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Licenziamenti e straordinario alla Belvest di Piazzola sul Brenta (Padova)

(28 Febbraio 2004)

Un accordo “dignitoso”

E' di fine dicembre 2003 l'accordo alla Belvest di Piazzola sul Brenta che decreta lo stato di crisi e prevede il licenziamento di 55 operai.
Un accordo che i vertici confederali dei tessili in un comunicato ufficiale definirono "dignitoso" senza però riuscire a spiegare che ci sia di dignitoso in 55 lavoratori mandati a casa. E soprattutto che cosa ci sia di dignitoso nel dare mano libera all'azienda sui criteri di licenziamento, che nell'accordo non vengono chiaramente definiti.
Per questo abbiamo cercato di capire meglio in che contesto si è firmato questo accordo e che cosa sta succedendo oggi alla Belvest, che è una delle più importanti realtà produttive della provincia di Padova

Nel 1999 infatti la Belvest era la seconda azienda privata della provincia per numero di dipendenti (460 di cui 400 operai) e per quanto riguarda il fatturato (quasi 65 miliardi) era tra le prime 40 aziende.
Si tratta di una fabbrica vera e propria in cui la produzione avviene in linea di montaggio, che ha all'interno una decina di reparti diversi, che lavora per grandi firme della moda (ad es. Prada), che ha aperto l'anno scorso a Milano uno "show room" di 200 mq, che promuove in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova un corso per formare figure professionali per il settore moda, che organizza stage in azienda per formare i futuri lavoratori del tessile.
Una fabbrica che sfornava l'anno scorso 400 capi al giorno e che oggi, nonostante la crisi ne sforna comunque 300.

Fino al 2001 il lavoro veniva dato anche a contoterzisti esterni, poi l'anno scorso a primavera si è verificata una riduzione delle commesse, la crisi e la cassa integrazione. Una situazione comunque non priva di contraddizioni: qualche operaio ricorda che a ridosso della crisi e della richiesta cassa integrazione avveniva anche che l'azienda assumesse in contratto di formazione lavoro.
Un'esperienza, quella della cassa integrazione, che ha permesso allora e permetterebbe anche oggi di dare la possibilità di rientro ai lavoratori, ma che l'azienda non vuole ripetere. I lavoratori dicono che la motivazione ufficiale della direzione è che: "la cassa integrazione costa troppo".
Ed è così che l'accordo "dignitoso" del dicembre scorso non prevede cassa integrazione, ma solo licenziamenti, 55 come si è detto. Nel frattempo l'azienda grazie gode di sgravi fiscali e di dilazioni nel pagamento dei contributi per tutto il periodo previsto dallo stato di crisi.

Ma è vera crisi?

La domanda è legittima dal momento che frattempo si lavora in orario ma anche fuori orario.
I lavoratori non sanno esattamente a che titolo e in che modo la direzione aziendale riesca a giustificare gli straordinari durante lo stato di crisi. Fatto sta che gli straordinari si fanno sia come prolungamento del normale orario di lavoro, sia anche il sabato.
Parlando con i lavoratori si viene a sapere che ogni sabato dall'inizio dell'anno circa 50 di dipendenti effettuano lavoro straordinario, ore che, si dice, vengono contabilizzate come "formazione".
Questo succede anche approfittando del fatto che di sabato è aperto il negozio interno e quindi il via vai di operai si confonde tra quello dei clienti.

Nel frattempo dei 55 licenziamenti previsti 3 soltanto sono i lavoratori che fino ad oggi sono stati "posti in mobilità", come si dice in sindacalese moderno.
Gli altri lavorano senza sapere per quanto lo potranno fare ancora. Come si diceva sopra i criteri dei licenziamenti non sono stati definiti chiaramente nell'accordo e tutto quello che si può sapere del proprio futuro lo si può solo intuire dalle promesse o dalle minacce di un capo che a seconda dell'umore può dirti che il tuo nome nella lista non c'è oppure l'esatto contrario.

L'opinione di alcuni lavoratori è che sia in atto una stretta organizzativa da parte della direzione aziendale mirata ad aumentare ritmi e produttività, sia attraverso il ricatto quotidiano, sia attraverso il licenziamento delle figure professionali "sostituibili". Non a caso i tre licenziati fino ad oggi non erano i tre lavoratori più vicini alla pensione, ma i tre più "sostituibili".

E il sindacato?

Il commento dei lavoratori è lapidario: "perché, esiste il sindacato in Belvest?"

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