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(4 Novembre 2009) Enzo Apicella
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    Considerazioni su guerra ed imperialismo

    (prendendo a pretesto un comunicato).

    (16 Marzo 2004)

    Nei giorni scorsi, postato da Red Link, ci è pervenuto un documento sottoscritto da diverse strutture della sinistra di classe e/o autorganizzata. Il suo oggetto è il 20 marzo. Ora, l’esigenza dalla quale muove lo scritto in questione, ci appare senz’altro condivisibile. Non può non appartenerci, infatti, l’idea che sia necessario rendere nettamente identificabile in ogni momento di piazza –anche in quelli che non hanno la portata simbolica del 20 marzo – una istanza anticapitalistica. Tuttavia, proprio in questa direzione, riteniamo sia urgente il rilancio di una discussione a tutto campo. Non tanto per risolvere i molteplici problemi sul tappeto, quanto almeno per riuscire a porsi obiettivi minimi condivisi. Altrimenti, si va incontro a due rischi. Il primo è che, se anche il 20 si riesca ad avere un minimo di impatto di piazza, poi non si risulti capaci di dare seguito alcuno alla propria “brillante performance”, magari perché, nel processo che ha portato alla costruzione del proprio spezzone, non si sono poste le basi per passaggi ulteriori. Il secondo pericolo, strettamente intrecciato al primo, è che avendo privilegiato ragioni di cartello, si emerga, appunto, in quanto cartello, ma senza aver veicolato contenuti complessivamente alternativi rispetto a quelli dominanti nel movimento.

    Insomma, stiamo adombrando scenari già noti al grosso dei/lle compagni/e. Scenari che appartengono alla nostra esperienza, ma che non sono affatto inevitabili. Basta che non si faccia di una scadenza un feticcio e che si muova dal presupposto che unire diversi settori attorno anche ad una singola campagna, come appunto quella contro l’occupazione dell’Iraq, richiede una discussione approfondita. Nel caso specifico, sui temi della guerra e dell’imperialismo.

    Ora, è nostra intenzione, per quel che può valere il punto di vista di cui siamo portatori, sollevare due questioni fortemente legate alla data del 20 marzo ed in generale alla opposizione alla missione fortemente voluta da Bush. Ciò, al fine di rilanciare la discussione e nella prospettiva di una opposizione permanente ad ogni manifestazione dell’imperialismo.

    Il nodo dell’ONU.

    Il primo tema che vogliamo affrontare rimanda al ruolo dell’ONU. I settori più radicali del movimento, come si sa, considerano uno spartiacque la questione dell’ONU, o meglio dell’accettazione o meno di una sua funzione nell’Iraq occupato.

    Francamente, non gli si può dar torto, così come non si può non attribuire un segno positivo al fatto che diversi spezzoni presenti in piazza il 20 marzo negheranno quell’istanza di rilanciare le Nazioni Unite che è tra le parole d’ordine ufficiali della manifestazione. Detto questo, non si può fare a meno di sottolineare che praticamente nessuno degli spezzoni che in piazza si propongono come alternativa al verbo di Agnoletto e compagnia bella, riesce a sviluppare sulla questione un discorso complessivo. Il che vuol dire che si rischia di essere deboli e perdenti. Se si contrasta l’opzione ONU, si deve spiegare bene il perché, entrando nel merito di cosa vuol dire quella gestione multilaterale delle crisi di cui riempiono la bocca le leadership della maggioranza degli Stati. Non basta rilevare semplicemente che sull’ONU pesa la responsabilità di anni di embargo ai danni degli iracheni. Né risulta utile, anzi potrebbe essere fuorviante, sottolineare che anche in quella sede si esprime la forza della principale potenza imperialista del pianeta. Fossero queste le obiezioni, sarebbe facile ribadire che, a fronte dell’impetuoso dispiegarsi dell’unilateralismo statunitense, col cumulo di tragedie che esso porta con sé, il riattivarsi dell’ONU costituisca comunque un male minore. O meglio, un piccolo argine, tale da poter frenare almeno per un attimo la spinta guerrafondaia del Pentagono. Così da rendere meno pressanti le emergenze belliche e da creare il terreno favorevole per una campagna volta alla riforma ed alla democratizzazione del più importante tra gli organismi sovranazionali. Di più, alla battaglia per un’ONU rinnovata e senza lo strapotere del veto di cui godono gli attuali membri del Consiglio di Sicurezza, si potrebbe affiancare la straordinaria produttività di una “diplomazia dal basso”, di un intervento costante nei conflitti del pianeta da parte di membri delle diverse società civili, disposti ad esporre il loro corpo per difendere la pace.

