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(15 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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Piccola storia del diritto di sciopero

dalla promulgazione della Costituzione (1948) all’entrata in vigore della Legge n. 146 (1990)

(28 Febbraio 2004)

Dividiamo questa breve nota sul diritto di sciopero in due parti: la prima riguarda il periodo che va dalla promulgazione della Costituzione (1948) all’entrata in vigore della Legge n. 146 del 1990 (regolamentazione del diritto di sciopero per gli addetti ai servizi pubblici o di pubblica utilità); la seconda che va da tale legge ai giorni nostri.

Mentre il codice penale fascista inseriva lo sciopero fra i reati, al pari della serrata, e come tale lo puniva, la Costituzione della Repubblica ne fa un diritto (art. 40): “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. La serrata rimane un reato. Poiché il Parlamento non varò la prevista legge, per 43 anni l’esercizio di questo diritto venne regolato dalla Corte costituzionale e sulla base di varie sentenze della Magistratura.

Ricordiamo che lo “Statuto dei Lavoratori” (Legge 20 maggio 1970, n. 300) ha accettato questo dato di fatto, demandando al giudice di definire e punire eventuali comportamenti scorretti nell’esercizio di questo diritto.

Dichiarando lo sciopero un diritto, l’ordinamento italiano ne ha riconosciuto la legittimità contro la vecchia obiezione secondo la quale essendo lo sciopero un’interruzione del lavoro, si configurerebbe come un’inadempienza agli obblighi sottoscritti dal lavoratore o dai suoi rappresentanti col contratto di lavoro.

Titolari del diritto di sciopero sono i lavoratori dipendenti, privati e pubblici. L’astensione dal lavoro dei lavoratori autonomi ha dato origine a interpretazioni contrastanti: alcune sentenze giudicano lo sciopero un diritto esclusivamente collegato al rapporto di lavoro subordinato, altre sentenze giudicano che la sospensione della prestazione lavorativa per la tutela dei propri interessi sia un diritto anche di quei lavoratori che hanno una situazione contrattuale spesso individualizzata, ma comunque di rapporto subordinato, quali prestatori d’opera associati in cooperativa, agenti di commercio, assicuratori, ecc. Ovviamente non può considerarsi sciopero l’astensione del lavoro dei liberi professionisti.

Particolari problemi ha creato in passato e crea anche oggi la posizione dei pubblici dipendenti e dei dipendenti di enti o aziende che gestiscono servizi di pubblica utilità. Per 43 anni, in assenza di una legge in merito, la giurisprudenza ha oscillato tra l’applicazione dell’articolo 330 del codice penale che originariamente considerava l’astensione dal lavoro da parte di questa categoria di lavoratori un reato punibile con la reclusione fi no a due anni, aumentabile per “i capi e i promotori” da due a cinque anni, e un’interpretazione che ammette, anche per questi lavoratori l’esercizio del diritto di sciopero limitatamente all’aspetto economico, purché tale esercizio “non comprometta funzioni e servizi pubblici essenziali, aventi carattere di preminente interesse generale”. Ed è quest’ultima l’interpretazione prevalente.
Queste, in estrema sintesi, le questioni generali che stanno alla base della definizione del diritto di sciopero.
Una volta fissato cos’è il diritto di sciopero, si apre tutta una serie di problemi sul come esercitare, nella pratica tale diritto.

Ferma restando la legittimità dello sciopero economico (intendendo il termine esteso anche agli aspetti normativi del rapporto di lavoro), come si pone la legge nei confronti di altri tipi di sciopero, quali, ad esempio, lo sciopero politico, o di solidarietà? Chi ha facoltà di proclamare lo sciopero? La legge ammette lo sciopero spontaneo? E, infine, quali limiti ha l’esercizio del diritto di sciopero?

Lo sciopero politico venne dichiarato legittimo a condizione che non sia diretto a sovvertire l’ordinamento dello Stato o a ostacolare l’esercizio dei poteri legittimi.

Per quanto riguarda lo sciopero di solidarietà si intende ammesso soltanto se vi affinità con le rivendicazioni di altri lavoratori già in sciopero.
Resta problematico definire cosa si intenda per “affinità”, visto che i soggetti eventualmente interessati o coinvolti in questo tipo di sciopero sono in genere ugualmente lavoratori dipendenti.

In assenza di una regolamentazione legislativa, la proclamazione dello sciopero può essere deliberata dal sindacato, ma anche da una assemblea di lavoratori, da un comitato di lavoratori e non necessita di comunicazione preventiva al datore di lavoro, salvo il caso che la sospensione del lavoro possa provocare danni alle persone e agli impianti. Un caso particolare riguardava i controllori di volo, obbligati al preavviso anche prima della regolamentazione attualmente in vigore.
Lo sciopero spontaneo non è, quindi, di per sé perseguibile.

