">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Ex sinistra riformista    (Visualizza la Mappa del sito )

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB

Archivio notizie:: Altre notizie

Il disgelo e i parassiti

Il PRC deve essere interlocutore del movimento e non di ceti politici (articolo di "Arcipelago")

(31 Maggio 2002)

Dopo il fallimento della manifestazione romana anti-NATO del 27 maggio, che ha visto in piazza si e no trecento persone, la crisi del Roma Social Forum è stata messa in luce da un articolo del Manifesto, che riportava alcune battute della polemica fra il leader dei Cobas scuola, Piero Bernocchi, e il portavoce del RSF, Ferdinando Simeone.
In sostanza, il primo accusa PRC e Disobbedienti di aver sottovalutato l'importanza della manifestazione, mentre il secondo attribuisce il fallimento della manifestazione ai troppi impegni cui è stata chiamata la "piazza" romana negli ultimi mesi e chiede ai Cobas perché non si siano impegnati di più per la riuscita della manifestazione.
In una successiva lettera al Manifesto, Bernocchi precisa di non essersela presa in particolare con il PRC e i Disobbedienti, ma di aver rilevato la generale sottovalutazione dell'appuntamento da parte del RSF, nonostante i Cobas avessero tentato di farne comprendere la rilevanza politica.
Ad onor del vero, effettivamente i Cobas - come le RdB, il Forum Palestina ed altri organismi di movimento - avevano tentato di aprire il dibattito sul vertice NATO, anche convocando un'assemblea pubblica (disertata dai "dirigenti" del RSF, impegnati a rassicurare la Questura che non ci sarebbero state iniziative di contestazione), per poi convergere sulla manifestazione tardivamente indetta dallo stesso RSF.
Francamente, non è una polemica interessante, perché - come ha rilevato il giornalista del Manifesto - la crisi del RSF è in atto da mesi, non da qualche giorno.

Questo è il punto: la crisi del RSF (e, probabilmente, di altri organismi simili in tutta Italia) è la crisi del movimento, oppure si tratta semplicemente della crisi di un ceto politico che si era autonominato "movimento"?
Per quanto ci riguarda, non abbiamo dubbi nel propendere per la seconda ipotesi.
Chiunque non si ponga nei confronti dei movimenti in termini di strumentalità, sa benissimo che i tempi e i modi dell'espressione di questi non sono riconducibili a schemi predisposti a tavolino; ad esempio, non esiste alcun automatismo fra lo sviluppo di un movimento sociale e la sua rappresentanza sul piano elettorale, come hanno sperimentato ultimamente le "liste no global" che, dove si sono presentate, hanno conseguito risultati irrilevanti.
Dopo Genova, qualcuno ha pensato di poter ingabbiare il movimento nascente nel recinto di organismi dirigenti simili ai vecchi "intergruppi", dove i "rappresentanti" di alcune forze organizzate facevano e disfacevano a proprio piacimento, includendo nell'agenda politica ciò che ritenevano legittimo ed escludendo dalla medesima ciò che non gli piaceva; da questo punto di vista, la vicenda del RSF è stata esemplare.

Brevemente, ricordiamo come i "dirigenti" del RSF abbiano pensato bene di snobbare le mobilitazioni del sindacalismo di base, barcamenandosi in equilibrismi in realtà più che sbilanciati verso i confederali, non mutando atteggiamento nemmeno di fronte all'evidenza, da una parte della forza espressa dagli scioperi e dalle manifestazioni extraconfederali, dall'altra dell'indifferenza della CGIL nei loro confronti, concretizzatasi nel rifiuto di concedere la parola dal palco del 23 marzo.
Ma è sulla questione palestinese che il RSF ha mostrato il peggio di sé, prima ignorando la costruzione della mobilitazione, poi tentando di sabotarla, infine pretendendo di gestirla, il tutto sia in occasione del 9 marzo, del 6 aprile e del 25 aprile, quando si è arrivati ad un passo dall'aggressione fisica nei confronti dei manifestanti.

La domanda da porsi, quindi, non riguarda la crisi di un organismo che ormai da mesi non rappresenta quasi nulla, ma investe la necessità di costruire i luoghi - nel senso di luoghi politici, più che fisici - di espressione e organizzazione del movimento.
Non è cosa da poco, ma la stessa parabola discendente del RSF può essere un utile punto di riferimento, se non altro per comprendere cosa non va fatto.

E' del tutto evidente come negli ultimi mesi si sia verificato quell'inizio di disgelo sociale più volte evocato anche dal Segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, cui va riconosciuto il merito di aver perseguito l'obiettivo di entrare in rapporto con il movimento che andava delineandosi, superando in questo gli errori storici commessi dal vecchio PCI nei confronti dei movimenti degli anni 60 e (soprattutto) 70; purtroppo, in molte realtà la traduzione politica dell'intuizione bertinottiana non è stata all'altezza della situazione, riducendo il ruolo del PRC a quello di interlocutore non del movimento, ma di ceti politici più interessati al proprio consolidamento che alla crescita del movimento, visto esclusivamente come massa di manovra per il perseguimento dei propri fini, spesso non proprio nobilissimi.
In altre parole, l'errore del PRC non consiste nella ricerca di un nuovo rapporto con i movimenti, ma nella costruzione pratica di questo rapporto, che ha portato alla forzatura consistente nel confondere il movimento con le sue presunte rappresentanze.

Di fatto, la crisi del Roma Social Forum si manifesta nel momento in cui i bisogni politici espressi da vasti settori sociali e politici non coincidono con i percorsi meccanici elaborati a tavolino.
Gli scioperi indetti dal sindacalismo di base non coincidevano con l'esigenza di un rapporto privilegiato con la CGIL e con i DS e la mobilitazione a fianco del popolo palestinese - con il suo inevitabile carico di antagonismo - mal si concilia con la necessità di tenere "tutto dentro", anche a dispetto dell'evidenza.

Rovesciando il punto di osservazione dal politicismo alla politica, dunque, quella che salta agli occhi non è una crisi che si è già consumata da tempo, ma la necessità di individuare e praticare un nuovo rapporto con il disgelo sociale; chi pensava di piegarlo strumentalmente ai propri fini - magari per utilizzarlo come merce di scambio per qualche accordo elettorale - è già fuori gioco.
Il disgelo è appena all'inizio, ma ha già saputo liberarsi dai parassiti.
I prossimi appuntamenti - dai passaggi della guerra permanente in Medio Oriente e non solo allo scontro sociale sui diritti - ci diranno del livello di autonomia e di maturità politica guadagnato dal movimento.

Arcipelago

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie dell'autore «Arcipelago (Roma)»

3509