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    (Imperialismo e guerra)

    L’imperialismo delle guerre perse

    (21 Luglio 2011)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

    L’impresa libica è il vero capolavoro del governo e della supposta opposizione: si sono aggregati a un’operazione militare che ha tra i suoi scopi principali eliminare l’influenza di ENI, Finmeccanica, Unicredit in Libia e sostituirla con quella di banche e compagnie petrolifere francesi, inglesi e americane. Sono riusciti, “a loro insaputa”, a sferrare un duro colpo all’imperialismo italiano. Quando si dice la genialità...

    Incapacità acclarata a parte, il problema è più complesso: lo sviluppo ineguale dei diversi paesi ha grandi effetti sui rapporti di forza internazionali. Un decennio di stasi, aggravato da forti delocalizzazioni verso altri paesi, ha inciso negativamente sul peso politico dell’Italia. Il discredito e il ridicolo a livello internazionale che assediano Berlusconi rappresentano solo aspetti relativamente secondari.

    La nuova avventura bellica ha accresciuto la dispersione delle spedizioni militari, con spreco enorme di energia, senza veri risultati tangibili. Prova evidente dell’inefficacia della politica estera italiana. La politica estera è la continuazione della politica interna, e anche qui c’è ristagno. Gli industriali innovatori di un tempo sono stati sostituiti in gran parte da una borghesia che punta su rendimenti stabili, autostrade, telefonia, ecc., fa speculazioni finanziarie o che trama per avere appalti o sovvenzioni. Puro parassitismo! Sulla falsariga della “borghesia compradora” l’abbiamo chiamata “borghesia roubadora” (non occorre tradurre). Il parlamento continua a presentarci schiere di disonorevoli, indagati per mafia, tangenti o loschi affari, mentre gli altri parlamentari di tutto si interessano salvo della salvaguardia delle esigenze delle fasce meno abbienti, che tutti lusingano in prossimità delle elezioni.

    Grandi colpe hanno anche le organizzazioni sindacali. Quando si lotta per strappare aumenti salariali, riduzioni dell’orario di lavoro e spese sociali, la borghesia non ha quel surplus da impiegare in lusso, avventure finanziarie o corruzioni, i parassiti hanno meno da divorare, e la società è più sana. Questo non è possibile con sindacati sempre più simili a enti parastatali, che sostituiscono gli scioperi con innocue parate nei giorni di festa, e firmano accordi forcaioli con Confindustria.

    Lo stato, poi, traballa sotto gli attacchi di quegli autentici bucanieri della finanza che sono le agenzie di rating. E si fanno “miracoli” con le stangate sulla pelle di lavoratori, pensionati e disoccupati. Un altro miracolo ancora, e Tremonti verrà beatificato ...da Napolitano.

    Con questi sviluppi, non c’è da meravigliarsi se le zone d’influenza dell’italo imperialismo cadono in mani altrui. “Con l'Eni è finita per davvero”: lo ha detto il primo ministro libico Al Bagdadi al-Mahmoudi in conferenza stampa, annunciando l'interruzione di ogni collaborazione con il gruppo energetico italiano. Il premier ha deplorato la circostanza che Roma abbia “violato” un accordo di non aggressione siglato tre anni fa, partecipando ai raid della Nato contro il regime di Muammar Gheddafi.” (Unità, 14 luglio). Si noti che l’Unità mette “violato” tra virgolette, come se fosse un’affermazione gratuita del primo ministro, e non si trattasse invece di uno dei più vergognosi voltafaccia degli ultimi decenni. “Noi non avremo più un partenariato con l’Eni, e l’Italia non otterrà, per il futuro, nessuna partecipazione nei contratti petroliferi in Libia”, continua il premier. Con Francia e Stati Uniti, invece è possibilista, si dice pronto a negoziare contratti petroliferi, se rivedono le loro posizioni aggressive. L’imperialismo italiano è servito, e ben gli sta.

    Ma Francia e USA, che porteranno via il petrolio libico da sotto il naso al governo italiano, non sono gli alleati Nato, e Gheddafi il nemico? Le amicizie e le inimicizie, sotto il regno del capitale, si fanno e si sfasciano in un’ora. Può darsi che Gheddafi sia messo da parte, ma le forze che stanno dietro di lui potranno trovare un accordo con l’odiato nemico. Gli affari sono affari. Gli sfruttati, più che i libici, sono gli immigrati, due milioni prima dell’inizio della guerra, senza diritti e senza alcuna difesa, costretti a fuggire, e a volta massacrati perché demagoghi sponsorizzati dall’occidente li hanno additati come mercenari di Gheddafi, giocando sul loro colore della pelle.