Più complessa era, ed è, la definizione della liceità o meno di alcune forme di astensione dal lavoro.

Mentre è generalmente riconosciuta la legittimità dello sciopero articolato, cioè dell’astensione dal lavoro per un tempo inferiore ad una giornata di lavoro o scaglionata in una settimana e limitatamente ai lavoratori del settore privato, la giurisprudenza si è pronunciata in maniera differente per quanto riguarda lo sciopero “a scacchiera”, cioè la sospensione del lavoro, generalmente di breve durata, che consiste nel fermare il lavoro in un solo reparto, mentre negli altri il lavoro prosegue, fermata che, specialmente per quanto accadeva nel lavoro “a catena”, poteva causare lo stop a tutta la produzione o ad un settore importante di essa.

Analogamente viene considerato lo sciopero “a singhiozzo”, attuato con brevissime frequenti fermate.

Il prevalente orientamento giurisprudenziale ammette la possibilità per l’impresa di sospendere in questi casi il lavoro (e la retribuzione degli operai) in quei reparti in cui non è in corso lo sciopero e che sono impediti nel loro funzionamento.

Infine, per quanto concerne il picchettaggio, usualmente attuato nella maggior parte degli scioperi, esso viene generalmente considerato una forma tipica dell’esercizio del diritto di sciopero, e quindi un atto legittimo, a con dizione che esso sia limitato a una pacifica dimostrazione per convince re altri lavoratori a non lavorare e non trascenda in atti di violenza.

Durante il periodo di sciopero il lavoratore non ha diritto alla retribuzione. Il datore di lavoro può quindi ridurre proporzionalmente, in ragione delle giornate non lavorate, anche le mensilità aggiuntive (tredicesima, ecc.) E’ questo, però, un punto sul quale molti giudici sono in disaccordo.

Lo Statuto dei lavoratori

La Legge 20 maggio 1970, n. 300, nota come Statuto dei lavoratori, non è particolarmente indirizzata verso la tutela e la disciplina del diritto di sciopero. Tuttavia, nel quadro della definizione dei diritti propri del lavoratore sul luogo di lavoro e nel rapporto di lavoro, la legge prevede (art. 28) sanzione per il datore di lavoro che ostacoli l’esercizio di sciopero o metta in atto rappresaglie contro chi abbia legittimamente esercitato tale diritto.

Va ricordato che, con Decreto Legge n. 165 del 2001 quanto sancito dallo Statuto del Lavoratori è stato esteso ai dipendenti pubblici.

La legge n. 146 del 1990

Soltanto nel 1990 il Parlamento ha approvato la legge di regolamentazione della sciopero nei servizi pubblici definiti essenziali, modificandola successivamente con la legge n. 83 del 2000. Secondo la legge, per servizi essenziali devono intendersi quelli erogati da enti, istituzioni, imprese private abilitate a gestire un pubblico servizio in alcuni settori, tra i quali: sanità, igiene pubblica, protezione civile, raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, approvi giovamento energetico e di beni di prima necessità, amministrazione della giustizia, trasporti urbani ed extraurbani, autotranviari, ferroviari, aerei e marittimi, istruzione pubblica, poste, telecomunicazioni, informazione radio televisiva pubblica.

E’ fatto obbligo ai dipendenti degli istituti, enti o imprese che erogano tali servizi dare preavviso, almeno dieci giorni prima della data prescelta, agli uffici dirigenti delle aziende interessate della propria determinazione di scendere in sciopero, assicurando la presenza di un minimo di presenze al lavoro onde non interrompere la fornitura di un servizio indispensabile.

Inoltre, la legge impone vi siano intervalli tra uno sciopero e il successivo al fine di evitare che scioperi proclamati da sindacati diversi compromettano la continuità del servizio pubblico essenziali.

Con l’evidente intento di ridurre il ricorso allo sciopero, la legge prevede l’obbligo di inserire nei contratti collettivi procedure di conciliazione obbligatorie prima della proclamazione dello sciopero, alle quali possono sostituirsi l’intervento del Ministero del lavoro, delle Prefetture, delle amministrazioni comunali, se la vertenza in atto abbia carattere nazionale, provinciale o comunale.

Se, a giudizio del Ministero o della autorità prefettizia vi sia il pericolo che lo sciopero in uno dei servizi pubblici sopra elencati rechi grave ostacolo al diritto dei cittadini di fruire di tali servizi, il Prefetto può “precettare” la sospensione dello sciopero e la ripresa del lavoro.

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