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Paese Basco: Zona di guerra?

Articolo pubblicato su "Guerra e Pace" Febbraio 2004

(26 Febbraio 2004)

All'alba del 4 novembre alcuni tranquilli borghi del Paese basco si sono trasformati in zona di guerra. In uno squallido remake di Apokalipse Now, elicotteri da combattimento hanno scaricato nelle piazze di Euskal Herria un migliaio di paracadutisti in assetto da guerra che, per sgranchirsi le gambe, hanno scelto il territorio che meno li ama. Sindaci e semplici cittadini hanno denunciato l'atteggiamento aggressivo dei paracadutisti di Alcalà de Henares che hanno letteralmente occupato i paesi inscenando combattimenti e rastrellamenti. Ai cittadini atterriti certe scene hanno riportato alla mente la tragica invasione dei battaglioni di Francisco Franco e i bombardamenti della Legione Condor a Gernika e Durango. Eventi lontani ma mai dimenticati: a tenere vivo il ricordo ci ha pensato il Partido Popular (Pp) di Aznar che si rifiuta tuttora di condannare la ribellione del Generalissimo e i più di quarant'anni di spietata dittatura i cui fasti qualche esponente del governo vorrebbe anzi rivivere.

SARÀ UN CASO?

I paracadutisti non si sono accontentati di "conquistare" ben 65 centri in Araba, Bizkaia, Gipuzkoa e Nafarroa, ma sono arrivati a occupare il centro di grandi città come Bilbao e Gasteiz, sorvolando a bassa quota le sedi del governo della Comunità autonoma (Cav) e accampandosi a pochi metri dalla Radio pubblica basca. Sarà un caso che le sedi delle istituzioni autonome siano diventate obiettivi militari? Oppure che la maggioranza dei municipi militarizzati siano stati governati dalla sinistra indipendentista prima che il Parlamento di Madrid e il supergiudice Garzon ne decretassero la messa fuori legge?

Certamente no, come hanno fatto notare esponenti di tutti i partiti baschi, dai cosiddetti moderati (Partito nazionalista basco ed Eusko Alkartasuna) alla sinistra indipendentista (la disciolta ma attiva Batasuna e la neonata Aralar). Anche i dirigenti locali della Sinistra unita hanno avuto parole di fuoco per delle esercitazioni che, per quanto possa dire il ministro della Difesa, Trillo, non sono affatto abituali all'interno dei centri abitati. I cui sindaci, tra l'altro, non sono stati neanche preavvisati delle imminenti manovre. Come ha fatto notare Eudima, la Federazione dei Municipi baschi "insubordinati", di fronte a un rifiuto da parte degli enti locali l'esercito avrebbe comunque portato a termine le manovre, evidenziando però che i comandi militari e lo stato se ne infischiano dell'autonomia e della volontà popolare e sono disponibili anche a ricorrere alla sopraffazione pur di perseguire i propri piani. Il presidente di Eudima ha comunque invitato la società civile a opporsi alle esercitazioni, manifestando un'opposizione al militarismo di Madrid che già nel 1984 il popolo basco evidenziò votando "no" all'adesione alla Nato. Anche in occasione delle recenti avventure militari di Aznar - contenzioso col Marocco per la sovranità dell'isola di Perejil e invasione dell'Iraq - la maggioranza del parlamento regionale basco si è pronunciata in maniera opposta alle istituzioni spagnole.

UN NUOVO PATTO POLITICO

Il territorio basco è il più militarizzato dello stato e secondo in Europa solo al Nord Irlanda: nel 2001 il numero di appartenenti ai corpi di sicurezza dello stato sia civili che militari sono passati in Euskal Herria da 22.000 a 23.700 (dati dall'associazione Askatasuna, mai smentiti). I cittadini baschi - neanche tre milioni - sono abituati a vivere in stato d'assedio. Ma le esercitazioni di novembre sono da considerarsi un messaggio politico chiaro sia alla base sociale della sinistra indipendentista che al governo regionale retto dal tripartito Pnv-Ea-Ezker Batua (sezione basca di Izquierda Unida) impegnati in un difficile quanto fondamentale processo di costruzione nazionale che permetta alla società basca di potersi esprimere liberamente sul proprio futuro.

