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PD: il salumiere e la mazzetta

(29 Luglio 2011)

Cerchiamo di capire il PD a partire da un suo importante non detto. Che non riguarda il fatto che il partito è un pretesto per l’accumulazione privata, salvo rare eccezioni. Questo l’ha capito chiunque abbia uno sguardo sereno e clinico e un rapporto non episodico con l’informazione politica. Il vero non detto del PD è che si tratta di un partito, a differenza dei luoghi comuni sparsi dai media, culturalmente provinciale. Un partito in cui il potere reale, e persino l’organigramma di peso, non si distende minimanente in settori come sapere, arti visive e letterarie, tecnologie scientifiche e della comunicazione.

Nel PD contano tre tipi di figure: chi è amministratore locale a vario titolo (o proviene da quel mondo), gli esponenti dei gruppi parlamentari e i collettori di affari in grado di moltiplicare società, a qualsiasi livello, come scatole cinesi. In questo modo il funzionamento del PD è qualcosa che si capisce come il meccanismo di un accendino: collocare quanti più affari possibile per valorizzare la rete di amministratori e gruppi parlamentari e viceversa. A prescindere dalla società e persino dai cicli dell’economia. La collocazione degli affari, non avendo il PD alcuna cultura e quindi visione del futuro e del contesto sociale, è semplicemente adattiva. Il PD si adegua cioè al contesto sociale ed economico dato, passando da un’occasione di affari all’altra. Basti dire che da tempo la Lega Coop ha un rapporto proficuo con la Lega Nord. Non c’è niente di politico in questo o meglio, i riflessi politici sono solo successivi al contesto di affari che l’ha generato. La dimensione politica si adegua all’occasionalismo negli affari. E, secondo la visione del PD, dovrebbe anche fare il contesto sociale. Se non si comprende questo è difficile capire cosa stia succedendo al Pd, con le vicende Enac e Penati, e soprattutto non si capisce come quel partito sia semplicemente irriformabile. O, se si preferisce, il PD è un qualcosa destinato a rimanere un pretesto per l’accumulazione privata, da parte di cordate anche conflittuali tra loro composte delle figure che contano nel partito, fino a quando quest’equivoco tiene. E il processo adattivo, al peggio della società italiana, da parte del PD è incarnato nella figura del suo segretario. Laureatosi a suo tempo in filosofia oggi parla come la caricatura della nobile figura del salumiere di una Ipercoop emiliana e fa avanspettacolo con Crozza in tv.

Perché nel PD c’è l’idea, tipica di chi è rimasto ancora alla concezione che vuole la tv generalista al centro della società, dell’egemonia di una comunicazione politica ferma agli schemi berlusconiani della tv degli anni ’80. Ma con le vicende Enac e Penati, che coinvolgono due collaboratori stretti di Bersani e un socio di D’Alema, c’è poco da fare avanspettacolo. Fin da prima della sua costituzione, dall’epoca dei ds, il nucleo dirigente del PD, coinvolto nell’operazione di aggiottaggio e insider trading nell’affare Unipol-Bnl, emerge come una sommatoria di cordate che vive esclusivamente come rete instabile di procacciamento d’affari. A livello nazionale e locale: dalle grandi opere alla creazione di società di capitali intrecciate alle municipalizzate, alla aziendalizzazione di servizi pubblici del territorio. Un estremismo della contabilità, della proliferazione di società misto pubblico-privato, della centralità di cordate d’affari che crea un ceto politico PD inabile ad affrontare i nodi strutturali di questo paese. Infatti, non appena le borse mondiali hanno attaccato l’Italia, il PD altro non ha saputo fare che ripetere il mantra diffuso in automatico dal media mainstream: conti in ordine, liberalizzazioni, crescita fatta di privatizzazioni. Senza rendersi neanche conto che, per un partito nazionale, certi comportamenti non portano solo al suicidio di un paese ma anche di una classe politica, figuriamoci di un partito. Ma una classe dirigente di un partito formatasi secondo il principio di Peter, un potente nomina uno più stupido per controllarlo e così all’infinito, non può produrre di più. C’è solo da sperare che l’elettorato non abbocchi alla propaganda di Bersani, lanciata per scopo di pura sopravvivenza. Che parla di un futuro di bilanci certificati del PD, come lanciare la proposta dell’istitituzione di un giudice di pace in piena seconda guerra mondiale, di “macchina del fango” contro il partito democratico e altre parole in libertà.

La verità è che Penati, braccio destro di Bersani, è il Verdini del PD. E che questi due partiti occupano ancora oggi, pare incredibile, il centro della società italiana pur essendo inadatti, inutili e persino incapaci di provvedere a darsi un’immagine che non sia quella classica del partito che ha i parlamentari come collettori di mazzette.

28 luglio 2011

per Senza Soste, nique la police

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