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Sulla riunione nazionale di "Lavoro e Società - cambiare rotta" della Cgil

tenutasi a Roma nei giorni 4 e 5 marzo 2004

(12 Marzo 2004)

Come era prevedibile si è trattato di una riunione che ha impegnato sopratutto gli apparati dell'area in un confronto che è infine servito esclusivamente a "tastatre il polso" agli schieramenti interni allo stesso apparato e che si è concluso, come prevedibile, con un documento finale che sostanzialmente tiene tutti insieme su una linea di fiducia e di unità con la gesione Epifani e con gli orientamenti usciti dall'ultimo congresso nazionale Cgil di Rimini.

In realtà ci troviamo di fronte ad una sintesi fittizia ed alquanto debole poichè non ha risolto le questioni principali a cui l'area era chiamata a rispondere. Una sintesi che si sostanzia nella trasformazione ormai esplicita dell'area da "portatrice di una richiesta di vera svolta della linea della Cgil" in "guardiana della linea di Rimini".

La debolezza di questa sintesi sta tutta nel ritardo e nella incapaità dell'area di comprendere come lo stesso documento conlusivo del congresso di Rimini, da tutti richiamato sempre ed in continuazione (anche dalla maggioranza) sia ormai saltato. La dimostrazione di ciò è rintracciabile in una attenta osservazione dei risultati della recente stagione contrattuale e nella osservazione dello scenario entro cui la Cgil si sta ricollocando, nella ricerca di una nuova unità con Cisl e Uil, nelle disponibilità verso una svolta di Confindustria rappresentata dalla elezione di Montezzemolo, e nella convinzione di un probabile prossimo cambio di Governo.

In realtà, limando l'esagerato ottimismo della relazione iniziale, il documento conclusivo della riunione nazionale delinea un insieme di azioni e di obiettivi su cui è possibile lavorare ma che hanno il limite di essere inquadrati in una posizione di difesa e di tenuta della linea Cgil uscita al congresso di Rimini invece di essere visti ed organizzati come orientamenti per una battaglia interna che riproponga con forza l'urgenza e la necessità di una vera svolta della linea Cgil. Così anche le condivisibili parole d'ordine del documento conclusivo rischiano di rimanere semplici dichiarazioni e non una piattaforma per una svolta sindacale.

D'altronde nel documento conclusivo mancano alune conclusioni che sarebbero state necessarie a dare credibilità ai contenuti dello stesso documento.

- Manca l'esplicito schieramento a sostegno del congresso che la Fiom ha deciso di anticipare. Un congresso che, al di la di alcuni limiti di merito, pone con forza la questione di un superamento "a sinistra" della concertazione rappresentando così un forte evento contradditorio nel dibattito Cgil, tutto orientato oggi nella ricerca di un punto di mediazione con Cisl e Uil proprio sulla verifica del 23 luglio. Anzi, verso il congresso Fiom l'area manifesta esplicitamente un inspiegabile imbarazzo e fastidio.
- Sulla scelta della Cgil di andare a firmare l'accordo sui contratti di inserimento e quello sul contratto degli artigiani, non si arriva a nessuna conclusione veramente operativa (non è neppure espresso un giudizio negativo in proposito), quasi non si volesse riconoscere che in questi accordi è rintracciabile il germe di un cedimento moderato verso un modello contrattuale peggiore del precedente e di apertura di una disponibilità verso la Legge 30 che fino a ieri la Cgil dichiarava inemmendabile.
- Manca una conclusione operativa in materia di rinnovi contrattuali. Da un lato si riconosce la scarsità quantitativa della recente stagione contrattuale ma sembra non essere colto il fatto che in molti di questi contratti (Poste, Turismo, trasporto locale) è stata concretamente deformata la struttura stessa del contratto (con la firma anche della Cgil e con la difesa convinta di alcuni di questi contratti anche da parte di esponenti dell'area). Così mentre nel documento dell'area ci si propone di abrogare e di contrastare la legge 30, non si dice nulla sul fatto che invece la Cgil sta firmando rinnovi che pevedono esplicitamente l'apertura di tavoli categoriali per adeguare le norme contrattuali alla legge 30. Non si dice nulla sul fatto che è la stessa Cgil che firma accordi contrattuali in materia di prestazione che fanno saltare di fatto il riferimento alla giornata lavorativa.

In sintesi, e si potrebbe continuare con gli esempi (ricordiamo solo l'ostinazione con cui, assieme alla maggioranza Cgil la stessa area di categoria sia stata particolarmente attiva a scongiurare fino ad oggi l'ipotesi di uno sciopero generale contro la riforma Moratti della scuola), il documento dimostra i suoi limiti quanto non conclude che per realizzare gli obiettivi che esso propone è necessario riaprire la battaglia in Cgil per una vera svolta sindacale. La sua credibilità ed efficacia viene meno infatti perchè si ritiene possibile realizzare tutto ciò tenendo ferma la barra sul documento conclusivo del congresso Cgil di Rimini.