Lo schieramento di soldati armati nei centri abitati suona come un'esplicita provocazione nei confronti del Nuovo statuto presentato dal Lehendakari (presidente del governo della Cav) Juan Josè Ibarretxe. Nel 24° anniversario del vecchio Statuto d'autonomia (che convinse assai poco la popolazione basca per le limitazioni imposte all'esercizio dell'autogoverno), egli ha proposto un "nuovo patto politico per la convivenza", attraverso una "sovranità condivisa" e "la libera associazione a uno stato plurinazionale". La proposta dovrebbe essere sottoposta a referendum nelle tre province della Cav (Vizcaya, Guipuzcoa e Alava). "Stiamo parlando di un patto e di un modello di co-sovranità libera e volontariamente condivisa", ha sottolineato il lehendakari, il cui scopo è creare un "sistema bilaterale con garanzie che non permettano una modifica unilaterale" degli accordi fra stato e istituzioni basche. Ibarretxe ha aggiunto che, siccome Madrid non ha mai trasferito all'esecutivo basco le competenze che gli spettano in base al vecchio Statuto, procederà autonomamente in settori come il welfare, la ricerca scientifica, il sostegno alle manifestazioni culturali.

UNA NUOVA AUTONOMIA

Il testo comporta una profonda revisione della normativa vigente. Non è più il popolo basco a costituirsi in comunità all'interno dello stato, ma sono le tre province, in quanto parte integrante di Euskal Herria, che si costituiscono in "comunità basca liberamente associata allo stato spagnolo". Scompare l'idea di una possibile adesione della Navarra alla Cav, mentre si prevede la possibilità di una futura fusione in una struttura politica comune. Nel frattempo il testo invita le due comunità a stringere relazioni a tutti i livelli, così come coi territori baschi all'interno dello stato francese, sfruttando gli incentivi alla cooperazione transfrontaliera previsti dall'Ue.

La Navarra è stata storicamente la culla della lingua basca, non a caso definita anche "Lengua Navarrorum". Il Regno di Navarra fu l'unica forma statuale che riunì tutti i territori attualmente considerati come "Euskal Herria" dalle varie correnti patriottiche, perdendoli poi man mano che cresceva la potenza delle corone di Castiglia e Aragona.

I Navarri si sono sempre considerati baschi, anche se nell'ultimo secolo è cresciuto un sentimento "navarrista" che alcuni abitanti della provincia ritengono compatibile con l'identità basca e altri con quella spagnola. La separazione istituzionale della Navarra dal resto dei territori baschi spagnoli in realtà avvenne solo dopo la morte di Franco, quando i partiti centristi e il Psoe appoggiarono la creazione di una Comunità forale a parte rispetto alla Cav. L'esclusione della Navarra dall'attuale statuto da una parte è una presa d'atto delle diverse opinioni che dividono i navarri, dall'altra però è una pericolosa concessione ai nazionalisti spagnoli che soffiano sul fuoco di un particolarismo "navarrista" ferocemente conservatore per tentare di rendere ancora più improbabile la risoluzione del conflitto. Ciò che è negativo è l'esclusione dei cittadini navarri dalla possibilità di partecipare al dibattito sul futuro del Paese Basco.

I poteri della nuova Autonomia emanano dalla sua cittadinanza, la cui volontà popolare deve essere soddisfatta dal patto tra istituzioni basche e stato basato sull'accettazione del fatto che il nuovo regime "non comporta alcuna rinuncia ai diritti storici del popolo basco, che potranno essere riattualizzati in ogni momento in virtù di una volontà popolare democraticamente espressa". Il testo difende "l'esercizio democratico del diritto di decisione" per la popolazione delle tre province, includendo la possibilità di alterare la relazione politica con lo stato. Mentre lo Statuto in vigore limita le competenze del governo autonomo ai poteri esecutivo e legislativo, il nuovo progetto prevede la creazione di un Consiglio giudiziario basco.

Il Piano Ibarretxe prevede il concetto di "nazionalità basca", considerata compatibile con quella spagnola, e stabilisce che vi possano accedere tutti i residenti nei Municipi della Comunità (escludendo quindi la Navarra e le province del Nord) e i membri della diaspora. Alle istituzioni autonome spetterebbe il compito di garantire la rappresentatività e la partecipazione alle decisioni politiche dei cittadini baschi, così come di competenza del parlamento di Gasteiz sarebbe la "creazione, il riconoscimento, l'organizzazione e l'estinzione dei partiti", entrando in contraddizione con il parlamento spagnolo che nell'agosto del 2002 varava una legge ad hoc ("Ley de Partidos") finalizzata a rendere illegale ogni espressione politica della sinistra indipendentista, impedendo la rappresentanza politica di un quinto della società basca.

