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(23 Agosto 2011)
Ora che la caduta di Mu’ammar Gheddafi, rivoluzionario finito tiranno, ha iniziato l’ultimissimo conto alla rovescia, ora che le notizie s’inseguono a predirne fuga o caduta armi in pugno e la Cia, tanto per non demordere in demonizzazione, gli prevede un’ultima resistenza e una fine alla maniera del Fürher, accanto alle incertezze sul futuro libico si può meditare sul nemico peggiore dello statista-dittatore. Non i ribelli spontanei o diretti e finanziati dai colonialisti di ritorno alla Sarkozy e Cameron, o l’intero Occidente voglioso di petrolio a prezzi stracciati ma solo per le Sorelle dell’estrazione. Non i Warfalla e le tribù un tempo alleate divenute nemiche. Non i capi di etnie rimasti a lungo in sourplace per vedere se stare con l’esercito lealista o coi raffazzonati gruppi di volontari ribelli che nessun “consigliere” Nato riusciva a organizzare militarmente. Né l’apostata dell’ultim’ora, ospite degli interventisti Frattini e La Russa, quel Salem Jallud, in altre epoche vice di Gheddafi, da lui stesso accantonato un ventennio or sono, e rimasto comunque a vivere in Libia. Nei sei mesi di scontri armati - una guerra civile tutto sommato piccola perché di minoranza, ma in ogni caso quotidiana - la maggioranza dei libici è sembrata non essere né pro né contro Gheddafi. Restava a guardare gli eventi, con gli impegnati nella sfera economica e tecnica a fiutare l’aria per compiere quei passi che solo in queste ore stanno palesando.
La maledizione e il vero nemico che Gheddafi s’è trovato contro, incarnato da giovani uomini che della sua megalomania, del narcisismo, del clanismo familiare non volevano più saperne, sono stati i quarantadue anni di potere. Quarantadue anni sono un’enormità. Raccolgono due generazioni, lì dove si filia presto anche tre, e pensare di governare padri e figli, ritenersi un insostituibile faro di una nazione, autoproclamandosi tale decennio dopo decennio, è tutt’uno con quel patologico distacco dalla realtà tipico delle dittature d’ogni epoca. Non si vuole generalizzare e non è bene estrapolare uomini e fatti da luoghi e contesti, eppure l’ufficiale che portava il Corano e la Rivoluzione Verde che si ricollegava al Terzomondismo, che incarnava lo schiaffo anticoloniale e antimperialista all’Occidente di parte del Maghreb era tramontato da tempo assieme allo pseudo socialismo della sua Jamahiriyya. Tant’è che dopo averlo odiato, messo all’indice e all’embargo, bombardato (le bombe reganiane), dopo averne cercato la morte fisica e politica lo si è riavvicinato cancellandone il marchio d’infamia di mente del terrorismo mondiale. I leader d’Europa l’osannavano e carezzavano. Gli baciavano le mani come a un padrino. Oltreoceano si valutavano rassicuranti le svolte pro domo sua (non di tutti i cittadini) del leader libico.
Piacevano la metamorfosi da raìs e quel contorno di sodali che millantando interessi comuni attraverso “Comitati popolari” curavano quelli di casta. Piaceva il Circo Barnum di tende e amazzoni body-gard. E’ lì che Gheddafi s’è auto-imprigionato, scrivendo il suo epicedio politico ben prima che nel bunker di Bab al-Aziziyah.
23 agosto 2011
Enrico Campofreda
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