    Diciamolo francamente: l’ipotesi complessiva appena citata, sebbene la definizione “diplomazia dal basso” risulti essere un ossimoro, ha un che di persuasivo. Soprattutto se rapportata ad una negazione non specificata a dovere.

    Nel caso però si entri finalmente nel merito delle questioni, le ipotesi di Agnoletto, Benetollo ecc., rivelano appieno il loro carattere velleitario. Ciò perché, un dibattito serrato, può far emergere la vera natura dell’opzione ONU. Ossia, il fatto che essa rimanda concretamente ad una sintesi tra le volontà dei diversi imperialismi. Nel Palazzo di Vetro, si verifica una mediazione tra gli interessi delle principali potenze ed il peso che su di esso esercitano gli Stati Uniti, pur notevole, non è tale da impedire che si registri l’ascesa di altri soggetti politici ed economici nello scenario mondiale. E’ per questo che gli States cercano, in prima istanza, di scavalcare le Nazioni Unite, salvo chiedere una legittimazione del proprio operato a “missioni di civiltà” concluse o già avviate. A Washington, non sfugge affatto il tentativo che Kofi Annan ed i suoi collaboratori stanno portando avanti da tempo, tentativo volto a rilanciare l’istituzione per cui operano, delineando una ipotesi di gestione delle controversie alternativa a quella americana. Si pensi ai teatri minori di crisi. Essi, sono sottovalutati dai compagni, che in fondo vanno a rimorchio della grande stampa, accettandone la gerarchia dei temi e limitandosi a cercare di leggere in chiave diversa ciò che gode delle prime pagine. Ma se, a posto di questa caricatura della controinformazione, si portasse avanti un serio sforzo analitico, ci si renderebbe conto del fatto che i teatri minori sono decisivi. In essi si sta abbozzando una ipotesi imperialista diversa da quella basata sul predominio yankee. Ad Haiti, con il beneplacito di Annan, intervengono congiuntamente i marines ed i soldati francesi. In Africa, nella martoriata Repubblica democratica del Congo, un contingente europeo ( sostanzialmente a guida francese) ha tenuto “sotto controllo”, fino all’autunno del 2003, quando è stato rimpiazzato da forze dell’ONU, la situazione in un’area dalle straordinarie (e contese) risorse minerarie. Ciò, si è verificato proprio a partire da un mandato del principale organismo sovranazionale, che infatti ha pensato il tutto in termini di staffetta tra le forze europee al comando di Parigi e le proprie. In sostanza, quando si pensa alla Repubblica democratica del Congo ed alla guerra che la dilania, la potenza d’oltralpe viene sempre citata per un possibile intervento risolutore. Il punto è che essa, al pari degli USA, ha sempre avuto mire su quel paese, soffiando sul fuoco dei suoi conflitti interni per esercitarvi un’egemonia. Un’egemonia che oggi Annan riconosce in pieno, per giunta presentando la politica estera francese non come una delle cause di un disastro, bensì come la sua risoluzione. In questo quadro, si capisce anche perché gli States hanno tanto esitato a portare le proprie navi al largo di Monrovia, in Liberia, l’estate scorsa, durante la crisi “risolta” con la fuga di quel Taylor di cui Washington ha coperto sempre le malefatte. Non era la mancanza di risorse energetiche di quel piccolo Stato a frenare gli statunitensi. Era invece il fatto che l’intervento gli fosse richiesto da Annan e che si collocava, quindi, nel contesto di quella spartizione delle aree di influenza e di quella cogestione delle crisi, che gli USA vogliono escludere a tutti i costi, preoccupati per il possibile emergere di soggetti con loro competitivi. D'altra parte, se la ipotesi di spartizione e di cogestione cui stiamo alludendo si fosse attuata in Iraq a posto della guerra anglo-americana, essa avrebbe comunque comportato la radicale negazione dell’autodeterminazione delle genti irachene. Certo, con il Consiglio governativo fantoccio che affianca l’autorità yankee e con la Costituzione scopiazzata da quella americana, siamo giunti al ripristino delle più rozze e tradizionali tra le ipotesi colonialiste. Però, non dimentichiamo che la proposta dell’accoppiata “pacifista” Francia e Germania, prima della guerra e per “scongiurarla” era di mantenere l’embargo e di rafforzare il controllo militare sull’Iraq, magari usando le proprie forze aeree più che quelle statunitensi. Dalla padella nella brace, è il caso di dire. Magari non perdendo l'occasione di svolgere finalmente un discorso complessivo, in cui il triste destino dell’Iraq con o senza l’ONU sia affiancato a quello di chi – da Kinshasa a Port-Au-Prince – sta già godendo delle magnifiche sorti e progressive promesse da Kofi Annan.

