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Il governo fa le pentole e i sindacati i coperchi

(29 Giugno 2011)

Quel diavolo di un governo ha fatto le pentole e Confindustria e sindacati confederali ci hanno messo i coperchi. Tremonti presenta una finanziaria da macelleria sociale, con la sua pesantezza pari a quasi 50 miliardi di euro, fatta di aumento dell’età pensionabile, blocco del turn over nel pubblico impiego e congelamento dei contratti nello stesso settore, interventi di aumento dei ticket sanitari e tagli alla spesa sociale; poco dopo Confindustria firma un accordo, con i sindacati “complici” Cisl e Uil ed una Cgil in versione “normalizzata”, che di fatto ha l’intenzione di stroncare sul nascere le prevedibili rivendicazioni e lotte di lavoratrici e lavoratori, studenti, precari, disoccupati, pensionati che subiranno nei prossimi mesi la ferocia della manovra finanziaria e le “ristrutturazioni” e le esigenze di profitto aziendali.

L’intenzione, nemmeno tanto nascosta, è quella di esportare il modello Fiat oltre i cancelli di Pomigliano D’Arco e Mirafiori e di farlo entrare forzosamente dentro qualunque luogo di lavoro nel territorio nazionale. Era stata la stessa presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia ad affermare giorni fa la necessità dell’esigibilità dei contratti ed a fare riferimento esplicitamente al caso Fiat, con queste inequivocabili parole: «Quello che noi cercheremo di fare per la Fiat e le altre imprese è lavorare sul tema dell'esigibilita' dei contratti. E se faremo un buon lavoro, questo e' anche una risposta alle esigenze corrette che la Fiat manifesta».

L’accordo firmato, infatti, rimasto praticamente segreto fino al momento della firma, prevede la contrattazione nazionale quale strumento di affermazione di principi generici. La partita reale si giocherà nella contrattazione aziendale, che può prevedere accordi in deroga al contratto nazionale ogni qualvolta se ne ravvisassero “esigenze degli specifici contesti produttivi”. E per rendere validi gli accordi stipulati in sede di contrattazione aziendale è sufficiente l’approvazione del 50% più uno delle RSU, mentre l’esigilità del contratto aziendale è garantita da clausole di “tregua sindacale”.

Di fronte a queste cose, Susanna Camusso, segretario generale della Cgil ha avuto da dire solo che con questo accordo è stata «superata una stagione di divisione» e che dopo una serie di accordi separati «il senso di questo accordo è aprire una stagione nuova». Certo, l’unità sindacale è una cosa importante. Ma non può costituire un valore in sé, nemmeno può essere un obiettivo da raggiungere a qualsiasi prezzo: in questo caso la riduzione degli spazi di democrazia sindacale e la limitazione dei diritti dei lavoratori sulla scorta delle esigenze aziendali.

L’unità sindacale ha bisogno di essere costruita direttamente ed a partire dai luoghi di lavoro, dove gli operai da troppo tempo sono lasciati soli. Ma che praticamente senza rappresentanza sindacale né politica, stavano riuscendo nell’impresa di ridare valore alle parole lavoro e dignità, con le lotte di Pomigliano e di Mirafiori e con i loro “no” agli accordi imposti da Marchionne. C’è, in quelle lotte, la volontà di restare uomini e donne in carne ed ossa pure dentro la fabbrica. Una volontà ed una speranza di poter resistere ben raccolta dalla Fiom in questi mesi, ma che ha continuato ad essere considerata anche in Cgil una anomalia da ricondurre nell’alveo di quella sorta di corporativismo che quest’ultimo accordo rappresenta.

Carmine Tomeo

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