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    La manovra economica del Governo Berlusconi-Scilipoti

    (1 Luglio 2011)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comunistiuniti.it

    La manovra economica del Governo Berlusconi-Scilipoti

    foto: www.comunistiuniti.it

    Di Mauro Puliani

    Se non fossimo Comunisti e perciò persone serie, verrebbe proprio da proporre (scherzando su questa balorda finanziaria approvata dal Consiglio dei Ministri giovedì 30 giugno) di votare Berlusconi nelle previste elezioni politiche del 2013 di fine legislatura, magari solo per vedere la faccia che farà quando nel 2013 è previsto che scatterà la vera manovra - quella grossa, e più antipopolare da 45 miliardi – che slitterà appunto a dopo le elezioni del 2013. Invece da Comunisti ci accorgiamo che il governo Berlusconi-Scilipoti, sfiduciato dal voto popolare amministrativo e referendario, annuncia una pesante manovra economica contro lavoratori, disoccupati, pensionati. Tickets sanitari, elevamento dell'età pensionabile delle donne, blocco del Turnover e dei contratti nel pubblico impiego, rispondono a una sola ragione sociale: pagare i banchieri europei e liberare risorse per gli industriali italiani.

    Infatti i patrimoni dei due milioni di famiglie più ricche d’Italia resteranno indenni, malgrado il loro accrescimento persino durante la crisi. Per il 50% circa, la manovra è costituita da tagli ai trasferimenti di risorse per le Regioni e gli Enti Locali. Il che significa, per gli Enti in affanno e in debito di bilancio (moltissimi) imporre nuove imposte e tasse: cioè, “si mettono, eccome, le mani nelle tasche degli Italiani” (per usare una bruttissima espressione che fa parte del gergo berlusconiano del suo sentimentalismo delle parole, la ridicolizzazione dei contenuti, la sua insopportabile teatralità dei gesti – vi ricordate i mesi di inutile ottimismo e di stupida sottovalutazione della portata della crisi?). Delle due l'una o il governo aumenta la tassazione dei cittadini per interposta persona (le Regioni). O tutti gli Enti Locali dovranno, a parità di poste di bilancio, inevitabilmente ridurre i servizi, stiamo parlando per chi non lo avesse capito, di assegnazione di case popolari; - graduatorie asili nido; - tariffe sociali per mense e scuola bus; - integrazione degli affitti; - sussidi in casi di povertà; - manutenzioni stradali; - assistenza agli anziani; - integrazione sociale e immigrazione; - associazionismo e no profit; - sanità e salute pubblica.

