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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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La scelta complice

(8 Luglio 2011)

Il gruppo dirigente che ha occupato la CGIL ha fatto una scelta definitiva: collocare la Confederazione all’interno del processo di ristrutturazione capitalista in atto ponendo una seria ipoteca sulla possibilità dei lavoratori ad una azione indipendente nei conflitti che si verificheranno nei mesi e negli anni futuri.

Per uscire dall’isolamento in cui le scelte di capitolazione e collaborazionismo di CISL e UIL l’avevano collocata, incapace di cogliere i frutti politici delle battaglie di resistenza condotte dalla FIOM e attorno a cui si è saldata e mobilitata la parte migliore di questo paese, la Segreteria ha scelto la via più facile, accettando di rientrare nel grande gioco, a costo di giocare il ruolo di garante delle scelte politiche del governo e di Confindustria. Accettando di fatto di svolgere un ruolo attivo per salvare il paese, la patria, anche contro gli interessi dei lavoratori, i quali devono essere gli unici a pagare in termini di diritti, tutele, salari, perché ciò che va salvato sono le imprese, le banche.

La Nazione, la patria della borghesia, contro la classe: è in questa situazione che si gioca l’agire del capitale, quanto meno in aree economiche e sul piano globale; a questo attacco senza precedenti il sindacato dovrebbe guidare un’azione della classe quantomeno a scala europea: fatta la scelta di giocare solo sulla crescita nazionale e sul ciclo del debito, significa sancire la necessità di continuare a far profitti per i padroni, garantendo il comando autoritario dell’impresa e del governo sul lavoro, diventando così una pura variabile nella competizione imperialistica del capitale.

E questo accordo è il tassello che mancava dalla "riforma" della contrattazione del 2009 (a suo tempo non firmato da CGIL); ora si norma il tutto in modo coerente, sanando i tre punti rimasti allora in sospeso: la democrazia, le intese modificate (nuova definizione di deroghe), il depotenziamento del CCNL e sua progressiva sostituzione.

Su questi tre punti si costruisce il funzionamento dell’accordo che Confindustria chiedeva da tempo.

La democrazia

La parte più estesa dell’accordo norma la rappresentatività delle organizzazioni sindacali, parificando le rappresentanze aziendali elette dai lavoratori a quelle nominate dalle organizzazioni sindacali.

Scompare la validazione degli accordi attraverso il voto dei lavoratori e rende sufficiente il consenso 50%+1 dei rappresentanti aziendali alla esigibilità degli accordi; si stabilisce la tregua sindacale e si vincolano i firmatari dei contratti stabilendo sanzioni sia per i firmatari che per i rappresentanti dissenzienti, il tutto in sede aziendale: chi si trova in minoranza non può richiedere il voto dei lavoratori e nemmeno scioperare.

Viene quindi eliminato il potere di controllo dei lavoratori esercitato attraverso l’auto-organizzazione e il voto democratico sia sui contenuti, sia sulle stesse organizzazioni sindacali, sia sulla rappresentanza.

Le intese modificate o deroghe

I contratti aziendali possono derogare (intese modificate) dai CCNL, la materia viene specificata nella norma transitoria: si possono fare accordi in deroga su prestazione lavorativa, orari, organizzazione del lavoro, salario (in pratica su tutto); i titolari sono le rappresentanze aziendali di concerto con le organizzazioni sindacali territoriali.

Il CCNL

Si completa lo svuotamento del livello nazionale ridotto nel ruolo salariale e normativo dalle deroghe, inoltre il suo depotenziamento è contenuto nella richiesta di incrementare e rendere strutturali la detassazione e la decontribuzione dei salari aziendali; viene reso nullo l’elemento unificante che il CCNL rappresenta. La scelta dell’abbandono del contratto nazionale viene a seguito delle dinamiche in atto (l’80% dei lavoratori non ha il contratto aziendale e la stragrande maggioranza degli occupati è in piccole e piccolissime aziende) e distrugge le forme di solidarietà che il contratto nazionale ha garantito fino ad ora.

La scelta della Segreteria è quella di passare alla complicità con governo e industriali: ha rifiutato di porsi su di un terreno di ricomposizione di classe costituendo un punto di riferimento per le realtà sociali in movimento, costruendo così rapporti di forza utili per poter agire su un piano di autonomia e rivendicazione sociale nel processo in atto, ha invece scelto di scaricare quelle soggettività e quelle categorie, come la FIOM, che negli ultimi anni hanno saputo contribuire a costruire la vera alternativa sociale in questo paese.

La scelta operata dal gruppo dirigente CGIL lascia fuori milioni di lavoratori precari, disoccupati, in nero, giovani, studenti, separando dagli altri lavoratori, da quelli che hanno la rappresentanza, quei milioni di lavoratori e lavoratrici che ormai non hanno contratti, né stato sociale, né reddito continuativo e sono in aumento.

L’antagonismo che si svilupperà rischia di non trovare più nella CGIL un riferimento, ma di vederla schierata nell’altro campo pronta a condannarlo; la scelta di campo fatta, oltre alle ricche prebende degli enti bilaterali, ne farà una mostruosità burocratica, in grado solo di gestire i servizi e le ricadute caritatevoli che l’offensiva del capitale produrrà.

La scelta pare quindi, in termini sindacali/politici, del tutto suicida, con al suo interno un tentativo in corso di omicidio: quello della FIOM e dell’area di opposizione "La CGIL che vogliamo".

L’involuzione autoritaria della Confederazione, resa possibile dalle modifiche allo Statuto votate a maggioranza alla fine dell’ultimo Congresso, indica di fatto nella Segreteria l’unico momento decisionale della Confederazione, impedendo in buona sostanza ogni discussione e l’esistenza di punti di vista alternativi che le possano sfuggire, come è apparso evidente nell’ultimo Comitato Centrale della FIOM del 30 giugno scorso, dove la minoranza filo-Camusso ha ricordato all’assemblea che le questioni in discussione riguardavano solo la Segreteria, appunto la sola che può avere il comando sulle politiche sindacali, ed alla quale tutti si devono uniformare.

La scelta fatta condanna alla irrilevanza sociale e alla dipendenza politica la CGIL, ormai schierata al fianco della politica di un futuro governo che sta, già da ora, gettando ombre sinistre sui lavoratori e sui ceti subalterni di questo paese e di questa Europa.

Di fronte a questo accordo che assomiglia sempre più a quello di Palazzo Vidoni, e che piegò i lavoratori italiani al capitalismo fascista, dobbiamo organizzare forme di resistenza, fuori e dentro la confederazione, che rifiutino l’accordo, sostenere la FIOM e l’area di minoranza, in un lungo processo di riconquista degli spazi politici e di agibilità interna alla CGIL, e quella solidarietà di classe che permetta di agire, sindacalmente e politicamente, in una situazione sempre più complessa per uscire dalla morsa di padroni, governo e collaborazionisti vari.

Raccogliere questa sfida significa dover essere capaci di articolare percorsi unitari dal basso che attraversino e raccolgano tutte le istanze di opposizione nei luoghi di lavoro e nel territorio.

Commissione Sindacale Federazione dei Comunisti Anarchici

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