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Sull’importanza della Freedom Flotilla. Una nota sul perché sia così utile alla causa palestinese

(13 Luglio 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.caunapoli.org

Sull’importanza della Freedom Flotilla. Una nota sul perché sia così utile alla causa palestinese

foto: www.caunapoli.org

Cos’è la Freedom Flotilla e quale sia il suo valore l’avevamo intuito già l’anno scorso, quando la Mavi Marmara, la nave turca del convoglio, era stata attaccata militarmente dai commando israeliani. Israele era stata disposta a violare le acque internazionali e ad uccidere ben nove pacifisti, causando un moto di sdegno in tutto il mondo, pur di impedire l’arrivo delle barche a Gaza. Ed è proprio per infrangere questo divieto che quest’anno una seconda Flotilla si era proposta di ripartire alla volta della Striscia. Ma evidentemente per lo stato sionista la “prima edizione” aveva provocato troppo rumore, aveva posto la questione palestinese all’attenzione di troppe coscienze: per questo ancora oggi ci troviamo davanti ad un tentativo (purtroppo ben riuscito!) di sabotaggio da parte di Israele.

Infatti, da oltre due settimane le 12 navi della Freedom Flotilla II sarebbero dovute salpare per portare aiuti umanitari e per rompere simbolicamente l'assedio di Gaza. Ma non è stato così. Israele, grazie alle alleanze politiche ed economiche e all’appoggio incondizionato di cui gode in Europa, è riuscita a mettere in campo una campagna diffamatoria di dimensioni mondiali nei confronti della Flotilla e ad esercitare pressioni sui “governi amici” per impedirne la partenza.

A prendere parte a questa campagna e a diventarne quasi protagonista è stata la Grecia, paese in cui le navi del convoglio si erano radunate per partire assieme verso la Palestina: da più di due settimane gli attivisti sono bloccati nei porti ellenici, di fatto sequestrati in quelle acque. La Grecia, che nel frattempo si fa fornire da Israele i gas lacrimogeni per reprimere le sommosse che hanno travolto il paese, ha categoricamente vietato la partenza della Flotilla infrangendo “non soltanto i principi sanciti dal diritto internazionale sulla libertà dei mari e l’antica tradizione che connota il Mediterraneo come mare libero, ma contravvenendo anche ai principi di democrazia e auto-determinazione del popolo palestinese e delle organizzazioni non governative che noi rappresentiamo” (così la “Lettera aperta a Papandreu” scritta dalla delegazione della nave italiana “Stefano Chiarini”). Le navi che – nonostante le “strane” rotture di eliche e motori, e gli ancor più strani “ritardi” amministrativi – sono comunque riuscite a partire, sono state subito fermate. Un caso emblematico è quello del battello statunitense “Audacity of Hope”, che nonostante le intimidazioni del governo greco ha deciso di salpare il 1° luglio consapevole che sarebbe stato bloccato dopo poco, come poi è avvenuto con modalità tutt’altro che pacifiche: gli attivisti sono stati minacciati dalla marina greca con le armi e il capitano è stato arrestato. D’altro canto in questa situazione tragica provocano quasi un sorriso le giustificazioni del governo greco riguardo la scelta di vietare la partenza delle navi: sostiene di aver agito in questo senso per “garantire la sicurezza” dei passeggeri del convoglio, dati gli spiacevoli avvenimenti dell’anno scorso...

Eppure di convogli umanitari verso la Palestina negli anni ne sono partiti diversi e sono quasi sempre riusciti, nonostante le immani difficoltà, a giungere a destinazione. Quindi vien da chiedersi il perché di questo accanimento: cos’ha di particolare la Freedom Flotilla? Perché Israele teme così tanto il suo arrivo nelle acque di Gaza, al punto che il suo primo ministro deve tuonare ogni giorno contro i pacifisti mentre i suoi servizi segreti sono impegnati a sabotare materialmente le navi?

Non è certo di un attacco militare che ha paura Israele, dato che quello israeliano è il quarto esercito al mondo e beneficia dell’appoggio delle più grandi potenze mondiali – anche se questa dell’“attacco” è una delle tante menzogne che ha provato ad utilizzare per fermare le navi, sostenendo che gli attivisti a bordo nascondevano in realtà armi di ogni tipo, fra cui anche armi chimiche… Né si può dire che Israele tema gli aiuti umanitari, le medicine, il cemento, quelle poche e povere cose che pure a Gaza mancano, e che la Flotilla è incaricata di portare. Allo stato sionista l’assistenzialismo e la carità possono al limite anche andar bene, perché in fondo riducono il palestinese a vittima, a soggetto inferiore e bisognoso d’aiuto.

