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Sgonfiate il pallone

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(13 Febbraio 2011) Enzo Apicella
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    Erdogan doma i militari

    (5 Agosto 2011)

    Se le foto ufficiali sono lo specchio di quanto avviene nelle segrete stanze del potere la recente immagine diffusa dal governo Erdogan riassume la ferma risposta alla forzatura operata a fine settimana dal vertice militare turco. Fino a qualche mese fa nelle occasioni in cui incontrava i generali il premier si faceva immortalare col capo di Stato Maggiore al fianco, ora appare in splendida solitudine. Dando l’annuncio del nuovo responsabile delle Forze Armate, il geneale Ozel promosso dai vertici della Gendarmeria a quelli dello Stato Maggiore, Erdogan troneggiava sugli alti gradi presenti. Simbolo di come l’attuale Esecutivo voglia ribadire la supremazia della politica e del mondo civile su quello militare. Negli incontri d’inizio settimana avuti con lo staff di Ozel leader e ministri hanno ribadito la giustezza della linea intrapresa dalla Corte Suprema (Yas) sull’impossibilità di offrire avanzamenti di carriera ai graduati (14 generali, 58 colonnelli e oltre un centinaio di medi ufficiali) implicati nell’affare golpista del 2003. A difesa dei colleghi l’ormai ex capo Kıvrıkoğlu sosteneva l’attuale mancanza di condanne nei loro confronti. Le indagini però proseguono ed Erdogan, più determinato che mai nel riorganizzare i vertici militari del Paese, mostra di offrire maggiore attenzione e importanza alla struttura giuridica militare che ai militari in carriera.

    Certo c’è anche chi sostiene come il tentativo di complotto ordito contro il primo governo Erdogan, per il quale sono indagati i summenzionati militari e figure della società civile fra cui giornalisti e avvocati, sia nient’altro che il plot di un film. Un’opera di pura fantasia con cui il partito-regime dell’Akp e componenti alleate come il gruppo Fethullah Gulen hanno ordito una colossale montatura contro uno degli elementi più temibili per contrastare il programma para-islamico di Erdogan: l’Esercito difensore della laicità. Tutto è possibile. Ma altri analisti, parlando della Turchia contemporanea non dimenticano come fino al 1997 i colpi di Stato orditi dal kemalismo militare con gli inquietanti precedenti del 1980, 1971 e 1960 abbiano rappresentato una cruda real-politik di una nazione ritenuta democratica solo perché membro fondamentale della Nato e barriera orientale contro le possibili rivoluzioni comuniste. A trasformare una condizione rimasta a lungo bloccata hanno contribuito l’ampia industrializzazione e il boom economico dell’ultimo quindicennio, base di quel blocco sociale interclassista attuale forza del Partito Giustizia e Libertà. Così al di là della forza elettorale gli anni più recenti hanno restituito ai cittadini, anche a chi vota repubblicano, nazionalista e curdo, quel senso civile che allontana il fantasma della paura di dittatura imposta coi carri armati.

    Autorevoli voci dalla Turchia in questi giorni dicevano che nessuno ha temuto un ritorno ai tempi bui, gli stessi mercati finanziari non hanno subìto tensioni dalla crisi in atto. Un segnale che quella fiammata che le dimissioni dei capi militari pensavano di provocare si dimostra un fuoco di paglia.

    3 agosto 2011

    Enrico Campofreda

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