A leggere attentamente la logica del documento conclusivo della riunione dell'area del 4 e 5 marzo ciò che emerge abbastanza esplicitamente è la caparbia ostinazione con cui l'apparato dell'area dimostra più che altro la necessità di non fare nulla che possa in qualche modo mettere concretamente e veramente in fibrilazione il rapporto di unità e collaborazione con la maggioranza Cgil rappresentata oggi da Epifani. Di tutte le cose condivisibili (per altro rintracciabili nel documento congressuale dell'area) che sono state scritte nessuna conclude operativamente risolvendo la domanda del che fare, e su nessuna viene fatta una verifica su come l'area sia stata più o meno adeguata alle coerenze che quegli obiettivi propongono.

A scrivere un documento sono capaci tutti, dalla riunione dell'area ci si aspettava qualcosa di più. Il coraggio di una verifica spegiudicata (perchè nasconderci che nell'area, accanto a compagni che ancora si sentono impegnati per un percorso di vera svolta sindacale, ci sono pezzi di apparato che teorizzano e praticano ormai una più organica alleanza con la maggioranza e altri che si accontentano ormai di tenere la posizione) ed un percorso di lavoro e di lotta concreta nelle catgorie e nei territori per riaprire la battaglia in Cgil per una vera svolta sindacale.

Ora, anche grazie al fatto che diversi delegati hanno prima, durante e dopo la riunione nazionale, sostenuto la necessità di un percorso di vero coinvolgimento di tutto il corpo militante dell'area si dovrà andare ora alle riunioni territoriali dell'area nelle quali può essere ripresa la discussione e possono essere meglio precisati i compiti ed il programma di iniziativa e di lotta dell'area per rilanciare se stessa e per riaprire in Cgil quel confronto esplicito contro le illusioni concertative e contro le ipotesi di mediazone col neocorporativismo di Cisl e Uil che, anche a partire dai recenti accordi contrattuali, sui contratti di inserimento e sul contratto artigiani stanno concretamente prendendo forma.

Sul nuovo modello contattuale - Quale proposta dalla sinistra sindacale Cgil ??

Il percorso di riaggancio per una nuova unità tra Cgil Cisl Uil, la necessità del sindacato concertativo di recuperare un confronto stabile con Confindustria, la convinzione su un possibile cambio di Governo, spingono a mettere le mani su una piattaforma che rimetta la concertazione, necessariamente mediata con i cambiamenti peggiorativi già realizzatisi in questi anni, al suo posto.

Certo non sarà più il 23 luglio. Sarà probabilmente una nuova concertazione con un peso maggiore per la contrattazione decentrata e/o territoriale. Detto così non dice nulla, così come poco dice il discutere sulla durata quadriennale o triennale dei contratti nazionali.

La vera questione sono i vincoli entro cui la contrattazione deve muoversi e le tendenze che il nuovo modello innescherà. La nuova direzione di Montezemolo in Confindustria non si distinguerà da quella di D'Amato se non per un fatto. D'accordo che la vecchia concertazione andava fatta saltare, d'accordo a smontare tutto l'apparato normativo e contrattuale esistente (a guardare la recente stagione contrattuale salta subito all'occhio il disordine contrattuale che è stato prodotto). Ora, pensa la Confindustria di Montezemolo, è venuto il momento di riportare tutto a sintesi, di ridefinire le regole a partire dal disordine esistente, su una base normativa e contrattuale più rappresentativa del maggiore bisogno di flessibilità (occupazionale e salariale) e di precarietà che il mercato richiede.

La questione non è quella se il riferimento debba essere o meno l'inflazione programmata (va bene anche quella congiuntamente e bilateralmente concordata tra le parti .. inflazione attesa, prevista, ipotizzata .. sempre un vincolo è). Il riferimento deve essere che il CCNL non deve più da solo recuperare tutta l'inflazione ma che parte di questa vada decentrata localmente. Il problema non è quindi pagare meno o di più, il problema è rompere l'unità salariale, rendere concretamente flessibile e variabile il salario ed il lavoro, rompendo la centralità del contratto nazionale. Poi da cosa nasce cosa, e piano piano la contrattazione decentrata e/o territoriale prenderà preminenza sul contratto nazionale.

Questa cosa non sembra essere ben compresa in Cgil che risponde in merito al modello contrattuale secondo le seguenti ipotesi (già oggetto di confronto anche con Cisl e Uil):

- Difesa del Ccnl, accettandone però un possibile snellimento su alcune materie (orari, inquadramenti, mercato del lavoro ecc ... ) da decentrare a livello locale.
- Difesa del potere d'acquisto dei salari attraverso una maggiore contrattazione sulle voci del salario sociale (tariffe, sanità, scuola, trasporti ecc) compensando così i limiti della contrattazione sul salario diretto (retribuzione - contratti)
- Possibilità di contrattare a livello locale/territoriale, quote di inflazione, da compensare poi sucessivamente comunque a livello nazionale in modo da riportare tutto a uniformità.

Se questi sono i riferimenti l'accordo con Confindustria è già belle che fatto, proprio a partire dal modello appena definito per il contratto degli artigiani.

