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Il diploma

Il diploma

(3 Ottobre 2012) Enzo Apicella
Diaz: la Cassazione deposita le motivazioni della sentenza che condanna 25 poliziotti tra cui Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine.

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(Verità e giustizia per Genova)

La lezione di Genova.

(22 Luglio 2011)

Genova 2011
APPELLO
per una mobilitazione autonoma del movimento rivoluzionario
AI SENZA SPONDA

10 anni fa, a Genova, provammo a volare alto.
Volevamo un’altra vita, un altro mondo.
Per questo invademmo la città, rompendo divieti e controlli,
seminando guardie e pompieri.
Per questo ci scontrammo con gli uomini armati dello stato.
Per questo hanno assassinato Carlo Giuliani.
Per questo ci hanno pestati, arrestati, inquisiti.

Pensavamo di farcela.
Non andò cosi’.
In molti, impauriti, si misero di traverso.
Tra repressione, divisioni e delazioni, prima ci usarono, poi ci seppellirono.
In molti, su Genova 2001, hanno fatto carriera,
conquistato scranni parlamentari, scritto libri, girato film.
Hanno fatto della nostra gioventu’ ribelle uno spettacolo, il loro spettacolo.
Noi a pagarne il prezzo, loro a rappresentarlo.

Oggi vorrebbero replicarlo.
Scippandoci anche il ricordo, delle idee, dei corpi, dei morti.
Con un altro spettacolo, quello della rimpatriata commemorativa.
Quello della politica, del mercato delle idee e dei finanziamenti.

La verità è che i morti sono loro, e non resusciteranno.
La crisi, come lo spirito e la speranza, è roba loro.
A noi spetta la rivoluzione!

Genova 2001-2011

Loro la crisi, voi la speranza
NOI LA RIVOLUZIONE!

Noi non dimentichiamo!
Non dimentichiamo l’assassinio del compagno Carlo Giuliani, come non dimentichiamo quanti l’hanno dimenticato, strumentalizzato o svenduto sull’altare di interessi politici ed elettorali.
Non dimentichiamo le contestazioni concertate, i tentativi di divisione del movimento prima della rivolta Genovese, le delazioni dopo.
Non dimentichiamo quanti si sono sistemati o arricchiti, tra poltrone europarlamentari ed incarichi istituzionali.
Non dimentichiamo chi ha delegato alla legge dello stato un’illusoria “giustizia”,
contribuendo ad affossare il movimento.
Non dimentichiamo tutti coloro che prima hanno utilizzato, poi diviso e strumentalizzato, infine svenduto e seppellito la rivolta di Genova 2001.
Da tutti costoro ci divide il solco profondo
tra opportunismo e combattimento,
tra mediazione e rivoluzione sociale.

C O M B A T

Cosi’ come per comprendere il senso profondo della sintesi dei vertici padronali bisogna risalire ai processi che li hanno determinati, anche per i “controvertici” di movimento vale la stessa regola.
E’ una sorta di “spettacolarizzazione” contrapposta e speculare quella che ha segnato nei vertici dei grandi l’annuncio della planetizzazione capitalista e nei “controvertici” la versione no-global dell’arcipelago alternativo ed antagonista.
Per molti versi, come ampiamente dimostrato in questi 10 anni che ci separano da Genova 2001, vertici e controvertici non erano l’avvio, bensi’ la fine della “eclatanza dichiarata” padronale e di movimento.
Vogliamo dire che, per molti versi, quelle giornate portarono allo scoperto l’inutilità di eventi che constatavano a posteriori movimenti reali spesso impercettibili quanto sotterranei, che trovano nel processo pluridecennale piu’ che nella precipitazione della scadenza il loro essere e la loro comprensione.
Vogliamo dire che da quelle giornate genovesi di 10 anni fa, piu’ che un’altra precipitazione commemorativa buona per ogni sorta di sciacallaggio politico, dobbiamo trarre la lezione dell’approfondimento, del superamento dello scadenzismo semplicistico, e del lavoro politico autonomo, costante e di prospettiva.
Questa lezione dobbiamo assimilarla fino in fondo, capendo cosa sul serio successe in quelle giornate, tra il “canto del cigno” di tanta sinistra di stato intrufolina, orfana del “piu’ grande partito comunista d’Europa” ed alla ricerca di una possibile base di massa elettorale, ed il “sipario strappato” nelle pratiche della contestazione concertata.
Questo i padroni del mondo l’hanno capito, rendendo sempre piu’ rarefatti i loro incontri in forma inversamente proporzionale al numero dei protagonisti, evitando cosi’ il ripetersi del corto circuito delle contestazioni di riflesso.
Ed infatti, in Aprile, nello spazio di una settimana, si sono susseguite tre importanti riunioni mondiali, per nulla infastidite da un movimento no-global ormai disperso tra abbandoni ed opportunismo.

