggiore posto nella coscienza collettiva, un'opera di mistificazione come l'attuale sarebbe senz'altro più difficile.
E' per questo che l'ormai imponente documentazione prodotta in questi anni su pagine storiche ingloriose continua ad avere poco spazio sui media. Il nostro compito, dunque, è quello di creare sempre maggiori occasioni di discussione attorno a documentari come quello realizzato da Donfrancesco e a ricerche come quelle svolte da Davide Conti. Nella consapevolezza che non si tratta solo di un atto dovuto nei confronti delle popolazioni aggredite in passato, ma anche di un contributo alla discussione sulla politica estera portata avanti in questa fase storica. Perché giorno dopo giorno ci appaiono sempre più evidenti le consonanze fra la retorica odierna sui soldati italiani "difensori della libertà" e quella passata che li dipingeva come "portatori di civiltà"

Il 21 maggio 2011 al Villaggio Globale alle17.00 proiezione del documentario
La Guerra sporca di Mussolini (2008) di Giovanni Donfrancesco.

Ore 18.00 inizio dibattito, Intervengono:
Bianca Bracci Torsi
- Presidente Sezione ANPI Villaggio Globale e Consigliera Nazionale ANPI
Davide Conti - Storico e autore di Criminali di Guerra Italiani - Edizioni Odradek, 2011
Ernesto Nassi - Segretario Provinciale ANPI Roma e Lazio
Moderatore: Stefano Macera (redazione del Pane e le rose - www.pane-rose.it)

a seguire Cena e dj set

ANPI Villaggio Globale - Roma

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