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(10 Settembre 2011) Enzo Apicella
Maurizio Sacconi spiega l'articolo 8 della Manovra (quello sui licenziamenti senza giusta causa) con l'esempio delle suore violentate: "basta dire di no"

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I tuoi diritti? A partire da 37 euro

Con l'approvazione della manovra economica, la possibilità di vedere tutelati i propri diritti è a pagamento: un minimo di 37 euro.

(13 Luglio 2011)

È evidente che c’è una logica nei provvedimenti che, uno alla volta, modificano (o cancellano) i diritti fondamentali dei lavoratori. Solo le forze di opposizione parlamentare sembrano non accorgersi di quello che sta avvenendo.

L’ultimo dei provvedimenti che disegnano un tenebroso quadro per il mondo del lavoro, è nascosto tra i commi della manovra economica. Non sembri strano, questo governo ha già mostrato tante volte la meschinità dei suoi atteggiamenti, infilando commi che abbassavano le tutele dei lavoratori (sia in materia di diritti, che in materia di sicurezza) in provvedimenti che regolavano tutt’altra materia. Ergo, pare impossibile che l’opposizione parlamentare ancora non abbia mangiato la foglia.

Tornando alla questione, il comma 6 della manovra economica prevede che nei «processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego» sia versato un contributo, previsto dall’articolo 13 del Dpr n. 115 del 2002, di almeno 37 euro. Come spiega Alberto Burgio su Il Manifesto del 12 luglio scorso, «tradotto in volgare vuol dire che, da oggi, se un lavoratore (anche precario o in nero) vuol iniziare una causa contro il datore di lavoro o un cittadino intende rivendicare in giudizio una prestazione previdenziale o assistenziale, non potrà muovere un passo senza versare un contributo a partire da 37 euro (ma secondo gli studi della Cgil, il costo medio di ogni causa sarà di 233 euro)».

Si tratta di un nuovo colpo ai diritti dei lavoratori, che non deve essere letto come una cosa a sé. Basti pensare a quanto prevede il cosiddetto “collegato lavoro”, approvato qualche mese fa, che tra le misure adottate prevede “libera volontà” del lavoratore di accettare deroghe peggiorative a norme di legge e di contratto collettivo. Tra le deroghe, anche la preventiva rinuncia, in caso di controversia, a tutelarsi di fronte ad un giudice che sarebbe così sostituito appunto da un collegio arbitrale. Sempre il collegato lavoro prevede inoltre che in caso di processo di lavoro il giudice non potrà entrare nel merito dell’organizzazione del lavoro e delle scelte produttive.

Ecco, in questo quadro deve essere visto l’inserimento di quel comma 6 nella manovra economica. Ed nel disegno che si va delineando trovano spazio anche gli accordi Fiat e l’accordo del 28 giugno tra sindacati confederali e Confindustria. Perché se da una parte (quella collettiva) ci si accorda per deroghe al CCNL, tregua sindacale e azzeramento del conflitto sociale; dall’altra (per i singoli lavoratori) si tenta di eludere anche la tutela di diritti individuali. Si tratta di un processo di annullamento delle possibilità di agire per la garanzia dei propri diritti, a qualunque livello. Perché ad essere garantito deve rimanere solo il profitto, quale unica variabile indipendente della produzione.

Un passo alla volta, si sta di fatto realizzando il disegno padronale, già rivendicato dal governo per bocca del ministro Sacconi, di sostituire lo Statuto dei Lavoratori con uno Statuto dei lavori. Laddove sostituire la parola “lavori” con “lavoratori”, significa affermare, anche formalmente, la supremazia del lavoro (organizzato dall’impresa) sui lavoratori. La messa a norma della subordinazione dei diritti individuali e collettivi agli interessi particolari aziendali. Il primato del profitto sui principi costituzionalmente garantiti.

Carmine Tomeo

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