• Tre vertici tranquilli in un mondo agitato

Tre vertici tranquilli, senza zone rosse, senza violazioni, piu’ o meno vere.
Il primo vertice, che si è svolto ad Hainan, ha messo a confronto le economie dei cosiddetti paesi emergenti, oggi vere potenze mondiali, dando vita al nuovo acronimo BRICS ( il vecchio BRIC+la S di Sudafrica ).
Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica si apprestano a consolidare la loro unione in una sorta di “contro-G8”, modello consesso alternativo alle grandi potenze che, fino alla crisi del 2008, avevano egemonizzato la scena mondiale.
Proprio nel 2001, mentre infuriava la battaglia di Genova, la Goldman Sachs coniava il termine BRIC, come a prefigurare un futuro di vertici allargati o, come succede oggi, alternativi.
D’altra parte, le cifre parlano chiaro.
Il F.M.I. ha calcolato che la crescita economica dei paesi emergenti ha superato il 7% nel 2010, e se 20 anni fa le nazioni del vecchio G7 producevano il 70% della ricchezza mondiale, ora sono scese al 50%.
Certo, il novello cartello di medie potenze non è ( ancora? ) un blocco unitario ed antagonista al G8, ma sotto la guida cinese, pur tra contrasti e ruvidezze ( posizione sulla guerra in Libia/dispute territoriali Sino-Indiane/concorrenza del Sudafrica con la penetrazione Cinese/contenzioso Russo-Cinese nel settore energetico ) potrebbe, in un decennio, diventarlo.
Sono li a dimostrarlo i 21 accordi firmati dagli imprenditori cinesi, tra cui la fornitura di aerei made in Brazil a compagnie cinesi.
Questo summit avviene in un mondo segnato dagli effetti di una crisi devastante e da una ripresa piu’ annunciata che reale, dove non è piu’ l’America la locomotiva del mondo, ma proprio i paesi del BRICS, “proprietari”di popoli, materie prime e prodotti alimentari.

Contemporaneamente, a Washington, si riunivano G20 ed F.M.I.
La presa d’atto di una ripresa ancora fragile, squilibrata ma comunque guidata proprio dal BRICS ha caratterizzato gli incontri primaverili del FMI e della BM, e dei vertici del G7 e del G20 di Washington.
L’impegno sulla riduzione-ristrutturazione del debito ha fatto il paio con il maggior coordinamento nel salvataggio dei paesi a rischio, come Grecia, Irlanda e Portogallo.
I “grandi” del mondo, ormai coscienti dell’allargamento della tavola e dell’aumento dei partecipanti al banchetto profittale mondiale, tentano di uscire dalla crisi riducendo e rallentando l’inevitabile processo di indebolimento relativo nel rapporto di forza con il BRICS.
Incontri e vertici che non hanno subito contestazioni, un mondo alla ricerca di un nuovo equilibrio spartitorio cui non si è contrapposto alcun altro “mondo possibile”.
All’icona no-global è rimasta solo la “speranza”.

• Sperare o lottare?

Le virtu’ teologali della “speranza” non appartengono al complesso delle nostre categorie di pensiero.
Esse delegano il futuro ad un possibilismo compassionevole che è l’opposto della dignità e dell’autonomia umana, e della lotta per la sua conquista.
La “speranza” è tipica degli oppressi senza coscienza, in balia di promesse millenaristiche, di attese messianiche, teocratiche, di illusioni e delusioni.
Sara’ per l’appartenenza religiosa dei suoi sponsor, “sperare” fa rima con catechizzare, evangelizzare, non certo con lottare, cambiare, trasformare.
La “speranza”, dicono i preti, è “l’ultima a morire”.
Di certo, muore dopo la morte di migliaia di sfruttati uccisi dal lavoro salariato, o di donne massacrate in famiglia, o di giovani assassinati dal piombo di stato, come è successo a Carlo Giuliani, a Genova, nel 2001.
A lui, la “speranza”, come la vita, è stata tolta da un poliziotto, perché, insieme a tanti, si era ribellato al suo destino segnato, aveva reagito, aveva combattuto.
Occorre ristabilire questa verità!
Quel movimento lottò, si scontrò duramente con gli uomini dello stato, superando pompieri e delatori.
Lo fece prima e dopo la morte di Carlo, cercando, senza trovarle, strade indipendenti dalla pletora di sciacalli e becchini che lo volevano morto, come nel tempo accadde.
E’ un filmaccio cui siamo abituati, basta pensare al recente 14 dicembre 2010, ed al suo rapido ed interessato seppellimento.
Genuini e sinceri moti popolari vengono prima “attraversati e strumentalizzati”, poi divisi, svenduti o trasformati in icone inoffensive buone per tutte le commemorazioni, come questa del decennale 2001-2011.
E’ un tentativo che noi abbiamo già combattuto 10 anni fa, e che combatteremo anche questa volta.

