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Processo “Calabresi”: non luogo a procedere

(21 Luglio 2011)

Torino 19 luglio. È cominciato e subito finito il processo a carico di due anarchici accusati di aver scritto sui muri del quotidiano “La Stampa” “Calabresi assassino, Pinelli assassinato. Nessuna pace con lo Stato!”.
All’epoca dei fatti – era l’11 maggio 2009 - non era ancora stato approvato il pacchetto sicurezza, che introdusse la procedibilità d’ufficio per l’imbrattamento, ossia per quelle scritte sui muri che spesso sono l’unico quotidiano disposto a dar voce alle voci fuori dal coro.
Il PM Antonio Rinaudo non avrebbe dovuto inviare a giudizio i nostri due compagni. Peccato che il furore antianarchico che lo distingue gli abbia fatto dimenticare il codice penale!
Questa mattina in tribunale la giudice non ha potuto che constatare il non luogo a procedere ed ha chiuso il processo prima che iniziasse.

Dentro e fuori le aule dei tribunali noi non possiamo che ribadire quanto dicemmo due anni orsono, quando il presidente della Repubblica Napolitano, in occasione della giornata dedicata alle vittime del terrorismo, invitò la vedova dell’anarchico Pino Pinelli e quella del suo assassino, il commissario Luigi Calabresi.

Due anni fa quelle scritte suscitarono scandalo tra i politici e una incredibile canea mediatica: qualcuno aveva osato rompere l’atmosfera zuccherosa voluta da Napolitano per un’operazione dal carattere squisitamente revisionista. A suo tempo un giovane PM D’Ambrosio, poi “eroe” di mani pulite, liquidò la vicenda dell’anarchico precipitato dal quarto piano della questura di Milano, come “malore attivo”. Quarant’anni dopo Giorgio Napolitano decise di porre una pietra tombale su una verità che solo la ragion di Stato poteva negare.
Napolitano voleva che di di quei lontani giorni a Milano non restasse più nulla.

Il 15 dicembre del 1969 Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.
Tre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.

Napolitano, mettendo insieme carnefici e vittime provò ad attuare una strage della memoria, che lascia attoniti quanti vissero con passione e con rabbia quei giorni e gli anni che seguirono.
Gli eventi del dicembre 1969 mostrarono a tanti la criminalità dello Stato, sì da segnare indelebilmente la vita di un’intera generazione.

Un castello di carte. Bastarono poche scritte sul muro perché l’operazione traballasse. Bastò che alcuni anarchici rifiutassero il copione scritto per loro, rifiutassero il ruolo di vittime sciocche ed innocue, perché i maggiori quotidiani arrivassero a parlare di “clima di violenza”, persino di “terrorismo”.

Gli anarchici – oggi come allora dicono e scrivono dove possono – che terrorista è lo Stato, che le bombe che il 12 dicembre uccisero 17 persone nella banca dell’Agricoltura di Milano sono bombe di Stato. Dicono e scrivono dove possono che non ci sono “servizi segreti deviati”. Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.
Pino Pinelli è stato ammazzato e Luigi Calabresi è uno dei suoi assassini!

Federazione Anarchica Torinese - FAI

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