    Negli anni gli Enti Locali sono diventati centrali, anche su tematiche non di stretta competenza locale, quali le problematiche del lavoro, del precariato, della sicurezza, del controllo del territorio. Questi sono i temi su cui questa manovra correttiva interviene, colpendo coloro che fruiscono dei servizi e degli interventi dagli enti locali, accentuando ulteriormente le differenze sociali, tra coloro che possono permettersi di sostituire la contrazione dei servizi pubblici, con servizi privati a pagamento e chi non ha economicamente questa possibilità. Sono quindi le fasce sociali più deboli, i dipendenti, i pensionati, i precari, gli anziani, gli sfrattati, le famiglie numerose con bambini, i giovani disoccupati, a pagare il prezzo di una presenza pubblico-locale sempre più marginale ed incapace di soddisfare le esigenze minime di convivenza sociale. Si pensi ai servizi di sostegno alla persona, la loro diminuzione sarà causa di una conseguente aumento della sofferenza sociale dei più deboli, e la diminuzione in tanti settori del personale: quindi, purtroppo per noi, un ulteriore contributo all’aumento della disoccupazione e conseguenti maggiori difficoltà per le famiglie, chiamate a fare da ammortizzatori sociali per i due milioni di giovani senza lavoro e senza scuola. Per circa un’altra metà la manovra colpisce pesantemente i pubblici dipendenti. E non vale qui il discorso dei presunti aumenti stipendiali, di cui questi ultimi avrebbero già beneficiato rispetto ai lavoratori del settore privato, perché questi incrementi retributivi, calati nelle realtà, spesso si rivelano come il pollo di Trilussa! La conferma fino al 2014 del blocco degli stipendi del pubblico impiego, già prevista dalla manovra della scorsa estate, e il blocco triennale dei contratti significa cancellazione di scatti di stipendio, il che per molti comporta non solo un decremento retributivo rispetto all’inflazione, ma anche una decurtazione dello stesso ammontare della pensione. Ancora una volta sotto attacco è il sistema pensionistico (questa volta riservato alle lavoratrici del settore privato) insieme al solito attacco alla Sanità con la reintroduzione dei ticket, che da soli dovranno garantire il 47% dei risparmi nel 2014; e l’inserimento dei costi standard nella sanità. Il “’costo standard’” è un costo definito in base a una costruzione ex-ante (cioè prima) dell’impegno economico, dal primo gennaio 2013 in pratica viene fissato un tetto di spesa per l'acquisto dei dispositivi, protesi comprese, a livello nazionale e di ogni singola regione. Quando finiscono i soldi stabiliti dai costi standard, il paziente muore. Lo smantellamento dello "Stato sociale", la distruzione del Servizio Sanitario Nazionale, il federalismo sanitario, l'instaurazione della sanità a pagamento, la restaurazione delle "assicurazioni integrative" e di un sistema sanitario misto-pubblico privato, il completamento del processo di privatizzazione della sanità pubblica, la deregolamentazione e destrutturazione selvaggia del mercato del lavoro, la privatizzazione e precarizzazione dei contratti di lavoro nel pubblico impiego determineranno un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute e di lavoro del proletariato e delle masse popolari, soprattutto del Sud, nonché dei lavoratori della sanità!

    L’Italia con questo governo e con le politiche fatte negli ultimi tre anni rischia di “uscire” dalla crisi ancora peggio da come ci era entrata. E’ possibile, era possibile fare diversamente?

    Sbilanciamoci -con la sua manovra da 51 miliardi di euro in 3 anni (per le proposte nel dettaglio www.sbilanciamoci.org) – dimostra che si può fare. Anche tagliando la spesa pubblica: quella militare, delle grandi opere, per le scuole private, per il business della sanità privata. E con una politica fiscale che colpisca le rendite e non i salari, i grandi patrimoni e non i bassi redditi, i consumi ecologicamente dannosi e non i consumi pubblici ed i servizi sociali. E’ possibile garantirsi in questo modo un flusso costante di risorse da destinare da una parte all’abbattimento del debito e dall’altra a dare protezione sociale a chi è colpito dalla crisi e a rilanciare un’economia diversa fondata su un nuovo modello di sviluppo. Serve una tassa sui patrimoni milionari (che ci porterebbe oltre 10 miliardi di euro di entrate), bisogna portare la tassazione delle rendite almeno al 23% e bisogna aumentare l’imposizione fiscale sui redditi superiori ai 70mila euro annui dal 43 al 45% se non più. Nel contempo è necessario ridurre del 20% la spesa militare e cancellare il programma di 131 cacciabombardieri F35 (che ci costano più di 16miliardi di euro). Questi sono passi obbligati in tempi di crisi: in Germania e in Gran Bretagna sono state ridotte le spese militari, in Italia, ancora no. E servono misure per rilanciare l’economia attraverso un programma di “piccole opere” (cancellando Ponte sullo Stretto e Tav), di sostegno alla green economy (energie rinnovabili, mobilità sostenibile, agricoltura biologica, ecc), di incentivo e difesa dei redditi, unica garanzia perchè possa riattivarsi una domanda interna. In questo senso la lotta al precariato, il sostegno alle pensioni più basse, il recupero del fiscal drag e il reddito di cittadinanza sono misure assolutamente necessarie in questa fase.

    Comunisti Uniti

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