In realtà l’importanza della Freedom Flotilla e la ragione per cui è necessario sostenerla stanno nel ruolo fondamentale che questa gioca sul piano politico, nella pretesa all’autodeterminazione del popolo palestinese, nell’appello all’internazionalismo. Una dozzina di navi, tutte di nazionalità diverse, che giungono nelle acque di quella che è una vera e propria prigione a cielo aperto, costringerebbe il mondo a parlare dell’esistenza di un popolo che da decenni è vittima della violenza di un paese sempre presentato come “l’unica democrazia del Medio Oriente”.

Da anni Gaza è in una bolla di vetro al cui interno si consumano le peggiori angherie, le più gravi ingiustizie, da cui nemmeno i suoni possono uscire e l’unica cosa che ha la possibilità di entrare è l’artiglieria israeliana. Questa bolla di vetro ha però una piccola crepa che dà sul mare, l’unica via di speranza per il popolo gazawi. Ed è lì che la Freedom Flotilla doveva arrivare, per abbattere quel vetro che avvolge Gaza e per far sì che tutte le voci di quella terra potessero finalmente uscire e percorrere il mondo. Ecco dove sta l’importanza della Flotilla: nel passare per l’unica frontiera che è solo palestinese, nel dimostrare che questo popolo deve avere il diritto di muoversi e di comunicare con il mondo senza chiedere l’autorizzazione di Israele o dei suoi scagnozzi.

E non solo! La Freedom Flotilla permette di dimostrare una volta per tutte che i colpevoli del genocidio del popolo palestinese non sono solo Israele o gli USA, ma anche le istituzioni internazionali che dicono di essere preposte alla difesa della pace ed alla salvaguardia dei popoli (l’ONU) e la “sociale” e “pacifista” Unione Europea. Anche se la Flotilla non dovesse partire, avrà avuto il merito di dimostrare una cosa: che l’Europa tutta è corresponsabile dell’eccidio palestinese, perché sostenere Israele conviene, perché è un centro nevralgico dal punto di vista degli interessi economici dell’occidente e dell’economia di guerra. E dunque ci fa prendere consapevolezza del fatto che il primo nemico da combattere è in casa nostra: sono i politici, i partiti, gli intellettuali, i giornalisti, persino gli artisti che appoggiano Israele, negando più o meno esplicitamente il diritto ad esistere dei palestinesi.

Infine, merita di essere sottolineato un ultimo aspetto per cui possiamo dire che la Flotilla ha raggiunto in ogni caso il suo scopo. Mettere in acqua delle barche non è una cosa che si inventa dall’oggi al domani. L’allestimento della Flotilla è durato mesi, ha coinvolto migliaia di persone ed ha riscosso un entusiasmo dal basso che ricorda, seppur in forme diverse, le Brigate Internazionali che andavano in Spagna a combattere il fascismo.

In questi mesi in molte città italiane si sono svolte iniziative di supporto alla Flotilla e il 14 maggio scorso c’è stato un corteo nazionale a Roma di migliaia di persone per provare ancora una volta a dare voce ai “senza voce”. Ma in linea con la politica attuata fino ad ora sulla questione palestinese vi è stato un criminale silenzio, un vero e proprio boicottaggio mediatico che ha fatto sì che quella giornata venisse completamente cancellata: nessuno ha letto la notizia sul giornale, nessuno l’ha vista in televisione. Il 14 maggio è “scomparso” così come per 63 anni un intero popolo e la sua terra sono scomparsi dalle carte geografiche. Tuttavia quel corteo c’è stato e c’è chi vi ha partecipato, così come la popolazione palestinese esiste, vive e continua giorno dopo giorno a resistere dinnanzi alla disperazione, dinnanzi alle catene che la tengono prigioniera. Anche se i media mainstream non ne parlano o ne parlano male, non scompaiono i corpi e le persone che lottano, e la solidarietà con la Palestina si estende.

In questi ultimi giorni Israele è riuscita anche a bloccare i circa 350 attivisti mobilitati nella spedizione “Welcome to Palestine”, arrestandone oltre 40 all’aeroporto di Tel Aviv e impedendo la partenza di tutti gli altri da Parigi, Londra, Ginevra (dove ci sono stati sit-in di protesta e cariche della polizia), dimostrando così che non solo controlla il Mediterraneo, ma anche lo spazio aereo europeo e le “nostre” compagnie di volo. Ormai è sempre più evidente il tentativo di gettare nel dimenticatoio la storia e l’attualità della Palestina e sempre più evidenti sono le alleanze e i vantaggi di cui usufruisce Israele.

Ma la verità è che esiste al mondo uno Stato dichiaratamente razzista e guerrafondaio, in cui la dissidenza è repressa e vige un sistema di apartheid, e che questo stato è appoggiato dalle maggiori potenze del mondo. Le vicende che avvolgono la Freedom Flotilla e l’ultima Flytilla ne sono un caso emblematico. Proprio perché siamo al colmo dell’ingiustizia non si può restare indifferenti, non si può dimenticare la lotta del popolo palestinese, non si può accettare che lo Stato di Israele resti impunito.

Collettivo Autorganizzato Universitario – Napoli

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