    La questione dell’esercito europeo.

    Come s’è appena visto, è possibile – analizzando il contesto internazionale anche a partire dai suoi scenari meno indagati –esprimere la propria contrarietà all’ONU in modo veramente persuasivo. Ma tale negazione, anche adeguatamente motivata, potrebbe risultare parziale se non abbracciasse un’altra questione: quella legata alle potenze o ai Poli imperialisti attualmente emergenti. Si pensi all’imperialismo che ci riguarda più da vicino: l’Unione Europea. Per quanto il processo che doveva portare alla prima Carta Costituzionale continentale abbia subito una battuta d’arresto, su alcuni piani l’UE sta effettivamente progredendo. Tra questi possiamo annoverare senz'altro il terreno militare, quanto mai importante per la definizione di un progetto imperialista europeo all’altezza della situazione, in grado, quindi, di costituire un cardine di quel sistema multipolare verso la cui realizzazione sta spingendo l’ONU. Ora, l’ordine di problemi qui sommariamente suggerito, è spesso ignorato da quelli che si autorappresentano in quanto soggetti più avanzati e radicali del movimento, espressioni di un antagonismo che non cede a compromessi con le istituzioni. Anzi, un paradosso vuole che – sotto questo profilo – l'EUROPEAN SOCIAL FORUM riesca a dire qualcosa di più di molti rivoluzionari. Nella piattaforma del 20 marzo – quella ufficiale, s’intende – si parla in modo esplicito di disarmo dell’Europa. Il che rimanda ad una opposizione alla NATO o alle basi americane, ma anche ai progetti di definizione di un esercito europeo, nonché all’avanzamento dei progetti francesi di uso a fini bellici del nucleare. In alcune delle piattaforme alternative a quella definita a Parigi dall'ESF, si riesce incredibilmente a volare più basso. Si ribadisce la classica opposizione alla NATO e alle basi americane, e non si accenna all’ipotesi in campo di un esercito europeo, evidentemente non cogliendo l’intimo nesso tra questa opzione ed il consolidamento del ruolo dell’ONU in Iraq ed altrove. Il punto è che, su questo piano, si registra il peso di precise carenze analitiche, che riguardano in modo particolare le realtà che, in vario modo, si richiamano alla esperienza dell’Autonomia. In effetti, dentro i settori che si ritengono eredi di quella che è stata l'espressione più avanzata della sinistra rivoluzionaria italiana, se su alcune questioni ci si riesce a confrontare con i mutamenti in atto da anni su altre si rivelano veri e propri limiti di aggiornamento. Così, se la battaglia per il reddito viene portata avanti tenendo conto di quanto è cambiato nel mercato del lavoro e mantenendo una impostazione classista, per quanto riguarda l’oggetto del nostro discorso, ovvero i nodi connessi alla guerra ed all’imperialismo, grande è la difficoltà nel formulare un discorso valido per l’oggi. Non a caso si insiste sulla possibilità di azioni dirette di fronte alle basi, col pensiero alle proprie gesta a La Maddalena o in altri posti, in anni ormai lontani. Senza capire che il contesto nel quale si sono svolte certe manifestazioni, peraltro di grande significato politico, era assai diverso dall’attuale. Senza aver ben chiaro che oggi, contemporaneamente al rilancio, quando se ne abbia la forza, dell’azione diretta, occorrerebbe dotarsi di strumenti di comprensione di una realtà segnata da notevoli trasformazioni.

