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(4 Novembre 2009) Enzo Apicella
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A fianco della resistenza irachena contro l’occupazione imperialista

Presidio a Viareggio il 20 marzo

(8 Marzo 2004)

Il 20 marzo dello scorso anno iniziava ufficialmente l’aggressione anglo-americana contro l’Iraq.
Nei mesi e nelle settimane precedenti un grande movimento si era sviluppato contro questa aggressione arrivando, il 15 febbraio, a mobilitare oltre 100 milioni di persone contemporaneamente in tutto il mondo nella più grande manifestazione che la storia ricordi. Noi, quel 15 febbraio, eravamo a Roma in una manifestazione oceanica la cui parola d’ordine era “Fermiamo la guerra”.
Ma la guerra non è stata fermata perché, malgrado il New York Times abbia parlato dell’opinione pubblica mondiale come della “seconda superpotenza al mondo”, resta sempre pur valido che “l’arme della critica non può sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta dalla forza materiale”. La “seconda superpotenza” non era abbastanza potente per fermare la prima.

Se oggi, ad un anno di distanza, in Iraq esiste ancora un barlume di speranza nella lotta contro l’occupazione militare questo non è stato dovuto alla “seconda superpotenza mondiale” che - ancora prima dell’inizio dei bombardamenti - aveva ripiegato le bandierine della pace ed era tornata a casa, per un verso appagata dall’aver “fatto la propria parte” con una o due manifestazioni di protesta, per altro verso delusa dal non aver potuto raggiungere l’irraggiungibile obbiettivo di “fermare la guerra”.
Se oggi in Iraq esiste ancora un barlume di speranza lo dobbiamo alla resistenza del popolo iracheno che, dato per spacciato il 21 marzo 2003, ha invece continuato - per quanto gli è stato possibile - a lottare contro la prima superpotenza mondiale e tutti i suoi lacchè, cosa che per esempio non fecero gli italiani nel 1945 allorché accolsero gli americani come liberatori invece che come, quali erano, conquistatori.

Dopo un anno tutte le menzogne che Bush, Blair e i loro alleati avevano sparso a piene mani (dal pericolo nucleare, alle armi di distruzione di massa) sono state tutte definitivamente e inequivocabilmente smentite. Nonostante questo l’Iraq continua ad essere occupato e "governato" secondo gli interessi economici e politici delle forze di occupazione.
In questo ultimo anno se ne sono disinteressati in parecchi.
Ma gli anniversari sono anniversari e dunque ecco che, magicamente, torniamo tutti di nuovo in piazza a celebrare l’evento dell’inizio dell’aggressione all’Iraq.

L’Italia è, aldilà della marginalità del suo ruolo, a tutti gli effetti un paese occupante in quanto collabora attivamente con le forze di occupazione. Non c’è da stupirsi, quindi, se anche i militari italiani sono stati oggetto degli attacchi della resistenza irachena. Non per questa ragione, ma bensì perché sosteniamo le lotte per la liberazione dei popoli dalle mire dell’imperialismo - sia esso americano o europeo – ci battiamo per il ritiro immediato dei militari italiani impegnati in Iraq.
La posizione del ritiro dei militari italiani impegnati all’estero non è, evidentemente, condivisa dai partiti del centro-destra; ma non è condivisa neppure dalla maggior parte dei partiti del centro-“sinistra” (che hanno recentemente legittimato politicamente, con la propria astensione al Senato, il ri-finanziamento delle missioni italiane all’estero, dall’Iraq alla Bosnia, dal Kosovo all’Afghanistn).
Coloro che hanno votato contro questo ri-finanziamento (“sinistra” DS, PRC, PdCI, Verdi) sono stati tutti, eccezion fatta per il PRC, corresponsabili dell’aggressione militare scatenata nel 1999 contro la Jugoslavia anche dal governo italiano, di cui essi facevano parte.
Oggi, come alla vigilia del 20 marzo dello scorso anno, questi partiti si appellano all’Onu.
Eppure, nel non lontano marzo 1999 il governo D’Alema, di cui essi facevano parte con ministri e sottosegretari, impegnò i militari italiani nelle operazioni di guerra e nei bombardamenti umanitari all’uranio impoverito (che oggi fanno decine di vittime di cancro tra quegli stessi militari, pensiamo a cosa hanno prodotto sul popolo jugoslavo) senza mandato dell’Onu e sotto la stretta direzione militare Usa-Nato.
Non dimentichiamo, inoltre, che l’Onu è quell’organismo internazionale non ha esitato a intervenire militarmente proprio in Iraq, nel 1991.
Infine, il Prc, malgrado tutto, si appresta a stringere definitivamente un patto di governo con tutti questi partiti per riportare alla presidenza del consiglio Romano Prodi, sotto il cui mandato è stato prodotto un gigantesco processo di privatizzazioni, l’inizio dello smantellamento della scuola pubblica, la legge razzista Turco-Napolitano e, dulcis in fundo, l’attacco più pesante mai portato ai lavoratori, il famigerato "Pacchetto Treu" (dal nome del ministro Tiziano Treu, già tristemente noto per aver prodotto nel 1995 la legge sulle pensioni - primo tassello del loro smantellamento - assieme a Lamberto Dini, il ministro del lavoro del governo Berlusconi contro cui si scatenò il grande movimento di lotta del 1994 e che fu portato alla Presidenza del Consiglio da un accordo D’Alema-Bossi-Buttiglione).

