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La classe operaia va in fumo

La classe operaia va in fumo

(8 Settembre 2011) Enzo Apicella
L'articolo 8 della manovra economica permette i licenziamenti senza giusta causa

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Padroni, Bce e Berlusconi vogliono azzerare i diritti dei lavoratori

Una prima analisi dei punti relativi al mondo del lavoro

(18 Agosto 2011)

Con il decreto “anticrisi” proposto dal governo pochi giorni prima di Ferragosto ci vogliono far tornare indietro agli anni cinquanta. Ritorneremo sulla portata di questa manovra e sulla necessità di una risposta all’altezza dell’offensiva padronale da parte del movimento operaio, appena concluse le ferie estive. Nel frattempo pubblichiamo una prima analisi, riguardante l’attacco ai ditritti dei lavoratori.

Nel momento di massima rilassatezza dei lavoratori, e di massima spensieratezza, dovuta al periodo di ferie estive, ecco che i nostri governanti decidono di rinviare le proprie ferie, e di andare sul pesante sulle nostre schiene, già fortemente appesantite dall’accordo interconfederale del 28 giugno scorso, e dal relativo clima di unità nazionale che deriva dalla crisi economica nella quale versa l’Italia, come del resto un po tutto il sistema capitalista internazionale.

L’Europa del capitale, quella governata dalla BCE, ha imposto all’Italia una manovra economica volta a risanare il debito pubblico. La borghesia italiana ha risposto “presente!” e il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, si è fatto carico, assieme al suo governo, di tradurre in realtà queste richieste.
Il risultato è stato una vera e propria manovra di classe, dal netto carattere antioperaio.

Proprio dei capitoli specifici inerenti al mondo del lavoro dipendente andremo a disquisire in questo articolo.
Partiamo dal punto che riguarda lo spostamento delle Nostre festività. Premesso che le feste religiose non si toccano, ad eccezione del santo patrono, dato che c’è ancora un concordato tra lo Stato italiano e il Vaticano (i patti lateranensi di nota origine fascista), le restanti saranno fatte “slittare” o alla prima domenica utile, o di lunedì (per eliminare i “ponti”), le festività laiche che cadranno durante i giorni feriali. Si tratta ovviamente del 1 maggio (festa dei lavoratori, che come ben sappiamo, è ritenuto festivo in tutti i paesi democratici), del 25 aprile (anniversario della liberazione dal nazifascismo), e del 2 giugno (festa della Repubblica italiana).

Non serve uno scienziato per capire il senso di tale accanimento verso tali date. Non si tratta dell’ipotetico 0.1% di PIL prodotto in questi tre giorni, come paventa il ministro Tremonti, ma si tratta bensì di un atto politico contro i cosiddetti residui del pensiero novecentesco tanto odiati dal ministro Sacconi. Ed è chiaro anche il legame tra lo stato borghese italiano, e la chiesa, tutto alla faccia della laicità dello Stato.

Passiamo ora agli interventi fatti sul mercato del lavoro. In primis viene riconosciuta la retroattività dell’accordo interconfederale del 28 giugno, dando alla FIAT e Marchionne quello che volevano, ovvero il riconoscimento della validità “erga omnes” degli accordi di Pomigliano e Mirafiori, andando quindi ad influenzare pesantemente la causa in corso tra la FIOM e la FIAT, sulla validità stessa di tali accordi. A tal proposito, perde d’efficacia l’ipotesi prospettata dalla FIOM di intraprendere cause individuali contro l’applicazione degli accordi separati nei suddetti stabilimenti del Lingotto.

Inoltre, viene sancita definitivamente, e stavolta senza possibilità di negare l’innegabile, l’abbattimento del contratto colletivo nazionale di lavoro, e la derogabilità non solo dello stesso, ma anche alle disposizioni di legge.

Si potrà derogare su tutto quello che riguarda l’organizzazione del lavoro, quindi orari, mansioni, inquadramento professionale, contratti a termine, contratti a orario ridotto, il ricorso al lavoro somministrato, le modalità di assunzione.
Viene perciò riconosciuta la centralità degli accordi aziendali o territoriali, firmati a maggioranza come previsto dall’intesa interconfederale, e come se non bastasse, si prevede che le parti possano anche derogare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, tutto in nome della crescita occupazionale. Prevedendo, per esempio, che in caso di licenziamento senza giusta causa, invece del reintegro del lavoratore, si eroghi un indennizzo, come già avviene per le aziende con meno di 15 dipendenti, nelle quali non viene applicato l’art.18.

Ma ai più attenti non sarà sfuggita la contraddizione di termini. Se si vuole aumentare l’occupazione, perchè si richiede più libertà a licenziare? Una risposta potrebbe essere la seguente: quando non c’è lavoro, l’azienda chiede di licenziare d’intesa con i sindacati collaborativi, anche in massa, per poi assumere nuovo personale con meno diritti (ammesso che agli attuali lavoratori rimanga qualche ombra di diritto), dato che le intese aziendali serviranno anche per gestire le situazioni di crisi, e non solo di sviluppo dell’azienda. Inoltre, nonostante le buone promesse fatte da Sacconi, i padroni non perderanno l’occasione per mettere fuori dai propri cancelli i lavoratori più sindacalizzati e politicizzati, mascherando le cause dei loro licenziamenti, ed aggirando quindi l’articolo 18. Formalmente questo articolo rimane valido sulla carta, come l’intero Statuto dei lavoratori, ma il ministro dichiara anche che con questa manovra viene introdotto il “cuore dello statuto dei lavori”.

Viene anche stabilito che tutta la parte salariale, legata al salario flessibile, sarà tassata al 10%, lasciando inalterato il prelievo fiscale sul salario fisso. Questo è un altro segnale inequivocabile che il CCNL, ed i suoi aumenti salariali uguali per tutti, perdono di rilevanza in prospettiva.

Sembra quasi ridicolo che la CGIL si appelli all’accordo interconfederale per denunciare queste scelte del governo, dato che tale accordo è servito da apripista per tale intervento. E il segretario generale della FIOM, Maurizio Landini, fa bene a dire che la CGIL ora non può sottrarsi dalla responsabilità di aver siglato tale intesa.

Da questo attacco ai diritti dei lavoratori, e all’unità stessa della classe, si deduce che la borghesia italiana, sta approfittando della crisi economica internazionale per ristrutturare i rapporti di forza nel Belpaese. Fa bene Rinaldini a richiedere alla CGIL di rigettare l’accordo interconfederale del 28 giugno, e a richiedere a gran voce la convocazione dello sciopero generale in settembre. Anche Camusso pare stia prendendo in considerazione questa opzione: certo è che tutta la strategia che ha portato all’accordo del 28 giugno è andata in mille pezzi.

Dal nostro canto, ci opponiamo a questa “manovra” antioperaia, e lavoreremo con tutte le nostre forze, anche durante il prossimo congresso del PRC, per fronteggiare questa offensiva. E saremo parte attiva nell’incontro del 1 ottobre a Roma promosso nell’appello “dobbiamo fermarli”, nell’intento di rilanciare l’oppisizione di classe anche in Italia.

16 agosto 2011

Fabrizio Ferri

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