CHI ALIMENTA IL CONFLITTO?

La risposta di Madrid non si è fatta attendere. Il segretario generale del Pp spagnolo e candidato alla presidenza del governo, Mariano Rajoy, ha annunciato che adotterà tutte le misure giuridiche e politiche possibili "affinchè nulla, si chiami Piano Ibarretxe o terrorismo, prevalga sullo stato di diritto". Ancora più esplicito il suo omologo basco Carlo Iturgaiz: "Ibarretxe si è messo nel solco della linea dettata dall'Eta, portandone a termine i compiti politici". Sulla stessa linea il capo dei socialisti della Cav: "la proposta di nuovo statuto porta il paese verso un conflitto senza precedenti col resto delle istituzioni dello stato".

I partiti statali mettono sullo stesso piano un processo democratico di dibattito politico e le azioni armate di una organizzazione clandestina. E per alimentare quel conflitto che dicono di voler evitare sono costretti a importare nel Paese basco migliaia di nazionalisti spagnoli provenienti da altre zone. L'ultima occasione è stata la manifestazione convocata, con grande spiegamento di mezzi, da Basta Ya nella città di Donostia, quando 12.000 persone giunte in pulman da Castiglia, Andalusia e Cantabria hanno sventolato le bandiere spagnole al grido di "riprendiamoci i Paesi baschi". La presenza di neofranchisti e di estremisti del nazionalismo spagnolo era così soffocante che alcuni esponenti del Partito socialista sono stati costretti a dissociarsi dal corteo al quale avevano dovuto partecipare su input di Madrid.

A COLPI DI LEGGI

Se l'invasione dell'esercito e dei nostalgici di Franco non sortiscono l'effetto sperato, certamente più incisivo è stato l'intervento a livello legislativo: in pochi anni il Partido Popular ha stravolto il volto della monarchia parlamentare nata dal patto realizzato dai partiti antifranchisti con alcuni settori delle gerarchie falangiste all'indomani della morte del dittatore.

Prima è venuto l'arresto della direzione di Herri Batasuna, poi la chiusura del quotidiano Egin, di una radio e della rivista Ardi Beltza; la illegalizzazione e la persecuzione di organizzazioni giovanili, per la difesa della lingua e dei diritti degli ormai 700 prigionieri politici (cifra raramente raggiunta anche durante gli anni bui del franchismo); poi la chiusura del partito politico Batasuna e del giornale "Egunkaria", i cui dirigenti e giornalisti sono stati arrestati e torturati. Il teorema ispiratore stabilisce che tutte le opzioni politiche, associative, culturali, sindacali che si riconoscono nella richiesta del diritto all'autodeterminazione del popolo basco non sarebbero altro che la manifestazione, a livelli legali, della "banda terrorista Eta". La novità sta nel fatto che la magistratura spagnola ha cominciato a colpire anche gli esponenti dei partiti baschi cosiddetti moderati, come quando un giudice del Tribunale speciale ha inquisito il supplemento satirico del paludato giornale del Pnv per "delitto di lesa maestà"(!) perché aveva osato irridere il matrimonio tra Filippo di Borbone e la giornalista Leticia Ortiz.

Un episodio minore, ma che si accompagna a una serie interminabile di denunce e minacce nei confronti di chi osa opporsi: sindaci imprigionati perché colpevoli di aver dato vita a una federazione di Municipi baschi ritenuta illegale; sindaci e consiglieri navarri puniti perché osano esporre la bandiera basca; il deputato indipendentista Jon Salaberria condannato a un anno di carcere e a sette di inabilitazione per una dichiarazione rilasciata dentro l'emiciclo ma ritenuta delittuosa da una magistratura spagnola che non rispetta neanche l'immunità parlamentare.