• Dalla critica della “contestazione concertata” a quella della “commemorazione istituzionale”

I riusciti e reiterati tentativi di divisione del movimento no-global tra “buoni e cattivi” ad opera trasversale di potere-stampa-opportunisti, il progressivo scioglimento ed extraparlamentarizzazione della sinistra di stato, l’integrazione del sindacato di stato, il ritorno all’ovile del “pastore tedesco” dei “papa-boys” figli del paci-movimentista Woytila, sono alla base della fine di quel movimento.
Un movimento comunque di “resistenza” al processo di internazionalizzazione capitalista, che ha tentato la strada del “capitalismo temperato”, delle “regole del mercato” condite nella salsa dell’”Europa sociale”, senza nemmeno provare ad intravvedere tra le pieghe di un processo storico inesorabile come quello della “globalizzazione”, la chance della convenienza proletaria, della trasformazione rivoluzionaria.

Un movimento che ha oggettivamente ( ma in alcuni casi anche soggettivamente! ) avuto una funzione socialimperialista, di sostegno al processo di unificazione europeo, visto come contraltare “umano” al “liberismo” americano.
Questa funzione spiega la partecipazione vaticana a quel movimento, ieri di massa ed istituzionale, oggi di nicchia del “dissenso cattolico”, e spiega anche l’assenza di un vero movimento contro la guerra in Libia evidentemente caratterizzata come guerra a comando europeo.
Noi, insieme ai compagni dell’anarchia, all’arcipelago delle sinistre comuniste, tentammo già 10 anni fa di opporci a “contaminazioni” pericolose, contestando la “concertazione della contestazione”, intraprendendo un percorso autonomo di critica alla costituente Europa imperialista e di azione diretta e separata dall’opportunismo.
Fu un tentativo riuscito solo in parte, che non impedi’ la deriva paraistituzionale del movimento, ma che ci portò ad alcune conclusioni teorico-pratiche che ancora oggi ci ispirano.
Le 2 lezioni di fondo che assimilammo da Genova 2001, e che riteniamo motore della nostra attuale pratica politica hanno a che fare con il rifiuto di qualsiasi “spettacolarizzazione scadenzista” dell’attività politica e con la costante rivendicazione di indipendenza rispetto a pratiche istituzionali, mediatorie e concertative.
2 lezioni oggi piu’ valide di ieri, di fronte alla attuale carsicità dei movimenti, incapaci di produrre alcuna opposizione di classe alla guerra imperialista ed alla crisi che non siano “attraversate” da “narrazioni” strumentali ed elettoralistiche.
E’quello che puntualmente sta succedendo con il 10° anniversario di Genova 2001, dove la chiesa cattolica, insieme alle istituzioni ed ai grilli parlanti della sinistra e del sindacato di stato tentano l’ennesimo recupero impadronendosi di ciò che non è loro: le nostre idee, le nostre lotte, i nostri morti.
Per molti di questi personaggi, Genova 2001 fu palestra per le loro aspirazioni personali, trampolino di lancio per cariche istituzionali e scranni parlamentari.
Molti di questi personaggi, che a Genova 2001 coniarono lo slogan “un altro mondo è possibile”, il loro “mondo possibile”, alla prova dei fatti, l’hanno trovato qui, in questo mondo, raccattando le briciole, e sistemandosi al meglio.
Ora, dopo aver collaborato prima alla repressione, poi all’affossamento del movimento, ci vogliono scippare anche il ricordo della lotta e della determinazione di strada di quei giorni, spegnendola con l’acqua santa della “speranza”.
Faremo di tutto perché ciò non accada, chiudendo un lungo conto con tutti costoro, e chiudendolo con i fatti, emarginandoli, e riproponendo per intero idee, potenzialità ed azione diretta del movimento rivoluzionario.
E’ un passo obbligato che non ha nulla a che vedere con “estremismi o separatismi” ma ha molto a che vedere con una nuova fase di vita e di lotta da aprire, adeguata ai tempi attuali, in cui le mediazioni si riducono ogni giorno di piu’.

Dal 2001 il mondo è cambiato, e non nel senso desiderato da noi.
Tra crisi, guerra e ripresa i grandi sono aumentati, i movimenti rifluiti.
Il nuovo secolo ci presenta una realtà in cui molto è diverso, cambiato.
Non è cambiata però, la natura di questa società divisa in classi,
come non è cambiata la necessità e la volontà di lottare per la loro abolizione.
In altre forme, con altri tempi, ma con la stessa determinazione di sempre.

COMBAT

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