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La protesta studentesca in Cile: calm like a bomb!

(31 Agosto 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.caunapoli.org

La protesta studentesca in Cile: calm like a bomb!

foto: www.caunapoli.org

Gli studenti cileni da mesi e mesi, ormai, stanno protestando contro il proprio sistema universitario estremamente elitario e classista. Quasi ogni giorno si sono succeduti cortei, azioni, manifestazioni pacifiche, scioperi della fame a cui hanno preso parte migliaia di persone, raggiungendo il culmine della partecipazione nelle giornate del 30 giugno e del 15 luglio quando circa 200mila persone hanno invaso le strade di Santiago.

Il motivo di tanta rabbia è il sistema neo-liberista in cui sono costretti a vivere; uno Stato che 22 anni fa è ufficialmente uscito da una dittatura, ma che vive ancora sotto le regole varate da Pinochet: non solo il sistema formativo è lo stesso dei tempi del dittatore salito al potere con il golpe, ma l’intera costituzione è la stessa di quei tempi bui.

Gli studenti cileni, supportati da larga parte della popolazione, da studenti delle scuole superiori e da professori, presidi e rettori, reclamano un futuro dignitoso, un futuro senza debiti e il rispetto del diritto universale all’istruzione.

Nel piccolo paese andino avanguardia delle politiche monetariste di Friedman e dei Chicago boys – politiche poi adottate in tutti i paesi capitalisti – quelle statali costituiscono solo il 10% delle entrate universitarie e lo Stato destina solo lo 0,3% del PIB (il nostro PIL) all’istruzione; l’80% dei finanziamenti viene dalle contribuzioni studentesche, cioè dalle tasse che sono, per questo motivo, molto alte.

La maggior parte degli studenti, per poter studiare, è costretta a chiedere prestiti da restituire dopo il percorso di studi, un sistema che la riforma Gelmini sta cercando di introdurre in Italia con il prestito d’onore. E qui sorge un altro problema. A fronte di decine di migliaia di euro di debiti contratti per pagare l’università, basta considerare il dato che in Cile lo stipendio minimo è di poche centinaia di euro per capire la situazione disastrosa in cui vengono inevitabilmente a trovarsi gli studenti meno abbienti.

Più fondi all’istruzione, fine della selezione di classe e una seria riforma costituzionale: sono queste le richieste degli studenti cileni. Una storia sentita varie volte quest’autunno un po’ dappertutto nel mondo. Ed è la strada da seguire: non basta limitarsi a rivendicare scuole ed università a gestione interamente statale, poiché questa gestione non presuppone necessariamente una effettiva rispondenza alle esigenze sociali.

Lo Stato, d’altronde, non ha fatto attendere la sua risposta: cariche, manganellate, fermi e veri e propri rastrellamenti in strada di studenti e di chi solidarizza con loro. Una brutalità inaudita e continuata fino ad arrivare all’assassinio di un 14enne, Manuel Gutiérrez, il 26 agosto, ucciso da un colpo di arma da fuoco al torace. E anche questa, purtroppo, è una storia già sentita. Manuel come Alexis, come Carlo, come Ian Thomlinson e tanti altri manifestanti giovani e meno giovani, uccisi dalla violenza della polizia e delle forze del dis-ordine semplicemente perché reclamavano un loro diritto, una vita migliore, lontana dalle politiche neoliberiste che colpiscono le classi subalterne.

Ed è di due giorni fa la notizia che il governo vuole trattare con i manifestanti. E anche qui, la storia è conosciuta: c’è chi vuole svendere le lotte e la rabbia di migliaia e migliaia di persone per una qualche piccola riforma e cambiamento, come il CONFECH (il sindacato studentesco cileno) e chi invece, memore dell’insuccesso delle trattative col governo nel 2006, vuole continuare con i cortei, le manifestazioni e le azioni per avere un cambiamento radicale, o almeno provare ad averlo. Perché nessuno deve accontentarsi delle briciole: dobbiamo prenderci tutto.

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