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Gugliotta

Si apre una finestra sui metodi della polizia italiana

(14 Maggio 2010) Enzo Apicella
I TG trasmettono l'intervista a Stefano Gugliotta, che porta i segni del pestaggio immotivato da parte della polizia

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E' proprio vero: è una questione di …collegamenti.

Sulle perquisizioni del 17 febbraio (e non solo).

(23 Febbraio 2004)

La mattina del 17 febbraio si è consumato un ennesimo atto repressivo.
Si tratta di un nuovo tassello della campagna poliziesca che da tempo sta colpendo un movimento che, in altrettante forme quante sono le sue anime, contesta lo stato delle cose.
Questa volta hanno subito perquisizione una quarantina di persone – tra le quali un compagno della nostra struttura - e due spazi sociali.
Secondo la stampa, che ha notevolmente amplificato l'operazione in questione, si sarebbe colpito un non meglio precisato "asse Roma - Viterbo".

In realtà siamo di fronte ad un nuovo tentativo di imputare a diverse persone il 270 bis, cioè l'associazione sovversiva.
A ben vedere, a chi ha subito la perquisizione non sono stati contestati fatti specifici, risultandogli invece genericamente attribuita la volontà di usare la violenza per attaccare le istituzioni.

Si ha dunque una prova ulteriore del grande vantaggio presentato dai reati associativi: in fondo c'è poco di concreto da dimostrare, l'essenziale è che chi orchestra e dà un senso logico alle indagini abbia fantasia e che gli sia possibile rinvenire un qualsivoglia legame tra gli indagati.
Certo, si potrà osservare che nel caso che stiamo commentando, come già è stato evidenziato da altri comunicati, molti dei perquisiti non si conoscono neppure.
Ma questo, nell'attuale contesto, in fondo conta poco.

I confini di applicabilità dei reati associativi non sono mai stati estesi come oggi, risultando sufficiente la semplice condivisione di un momento pubblico di piazza per far scattare il tipo di imputazione di cui stiamo parlando.
Ciò per un preciso motivo: indagini come quelle cui qui si accenna nascondono sempre altri motivi di fondo rispetto a quelli da cui ufficialmente traggono avvio (pacchi-bomba, scontri di piazza ecc).

Ci sembra impossibile, infatti, non collegare l’attuale attività repressiva all’emergere di una maggiore conflittualità nel paese.
Si pensi solo alla notevole sequenza di momenti di lotta degli ultimi mesi.
Si va dai blocchi stradali che coinvolgono intere comunità come quelli che a Scanzano Jonico hanno contrastato l'attacco alla vita rappresentato dalle scorie nucleari; allo sciopero generale cittadino di Terni a fianco degli operai delle acciaierie; per non dire del sommovimento nel settore dei trasporti, con l'agitazione portata avanti con vigore dagli aeroportuali di Roma e con gli scioperi, finalmente liberi da preavvisi e da lacci di vario tipo, degli autoferrotranvieri.

In quest'ultimo caso, non solo si sono disseppellite da strati profondi di passività sociale e di conflitto concertato le forme di lotta che hanno attraversato le fasi migliori della storia del movimento operaio, come il biennio '68-'69, ma si è riportata una vittoria, se non sul piano contrattuale almeno su quello dell'immaginario.
Si è di nuovo affermato, infatti, che ribellarsi è giusto, che il dispiegarsi del conflitto non può sottostare ad altre "regole", ad altre "leggi" che non siano le proprie.
Ora, tale messaggio è passato, lo hanno constatato persino le cosiddette interviste alla gente comune di cui ad un certo punto si sono riempite le pagine dei quotidiani.

Ma ciò, ancorché importante, non risulta di per sé sufficiente a costituire una minaccia nei confronti dell'ordine costituito.
Lorsignori ne sono consapevoli e cercano quindi in tutti i modi di stroncare sul nascere la possibilità che gli elementi di nuova consapevolezza che si stanno diffondendo, si trasformino in una prassi stabile e di massa.

Perciò, il loro primo obiettivo è di impedire che si realizzino i collegamenti.
Quali? Non certo quelli di cui si sproloquia sulla stampa.
Per fare un esempio, le allegre e spensierate compagnie di artificieri su cui si scrivono fiumi di parole, se ne desse anche l'esistenza effettiva, tutto potrebbero costituire fuorché un pericolo per l'esistente o un fenomeno tale da non poter essere metabolizzato dal sistema.
No, per impensierire lorsignori ci vuol ben altro.
Ci vogliono collegamenti di natura assai diversa.

