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La fatalità dominante

La fatalità dominante

(26 Novembre 2011) Enzo Apicella

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    Marghera, le due verità

    Le motivazioni della sentenza sul Petrolchimico (articolo di Liberazione)

    (31 Maggio 2002)

    Una buona parte delle motivazioni (attese da quel fatidico due novembre dello scorso anno) risente chiaramente della necessità di rispondere alla generale indignazione dell'opinione pubblica alla pronuncia della sentenza assolutoria. Secondo il collegio giudicante, tutti noi saremmo stati suggestionati e abbagliati a causa della impostazione volutamente "fuorviante" (e della "artificiosa forzatura") tenuta dalla pubblica accusa durante il dibattimento.

    Un giudizio pesante nei riguardi di Felice Casson. La manipolazione sarebbe avvenuta, innanzitutto, sul piano storico, attraverso "un quadro del passato riportato al presente", al solo scopo di poter svolgere un processo che "diversamente non avrebbe potuto aver inizio". Inoltre la pubblica accusa avrebbe cercato un coinvolgimento emotivo, toccando toni enfatici di "grande impatto" e "forza evocativa", ma privi di sostanza giuridica e riscontro nei fatti. Per questi motivi i giudici hanno ritenuto opportuno dare qualche lezione di ripasso a chi si fosse scordato che "il principio fondamentale di uno Stato democratico (è) la separazione dei poteri" e che il principio invalicabile è quello dell'accertamento della soggettiva responsabilità penale dei singoli imputati. Niente, quindi, giudizi sommari e massificati, niente "sconfinamento di campo" nella politica, né confusione con le analisi storiche e il senso morale delle cose. Insomma, la Pubblica accusa avrebbe fatto un uso improprio del processo parlando di "modello di sviluppo criminogeno", giungendo persino a sostenere ipotesi di reato fantasiose quali "strage colposa", "disastro ambientale continuato", "ecocidio" inesistenti nell'ordinamento giudiziario.

    Avremo modo di studiare attentamente le oltre mille pagine della sentenza (già ora a disposizione nel sito www. stenotipia. it), ma quanto abbiamo fin'ora letto continua a non convincerci. Ciò che per esperienza e per conoscenza abbiamo saputo essere successo dentro le mura di quella fabbrica e ciò che è stato vomitato fuori non collima neanche un po' con le conclusioni del processo. La distanza tra le due verità continua ad essere troppo grande e ciò ci stupisce e ci indigna. Le vittime rimangono senza responsabili. Gli inquinamenti inesistenti. Tanto che secondo le risultanze processuali i cospicui risarcimenti ai familiari dei deceduti (una settantina di miliardi di vecchie lire per un centinaio di morti) e allo Stato per i danni ambientali (più di 500 miliardi con cui si potranno avviare i primi intervneti di conterminazione dell'area chimica e di bonifica dei sedimenti contaminati dei canali) avrebbero potuto non essere concessi.

    La piattaforma delle certezze da cui i giudici muovono la loro opera di demolizione del castello delle accuse sono essenzialmente due: "Nessun tumore è stato registrato tra i dipendenti del Petrolchimico in coloro che sono stati assunti dal 1967 in poi", ovverosia: il tempo di latenza è stato così lungo che il reato - anche se ci fosse stato - è caduto in prescrizione; secondo: prima della metà degli anni '70, per la salute umana, e dei primi anni '80, per la tutela dell'ambiente, non esistevano "parametri normativi sussistenti", leggi certe e penalmente valevoli. In altri termini: prima di una certa data gli industriali non sapevano della cancerogenità e della tossicività del Cloruro di Vinile Monomero, dopo tali date le aziende Montedison e seguenti hanno rispettato limiti e prescrizioni.

    Per dimostrare tali assunti il collegio del giudice Salvarani fa buone tutte le perizie di parte presentate dalla difesa, rigetta quelle dell'accusa, peraltro, senza mai (salvo nel caso delle cozze alla diossina) ricorrere a perizie terze. Ma ciò che più sorprende è che i giudici per sostenere la validità di tale discrimine temporale propongono una ricostruzione della storia operaia della grande fabbrica chimica veneziana valorizzando i movimenti e le lotte degli anni '60. Autunno caldo e Potere operaio, Gruppi omogenei e sindacato dei Consigli sono citati ed indicati come i soggetti della svolta che portarono alla fine degli anni '60 a nuovi diritti e nuove normative di tutela della salute. "La fabbrica di quegli anni è luogo nocivo e rischioso, ma è anche luogo in cui avvengono processi di aggregazione, di solidarietà, di comprensione delle difficoltà proprie e altrui".

    Fino ad allora le persone accettano il rischio della fabbrica e i sindacati monetizzano la nocività, poi è quasi "l'alba di una nuova era". Si conquistano contratti collettivi, lo Statuto dei diritti dei lavoratori e i Mac per le sostanze tossiche si abbassano avvicinandosi allo zero. Le aperture del giudice sono a tutto campo: "Il principio precauzionale ha un alto valore etico e se esso fosse diventato non solo in tempi recenti (sic) patrimonio della cultura scientifica, industriale e legislativa avrebbe potuto salvare molte vite umane". Ma… per il Cvm i limiti stabiliti e rispettati - dal '79 - sono stati "adeguatamente protettivi". Per il Cvm la valutazione del legislatore è stata diversa rispetto a quella decisa per l'amianto, ricorda il giudice - messo fuori legge dal '92. In altri termini il collegio ci dice che non è sua loro se la chimica del cloro è ancora in produzione e il conseguente rischio socialmente accettato. Loro non fanno politica. Il secolo delle ciminiere si prolunga oltre il Novecento. Gabriele Bortolozzo, l'operaio che con la sua obiezione di coscienza alla lavorazione delle sostanze cancerogene dette il via all'inchiesta sulle 164 neoplasie da Cvm, rimane un isolato.

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