Tutto questo per ricordare, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’ipocrisia è una malattia trasversale che in Parlamento non risparmia nessuno, da destra a "sinistra".
Il corollario naturale di tutto questo non potevano non essere le posizioni che tutti i partiti della cosiddetta "sinistra" hanno preso sulla guerra e cioè l’equidistanza tra guerra e "terrorismo".
Ma quello che si sviluppa in Iraq non è terrorismo; è una vera e propria lotta di resistenza nazionale condotta con metodi non convenzionali per la semplice ragione della sproporzione di mezzi tra occupanti e occupati.
Chiedere al popolo iracheno di rispondere all’occupazione con la guerra tradizionale significa chiederne il macello. Chiedere alla resistenza irachena di non usare tutte le armi e le tecniche a sua disposizione contro l’occupazione significa condannare il popolo iracheno alla servitù e alla sottomissione all’imperialismo.
E gli iracheni, di farsi macellare o di sottomettersi per soddisfare i palati fini dei finti pacifisti non violenti “politicamente corretti” occidentali non sembrano avere, al momento, alcuna intenzione.

Non sta a noi discutere sulle forme di lotta assunte dalla resistenza irachena.
Ci possono piacere o non piacere, ma sono quelle che concretamente sono. Il nostro compito non è discettare filosoficamente sul tema della “forma” per cercare di svignarcela furbescamente da quello della “sostanza”; il nostro compito è sostenere la resistenza irachena politicamente e, laddove possibile, praticamente.
E per sostenere il giusto diritto del popolo iracheno alla propria sovranità dobbiamo innanzitutto indebolire le forze che gli negano questa sovranità con una occupazione dettata solo da ragioni di potere.
Poiché viviamo in Italia dobbiamo denunciare e combattere innanzitutto l’imperialismo italiano, corso a ritagliarsi una fetta nella spartizione dell’Iraq, senza fare alcuna concessione a coloro che in nome della "ragion di stato" non contestano chiaramente e senza ambiguità l’attuale occupazione dell’Iraq.
Dobbiamo esprimere la nostra solidarietà ai fratelli di origine araba sottoposti alla limitazione dei propri diritti in una logica di persecuzione che non ha niente da invidiare a quella attuata dai nazi-fascisti contro gli ebrei e dai sionisti contro i palestinesi. Ogni giorno si sentono grandi notizie di cellule di Al Qaeda scoperte in giro per l’Italia e qualche mese (di carcere) dopo, assai più sommessamente, si sente parlare di proscioglimenti e ritiri di accuse. Evidentemente, lo stato italiano non è ancora arrivato al punto di mettere in carcere in modo generalizzato le persone in totale assenza di prove. Ma prima o poi ci arriverà, come ci si è arrivati negli Stati Uniti - la "culla della democrazia" - dove, con la scusa della sicurezza nazionale migliaia di persone sono state arrestate e centinaia fatte letteralmente sparire dalla circolazione; si vede che gli Usa si ricordano degli insegnamenti che nella loro Scuola delle Americhe avevano dato ai dittatori dell’America Latina su come trattare le opposizioni politiche e sociali.

Come abbiamo fatto in altre occasioni anche oggi siamo qui a dire il nostro no alla guerra imperialista, per cercare di evitare che tutto cada nell’oblio e nella rassegnazione, per contribuire a far sì che quel largo movimento che, seppure contraddittoriamente, aveva manifestato contro l’aggressione, cominci a manifestare anche contro l’occupazione.

NESSUNA GUERRA TRA I POPOLI. NESSUNA PACE TRA LE CLASSI

Sabato 20 marzo 2004 ore 16.30
Viareggio (passeggiata Margherita)
PRESIDIO CONTRO L’OCCUPAZIONE DELL’IRAQ

Compagne e compagni antifascisti e antimperialisti della zona apuo-versiliese

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