Uno, ad esempio, è quello che si potrebbe verificare e consolidare tra le lotte portate avanti dai diversi soggetti sociali e l’antagonismo espresso da vari settori del movimento.
Non si può dimenticare, infatti, che anche in periodi di relativa pace sociale, quelli che si usa definire militanti cercano di sedimentare percorsi conflittuali al di fuori delle logiche della mediazione istituzionale.
Ciò rimanda, d'altra parte, alla più tipica ed importante tra le prerogative loro proprie.
Quella di poter trasmettere non la coscienza (o la scienza) dal di fuori delle lotte, come si è teorizzato in settori purtroppo maggioritari nella storia del movimento operaio, bensì una memoria, tale da coincidere con l'esperienza proletaria, intesa come percorso pluridecennale.
Una memoria, che per definizione non può mai esser paga di sé stessa, dovendo intrecciarsi di continuo con le invenzioni e con la creazione di forme di negazione dell'esistente di cui sono portatori i diversi soggetti sociali tutte le volte che escono dall'apatia, dando vita ai momenti conflittuali anche più piccoli.

Stiamo dunque parlando di uno scambio, non di un rapporto in cui le realtà militanti sono investite della missione di convertire le masse al loro verbo, o di imprimere - da sole - una svolta, una rottura nel continuum storico! E' bene precisarlo, quando si parla di repressione.
Altrimenti si sfocia nel culto autoreferenziale del militante/eroe/martire, che lotta con coraggio in una società che non lo comprende.
Ora, rivendicare la propria determinazione e la propria volontà di essere incompatibili verso l'esistente, va bene, è anzi necessario.
Purché si capisca che la repressione che ci colpisce non è che una faccia di un fenomeno più generalizzato.

Un fenomeno che tocca ogni ambito del vivere sociale, trasformando le sfere della nostra esistenza (il lavoro, l'istruzione, la fruizione del cosiddetto tempo libero) in una serie di luoghi dove il controllo su ogni nostra azione, con la possibilità di sanzionare quelle che infrangono le regole, la trasmissione di una precisa disciplina e di una ideologia volta ad eternare il presente, convergono verso un unico obiettivo.
Quello di convincere a non alzare mai la testa! Ora, proprio la consapevolezza di ciò deve spingerci ad invertire la rotta rispetto a come troppe volte si gestiscono le campagne contro la repressione.

Occorre far passare con forza l'idea che le perquisizioni che ci colpiscono ed i provvedimenti disciplinari con i quali vengono puniti gli autoferrotranvieri e gli aeroportuali non sono che due aspetti di una stessa realtà.
Occorre, ancora, saper individuare collettivamente, in uno sforzo che sia il più possibile unitario, il filo che lega, al di là dei diversi settori di movimento colpiti, operazioni come, poniamo, quella rivolta contro il Sud Ribelle e quella che ha avuto modo di prodursi il 17 febbraio.

D'altronde, il superamento della autoreferenzialità di cui si diceva prima, fa tutt'uno con quello del settarismo che porta spesso i singoli settori del movimento o a solidarizzare solo con i soggetti colpiti dalla repressione che si sentono più vicini o a disinteressarsi delle vicende altrui, quasi nella speranza/illusione di poter essere risparmiati dallo Stato e dai suoi apparati.

Di più, chi effettivamente si sia messo in discussione, così da non percepirsi più come portatore del verbo (un verbo che ognuno identifica con le parole d'ordine della sua struttura), avrà di fronte a sé una possibilità: potrà articolare e portare avanti nel miglior modo possibile le campagne contro le singole operazioni di polizia e contro il complessivo dispiegarsi della repressione.

In questo senso, Corrispondenze Metropolitane intende assumere, nei limiti delle sue possibilità, un preciso impegno.
Quello di far vivere la battaglia contro la nuova operazione repressiva e contro quelle che l'hanno preceduta e che, molto probabilmente, la seguiranno, in ogni manifestazione, in tutte le lotte per i bisogni.
Senza considerare, quindi, la mobilitazione contro gli attacchi che ci riserva lo Stato come cosa a sé rispetto a quella militanza quotidiana nella quale solo si possono sviluppare i collegamenti, quelli veri.
Quelli di cui, come s'è visto, abbisogna un movimento che veramente voglia rovesciare l'esistente, cancellando dalla faccia della terra l'infamia rappresentata dallo sfruttamento, dalla riduzione delle donne, degli uomini e dell'ambiente, in merci.

Roma, 22 febbraio 2004

Corrispondenze metropolitane - Collettivo di controinformazione ed inchiesta

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