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Assalto a Mavi Marmara, quello che molti non hanno saputo

(30 Maggio 2011)

La Freedom Flotilla 2010, su cui erano imbarcati settecento attivisti di 36 Paesi, era composta da sette navi: Mavi Marmara, Defne, Gazze I, Eleftheri Mesogios, Rachel Corrie, Sfendoni, Challenger I salpate da Coork, dal Pireo, da Istanbul e Antalya. Le imbarcazioni s’incontrano a sud di Cipro, viaggiano in direzione di Gaza per manifestare contro l’isolamento imposto da Israele e portare aiuti. Caricano 10.000 tonnellate di materiale edile, derrate alimentari, medicine. Nella notte del 30 maggio vengono intercettate dalla marina da guerra israeliana che minaccia il comandate della nave più grande, Mavi Marmara, d’interrompere la rotta. Lui risponde “Questa è una missione pacifica internazionale, non siamo in acque di vostra competenza. Viaggiamo verso sud, portiamo aiuti umanitari a Gaza”. Dopo circa un’ora i contatti satellitari della flottiglia per la pace s’interrompono e quattro navi da guerra iniziano a seguirla. Nell’operazione Israele utilizza anche due sottomarini, trenta imbarcazioni d’assalto tipo Zodiac, tre elicotteri Apache d’appoggio. Siamo a 73 miglia marine dalla costa, totalmente in acque internazionali.

Alle 4:30 del 31 maggio Mavi Marmara subisce l’arrembaggio via mare e cielo dei reparti d’assalto israeliani che mitra in mano ne occupano il ponte lanciando gas lacrimogeni e sparando. L’equipaggio di Mavi vede i militari assalire anche donne e anziani presenti a bordo. Gli attivisti più muscolari armati di bastoni, bottiglie d’acqua provano a difendersi e inizia la mattanza, alcuni sono freddati con un colpo in fronte. Nelle colluttazioni tre israeliani vengono disarmati e gettati in mare. Nove attivisti vengono uccisi, sono tutti cittadini turchi dai 19 ai 61 anni. I feriti sono cinquantaquattro, di cui ventitre gravi. I colpi d’arma da fuoco contro vetri e oblò continuano per due-tre minuti, impedendo i primi soccorsi ai feriti. Testimoni raccontano come attivisti medici che prestano soccorso anche a tre soldati feriti sono malmenati e ammanettati. Tutti restano per un’ora e mezzo sotto il tiro delle armi, quindi giunge l’ordine di riunire sul ponte un gruppo femminile e uno maschile. Gli uomini sono stati costretti a posizionarsi in ginocchio sul suolo bagnato. A chiunque si negano i bisogni primari, dal bere all’uso delle toilettes. Durante l’esecuzione delle operazioni gli elicotteri girano attorno alla nave schizzando con le pale l’acqua del mare.

Ogni richiesta o movimento degli attivisti diventava motivo per reazioni violente dei militari. Mavi Marmara è posta sotto sequestro e dirottata al porto di Ashdod. All’arrivo in serata nella località israeliana sul molo c’è una folla che esalta il successo dei propri soldati e insulta gli attivisti internazionali. Solo dopo lo sbarco avviene una distribuzione d’acqua e cibo ma chi era stato ammanettato sulla nave torna in manette. Tutti gli attivisti vengono interrogati in strutture mobili predisposte sul molo, il luogo è reso disagevole da un diffuso raffreddamento tramite condizionatori e quasi tutti indossano panni bagnati. L’accusa generale è di essere entrati in Israele senza permesso sebbene ciascuno dichiari d’essere giunto lì sequestrato e contro la propria volontà. Per ognuno c’è perquisizione e schedatura da parte di agenti dello Shabak. Segue un ulteriore trasferimento verso la prigione di Bersheva: 4 ore di viaggio su furgoni egualmente refrigerati a bassissima temperatura. All’arrivo a tutti è stato impedito di comunicare ai familiari per rassicurarli sul proprio stato di salute. Le guardie carcerarie impediscono il riposo notturno nelle celle coi classici rumori di disturbo.

Stabilito il rimpatrio aereo, nei due giorni seguenti i fermati vengono trasportati all’aeroporto. Durante i trasferimenti e le perquisizioni tutte le persone vengono ulteriormente strattonate e umiliate, molte colpite, qualcuno ancora ferito con corpi contundenti. Soldati e agenti continuano a insultare gli attivisti ricevendo il plauso dei superiori. Dopo l’imbarco aereo c’è un’attesa di dodici ore a bordo. Cinque feriti gravi restano in Israele e partono per la Turchia in tempi successivi. Durante le varie fasi di assalto, trasferimento, arresto ed espulsione gran parte delle attrezzature informatiche, televisive, fotografiche sono sequestrate e danneggiate. Le non molte immagini che gli attivisti hanno potuto far pervenire sono giunte tramite le poche macchine o i telefoni cellulari rimasti integri. Oltre agli arresti, altre violazioni illegali sono state: sequestro di passaporti, denaro e carte di credito che sono risultate usate dopo la restituzione. Ecco alcune testimonianze dirette raccolte, come questa ricostruzione, grazie al contributo dell’associazione umanitaria IHH Insani Yardim Vafki di Istanbul.

Mevlüt Yurtseven (medico, Turchia) “Sono uno dei medici della nave. In venti minuti quattro persone erano state uccise, più di cinquanta ferite, venti gravemente. I soldati hanno obbligato i feriti a sostenersi e camminare impedendo l’uso delle barelle. Io sono stato ammanettato per aver protestato contro questo comportamento”.

Maryam Luqman Talib (attivista, Australia) “Mio fratello Ahmet aveva ricevuto due colpi a una gamba e sanguinava abbondantemente. I soldati israeliani gli ordinavano di camminare. Ha perso conoscenza tre volte prima di salire sull’elicottero che lo conduceva all’ospedale”.

Sema Islek (infermiere, Turchia) “Dopo le sparatorie abbiamo predisposto sul ponte inferiore una sorta di postazione sanitaria per prestare i primi soccorsi. Solo dopo un certo periodo di tempo ci siamo resi conto che quattro persone erano state uccise con un colpo alla fronte, dunque deliberatamente. Molti dei feriti sanguinavano abbondantemente da braccia e gambe per le pallottole ricevute e rischiavano il dissanguamento, noi medicavamo come potevamo ma alcuni erano gravissimi. I militari israeliani li conducevano agli elicotteri in maniera assolutamente inappropriata facendoli camminare anche quando il sangue usciva a fiotti. I nostri medici che protestavano sono stati ammanettati. Tutti abbiamo dovuto subire un’oppressione psicologica e una tortura fisica enormi”.

Zehra Öztürk (attivista, Turchia) “Portavamo aiuti umanitari, le navi israeliane ci hanno assalito in acque internazionali con un vero atto di pirateria. Il governo israeliano ha attaccato militarmente un’impresa civile, ha usato una potenza di fuoco come fosse in guerra. I responsabili devono comparire davanti ai Tribunali internazionali”.

30 maggio 2011

Enrico Campofreda

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