    Altrimenti, si risulta meno lucidi dei capoccia del SF, che mostrano di avere almeno uno sguardo più complessivo. Che poi, certo, non risulta esente da limiti. L’idea del disarmo dell’Europa che costoro propugnano si basa su un fraintendimento molto grave. In pratica, secondo questi signori, il solo livello militare porta con sé un’opzione imperialista. Non quello economico, non quello politico. Su questi due piani, dal loro punto di vista, l’UE dovrebbe rafforzarsi, anche se nel segno illuminato di una politica del Welfare e di un processo di democratizzazione interna. In sostanza, va compreso se intenzionalmente o meno, si mischiano le carte in tavola. Il piano militare non è visto come logica conseguenza degli altri, bensì – con una incredibile forzatura – come una loro negazione, come un mutamento della natura dell’UE, tale da portarla, esso soltanto, a diventare imperialista.

    Ma di fronte a queste mistificazioni, scientemente perseguite o meno che siano, chi si produce in un discorso alternativo? Chi l’imperialismo europeo non lo vede nemmeno?

    Spiace doversi esprimere in questi termini, però se si vuol favorire la crescita e la visibilità di una opzione anticapitalista in questo paese, occorre essere chiari. I limiti analitici, diciamola tutta, si pagano. Si pensi alla Confederazione Cobas. Chi potrebbe negare il suo ruolo positivo dentro il movimento no global e nello stesso Social Forum? E' stato principalmente in virtù dell’impegno di questa realtà del sindacalismo autorganizzato se, nelle giornate del SF di Firenze del 2002 si è giunti ad assumere la centralità della contraddizione capitale/lavoro.

    Però, la funzione complessivamente positiva svolta dai Cobas non può far dimenticare che, nelle grandi mobilitazioni contro la guerra del 2003, essi non hanno saputo far valere un punto di vista radicalmente diverso da quello dominante nel pacifismo italiano ed internazionale. Ciò, non in virtù di precise scelte soggettive ma, appunto, per limiti nella lettura della realtà. I Cobas, in effetti, non hanno mai completamente messo a fuoco certi problemi, quasi ignorando l’emergere di una ipotesi imperialista a livello europeo.

    Attualmente, certo, si registra una loro evoluzione anche sul terreno dell’opposizione alla guerra, con l’assunzione pubblica di posizioni interessanti, senz’altro avanzate. Ma ciò, secondo noi, è dovuto anche al fatto che una serie di realtà, di strutture dell’antagonismo, anche dal peso sociale non eccessivo, abbiano attivato momenti di confronto, scritto e diffuso documenti, creato insomma il terreno affinché fosse possibile la circolazione di posizioni lontane dall’ortodossia della “sinistra alternativa” italica.

    Tuttavia, il modo in cui si arriva al 20 marzo, il fatto di non aver compiuto tutti i passi necessari per abbozzare una credibile alternativa alla minestra riscaldata del SF, ci fa capire che lo sforzo dei mesi passati va ripreso.

    E’ in questa direzione che, nel nostro piccolo, intendiamo muoverci. Auspichiamo, certo, che il 20 marzo veda una effettiva affermazione di piazza dei diversi segmenti che, con varie sfumature, si pongono in una ottica eterodossa. Però intendiamo prima di tutto ribadire un impegno. Un impegno che vogliamo assumere proprio a partire dalla consapevolezza del fatto che condividiamo, uno per uno, tutti i problemi che attanagliano il movimento antagonista, italiano e non solo. Sì, sarà la percezione delle nostre difficoltà, ad orientare lo sforzo di specificare i temi qui suggeriti ed in precedenti documenti accennati. Si tratta, in fondo, di trasformare in tentativi analitici le domande suggerite da una pratica segnata dai limiti di cui tutti siamo portatori. Così si potrà contribuire alla conquista di una elaborazione collettiva sui temi della guerra e dell’imperialismo, nel segno di una chiara opzione anticapitalista.

    Roma, 15 marzo 2004

    Corrispondenze metropolitane – Collettivo di controinformazione ed inchiesta

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