GIUSTIZIA AD HOC

La denuncia nei confronti di tre esponenti del governo di Gasteiz per "delitto di ribellione" preoccupa non poco gli autonomisti. Sulla base del voto maggioritario del parlamento basco che respingeva la messa fuori legge di Batasuna, Juan María Atutxa (Pnv), Gorka Knorr (Ea) e Kontxi Bilbao (Eb) si sono rifiutati di dissolvere il gruppo parlamentare indipendentista e di tagliargli il finanziamento pubblico. Comportamento che sulla base dell'attuale legge potrebbe costargli due anni di sospensione dal loro incarico. Ma per i tre vi è la possibilità di una condanna ben più esemplare, visto che il governo ha ottenuto dalla Cortes di Madrid la modifica del Codice penale, varata ad hoc per punire i delitti di "disobbedienza", "ribellione" e "sedizione" e pensata soprattutto per impedire che nel Paese basco un referendum popolare possa approvare il nuovo Statuto d'autonomia. Jaime Mayor Oreja aveva da tempo annunciato che "l'azione della giustizia contro il Piano Ibarretxe sarà crescente e implacable". Sia il Psoe che i partiti regionalisti che in questi anni hanno spalleggiato Aznar non hanno potuto avallare un nuovo codice penale che punisce con cinque anni di carcere tutti coloro che - eletti o funzionari - si rendano responsabili dell'indizione o dell'organizzazione di referendum realizzati senza l'approvazione di Madrid. Il nuovo testo istituisce addirittura il reato di "finanziamento con fondi pubblici di partiti messi fuori legge"! La condanna per sedizione prevede dagli otto ai dieci anni di carcere per i normali cittadini e dai dieci ai quindici per le "autorità politiche" che si schierino contro le decisioni delle autorità

A richiedere tale inasprimento della legislazione repressiva nei confronti di una possibile soluzione negoziale del conflitto tra popolo basco e stato spagnolo sono stati naturalmente gli ambienti più retrivi della classe politica spagnola, che purtroppo sembrano godere di una fiducia incondizionata da parte dell'opinione pubblica di quella "Spagna profonda" che odia profondamente tutto ciò che è basco e che sembra disponibile ad accettare ogni sorta di limitazione delle proprie libertà politiche in cambio della repressione dei "separatisti". Ma sono state anche alcune associazioni di magistrati, oltre alla confindustria basca e navarra, assieme alle alte gerarchie della Chiesa cattolica, a spingere sul governo affinché si prendessero tutte le misure necessarie per bloccare la voglia di sovranità del popolo basco incarnata, seppur timidamente, dal Piano Ibarretxe.

LA SINISTRA INDIPENDENTISTA

La sinistra indipendentista, che seppur ridotta alla clandestinità continua a mobilitarsi, ha criticato la proposta Ibarretxe perché insufficiente e contraddittoria. Ma contemporaneamente il suo portavoce Arnaldo Otegi ha proposto un'alleanza elettorale e politica di tutte le forze basche che si oppongono alla deriva autoritaria e centralista del governo centrale, in vista delle elezioni generali di primavera. Eusko Alkartasuna si è mostrato disponibile, ma il Pnv tentenna. Da una parte il partito di Ibarretxe sogna una stabilità che gli permetta di continuare a gestire la cosa pubblica nel Paese basco; dall'altra però sa che il Pp, al contrario dei predecessori socialisti, non è disponibile a delegare agli autonomisti la gestione del potere in un territorio centrale a livello economico nonché simbolico. Il Pp ha provato la via dello sfondamento elettorale nei consigli elettivi baschi ma, non riuscendoci, ha deciso di cambiare strategia, togliendo di mezzo prima Batasuna e tentando adesso la stessa operazione con le opzioni "moderate".

È evidente che il progetto del Pnv di aumentare il grado di autogoverno utilizzando le vie legali concesse dalla legislazione statale non è attuabile, visto che il Pp e i poteri forti spagnoli hanno dimostrato di poter cambiare le regole del gioco in corso d'opera. La "Legge dei partiti" e poi la riforma restrittiva del Codice penale segnano la cancellazione pressoché totale dello stato di diritto in una Spagna in cui i mezzi d'informazione di massa sono concentrati nelle mani di un unico gruppo editoriale, in cui la divisione dei poteri è un lontano ricordo, in cui le élite economiche sognano e perseguono un'espansione internazionale sulla scia dell'alleato Bush.

Non è pensabile alcun processo che porti alla sovranità e alla convivenza nel Paese basco, e alla conseguente fine della violenza politica, senza la violazione della legalità imposta da Madrid contro la volontà popolare. La sinistra basca ha dimostrato più volte di saper violare la legalità, in nome della giustizia, anche attraverso la disubbidienza di massa. Il Pnv, al contrario, è stato per trent'anni il garante della legalità a qualsiasi costo.

José Luis Bilbao, del Pnv, ha assicurato che "non ci sarà codice penale o delitto di ribellione che possano fermare una società determinata e piena di speranza". Sarà in grado e, soprattutto, vorrà il Pnv andare fino in fondo o trasformerà Euskal Herria in zona di guerra?

Marco Santopadre (CONTROPIANO)

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