L'assoluta inutilità di queste ipotesi è dimostrata dal fatto che secondo la Cgil queste modifiche dovrebbero produrre un maggiore sostegno ai salari ed al lavoro. Cosa per altro realizzabile in centinaia di altri modi.

Infatti:

- Non c'è alternativa tra una contrattazione più spiccata e convinta sulle voci del salario sociale e la necessaria lotta per l'incremento delle retribuzioni. In tempi andati ciò era la prassi normale dell'azione sindacale. Il fatto di considerare "compensativa" la contrattazione in parte delle retribuzioni ed in parte del salario sociale servirà solo a mantenere compressa la contrattazione sulle retribuzioni dentro ai vincoli che gli saranno imposti.
- L'accettazione di mettere mano allo snellimento dei contratti su alcune materie (orario, ecc) non farà che produrre inevitabili differenziazioni al ribasso che spingeranno altrettanto in basso la tenuta dello stesso contratto nazionale, frantumandone la capacità di innovazione e tutela.
- L'accettazione dell'idea (secondo l'esempio degli artigiani e del trasporto locale) che non tutta l'inflazione potrà essere recuperata dal contratto nazionale ma che parte di questa potrà essere oggetto di contrattazione decentrata, è di fatto il là alla regionalizzazione della contrattazione e delle nuove gabbie salariali, che certo potranno non affermarsi compiutamente subito ma che lo saranno nel tempo.

A nulla serve affermare nel contempo che la Cgil è per l'incremento del potere d'acquisto dei salari poichè i modelli su cui si sta lavorando vanno esattamente nella direzione opposta.

A questo punto una discesa in campo di una forte piattaforma della sinistra sindacale in materia di modello contrattuale è quanto mai urgente. Paradossalmente, sull'esemopio della Fiom, è di un congresso Cgil di cui oggi ci sarebbe bisogno, Ma, come si diceva prima, non servono proposte di alchimia tecnica (quadriennio o triennio, inflazione programmata, reale, attesa, PIL ecc) ma proposte fortemente ancorate a obiettivi di forte tenuta e rilancio dell'autonomia contrattuale sindacale.

- La tutela dei salari dall'inflazione reale deve tornare ad essere un fatto dovuto, esigibile. Non è un fatto categoriale ma interessa nella stessa misura tutti i lavoratori che in questo senso devono rivendicare unitariamente il soddisfacimento di questo obiettivo. E' qundi un fatto intercategoriale che può e deve essere risolto in un quadro di negozziazione confederale che porti ad un meccanismo di tutela certo, periodico ed automatico di adeguamento dei salari all'inlazione reale.
- La contrattazione nazionale, così liberata dal compito di inseguire costantemente il dato inflattivo, deve operare senza vincoli per la redistribuzione della ricchezza prodotta
- Il contratto nazionale va salvaguardato nella sua unicità e nessuna materia va decentrata a livello locale/territoriale.
- La contrattazione decentrata (aziendale e/o territoriale) deve perseguire il recupero di quote di produttività superando la variabilità del risultato che invece va integralmente consolidato in busta paga.

La riunione nazionale dell'area, tenutasi a Roma lo scorso 4 e 5 marzo non ha discusso o a discusso poco di tutto questo. Ci si è limitati infatti a lavorare sulle ipotesi su cui la Cgil sta già discutendo, sopratutto sulla necessità di rilanciare la contrattazione sul salario sociale, e, a dire il vero, anche nel dibattito nell'area ha fatto capolino l'idea di una contrattazione sul salario sociale come "compensativa" dei limiti della contrattazione sul salario diretto (retribuzione).

I limiti dell'area a prendere una chiara posizione in materia si sono resi evidenti sia nel non esplicito e convinto sostegno al congresso Fiom sia nella decisione di delegare il coordinamento nazionale ad elaborare entro aprile una proposta. Una delega in bianco poichè non sostenuta da riferimenti ed obiettivi discussi entro cui operare nella elaborazione.

Ci aspettiamo che la proposta che il coordinamento nazionale dovrà elaborare entro aprile sia all'altezza dei compiti dell'area stessa nel dibattito in Cgil, che non ci si riduca ad una semplice elaborazione tecnicistica del modello contrattuale e della sua compensazione con una rinnovata stagione vertenziale sul salario sociale e differito. Ci aspettiamo sopratutto che si colga la portata dello scontro in atto che non è solo sulle quantità ma sull'affermazione di un modello che liberi i processi di decentramento della contrattazione e di svilimento dei Ccnl.

Ma un contributo in questo senso potrà e si dovrà fare emergere nelle riunioni territoriali dell'area ed in quelle categoriali (già il seminario nazionale dell'area congressuale nella Flai-Cgil si è espressa per un meccanismo di adeguameno automatico dei salari all'inflazione). Riunioni che dobbiamo chiedere che vengano organizzate (anche perchè decise nella riunione nazionale che tra l'altro ha assunto un ordine del giorno in questo senso) ed alle quali dobiamo partecipare per sostenere la necessità di una posizione chiara e forte dell'area in materia di contrattazione e di ripresa di una forte iniziativa per una vera svolta nella linea Cgil.

10 marzo 2004

Il coordinamento nazionale delle RSU

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