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Mavi Marmara possibile defezione alla Freedom Flotilla2

(17 Giugno 2011)

Mavi Marmara

Si fanno insistenti le voci di un dietro front della maggiore organizzazione turca della Freedom Flotilla2 – l’Ong IHH – che in extremis s’asterrebbe dal partecipare alla missione umanitaria verso la Striscia di Gaza in programma entro la fine del mese. La struttura islamica ha dichiarato di voler riflettere sulla sua partecipazione prendendo a breve una decisione definitiva. La defezione appare strana visto l’enorme impegno profuso fino a pochissimo tempo fa. Proprio il 31 maggio scorso s’era tenuta sulla Mavi Marmara, ancorata nei cantieri navali di Haliç, un’enorme conferenza stampa che aveva annunciato la missione. Fra gli altri era intervenuto Huseyin Oruç, il direttore aggiunto di IHH, che rivelava il numero di 1500 partecipanti disposti su 15 imbarcazioni. Le nazioni coinvolte ufficialmente sono 22 ma, a sancire il carattere assolutamente internazionale dell’iniziativa, veniva sottolineato che gli attivisti provengono da un centinaio di Paesi. C’è chi sostiene come l’ipotesi d’abbandono sia indotta da recenti volontà governative di Ankara sottoposta a pressioni da parte degli Stati Uniti e delle stesse Nazioni Unite. Il segretario Ban Ki Moon si sta adoperando da settimane, con una linea di dissuasione morbida, nel convincere il vertice politico turco affinché dai porti anatolici non salpino né Mavi Marmara né altre imbarcazioni della flottiglia pacifista. Ma si stanno facendo strada anche operazioni minatorie.

Il senatore dell’Illinois Mark Kirk, con la delicatezza propria di certi politici d’Oltreoceano, ha lanciato vero l’organizzazione IHH l’accusa di ripetere un’azione che mette in pericolo la sicurezza d’Israele. Che a suo dire sarebbe assimilabile al terrorismo. Ingigantendo ancor più le sue illazioni il senatore americano, per prevenire incidenti come quello dell’anno passato, suggerisce che navi della flotta militare del proprio Paese possano intervenire a salvaguardia delle coste d’Israele. Gli ha risposto a distanza Selçuk Ünal, portavoce del ministro degli esteri turco Davotoğlu, ricordando come gli aiuti della Flotilla sono frutto di un lavoro di coordinamento internazionale fra organismi non governativi che non hanno alcuna connessione né con organizzazioni considerate terroristiche e neppure con strutture politiche. Il premier Erdoğan, recententemente confortato da risultato delle urne e sicuro d’un terzo mandato, durante l’anno di crisi con Israele aveva richiesto scuse ufficiali che l’Esecutivo Netanyahu non ha mai offerto. Nei mesi scorsi i due Paesi hanno proseguito a tenere aperti i rapporti economici ma quelli diplomatici sono stati quasi nulli. L’ambasciatore turco, ritirato subito dopo l’assalto omicida dei reparti israeliani, non è finora tornato a Tel Aviv. Certo l’incrudirsi della situazione siriana, la sua guerra civile strisciante, il migliaio di profughi già accolti e quelli che premono sugli 800 km di frontiere e principalmente la linea dei massacri perpetuata dal regime di Assad, stanno allontanando Erdoğan da un rapporto col presidente siriano che fino a marzo appariva saldo e collaborativo. E tale distanza può far riconsiderare una nuova tattica verso Israele al governo turco che va formandosi.

16 giugno 2011

Enrico Campofreda

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