    Prima di vedere i cambiamenti dell’atteggiamento di Francia, Gran Bretagna e USA, qualche considerazione sui nostri ministri. Chi aveva capito tutto fin dall’inizio era La Russa: “Roba da blog di fantascienza, da ragazzini che giocano a dare notizie inventate, quella di immaginare che aerei italiani possano essere impegnati a qualsiasi titolo in Libia, addirittura a fare dei raid... Evidentemente qualcuno non conosce quale sia l’etica del governo e delle Forze armate italiane”. (22/2/2011, citato di Limes 3-2011). Il ministro, del tutto involontariamente, è riuscito a dimostrare che l’etica del governo italiano consiste nell’attendere finché non si intravvede chi è il vincitore, per schierarsi dalla sua parte. E’ una vecchia tattica, perfezionata da casa Savoia, ma non esclude cantonate, soprattutto nel caso di ministri “lungimiranti” e fantascientifici come La Russa e Frattini. Su questi punti l’opposizione potrebbe attaccarli, ma a che pro, visto che è più atlantica e militarista di loro, e vota senza problemi il rifinanziamento delle spedizioni?

    Intanto, l’imprevista resistenza di Tripoli sta diventando troppo costosa, e la Francia comincia a operare con pressioni e diplomazia. Il 10 luglio, il ministro della difesa Gérad Longuet ha detto: “Adesso bisogna mettersi attorno a un tavolo. Si fermano i bombardamenti non appena i libici parlano fra loro, e i militari di tutti gli schieramenti rientrano nelle caserme.” (Le Monde, 12/7) Non c’è quindi una soluzione puramente militare. Posizioni del tutto diverse da quelle iniziali, quando si parlava di cacciare il rais in pochi giorni. Gheddafi potrà rimanere “in un’altra parte del suo palazzo, con un altro titolo”. Nonostante le successive smentite del governo francese, il figlio di Gheddafi Saif al-Islam ha confermato i contatti, e ha attribuito a Sarkozy queste dichiarazioni: “Abbiamo creato il consiglio (dei ribelli), e senza il nostro sostegno, il nostro denaro e le nostre armi, il consiglio non sarebbe mai esistito... La Francia ha detto: quando saremo giunti a un accordo con Tripoli, obbligheremo il Consiglio a cessare il fuoco” (Le Figaro11/7). Sarkozy è un mercante armato, il piazzista di Total e dell’industria aeronautica. Se avrà il petrolio e venderà gli aerei Rafale, perché continuare la guerra? Naturalmente la Clinton ha subito detto che condizione imprescindibile è l’allontanamento di Gheddafi, il che rende difficili le trattative. Ma pure gli USA hanno problemi di soldi, e quindi non è escluso che anche la militarista incallita sia costretta a più miti consigli.

    Da questo gioco è assente l’Italia. Berlusconi è troppo occupato a pensare ai suoi processi, a salvare ministri inquisiti, a difendersi dalle minacce della Lega, molto più insidiosa delle opposizioni di princisbecco. In parte la politica estera è stata portata avanti da Eni, Finmeccanica e Unicredit, che hanno stabilito contatti diretti con Bengasi, battendo sul tempo Frattini. Gli inviati dell’ENI hanno incontrato a New York l’ambasciatore libico alle Nazioni Unite, Abd al Raman Salgam, che aveva precocemente rotto con Gheddafi. (Limes, 3 -2011) Ma la supplenza di queste grandi imprese nei confronti di un governo incapace non può fare miracoli. Alla fine della partita l’imperialismo italiano avrà le briciole se vincerà il governo di Bengasi, nulla se Tripoli vincerà o comunque conserverà un forte peso nelle trattative finali.

    Le sconfitte dell’imperialismo di casa propria possono favorire i lavoratori, ma solo se questi si liberano della tutela delle mummie sindacali che firmano accordi con la “cara Emma”, e di una pseudo sinistra, e approfittano di ogni caduta della potenza padronale per rialzare la bandiera della lotta.


    16 luglio 2011

    Articoli utilizzati o consultati:

    Le Monde, « L'intervention de la France en Libye : 100 millions d'euros sur trois mois » (23/6 /2011). « La Libye, objectif politique devenu incertain pour l'Elysée » (12/7). « Paris dément négocier directement avec la Libye » (11/7).

    Le Figaro, « Lybie : Paris conditionne le départ des alliées au dialogue » (11/7/ 2011).

    Limes, « Controrivoluzioni in Corso » n. 3-2011.

    L’Unità, “Libia di Gheddafi all'Italia «Stop al nostro petrolio»”14/7/2011.

    Michele Basso

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