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Emergency. Gli italiani hanno confessato.

Emergency. Gli italiani hanno confessato

(12 Aprile 2010) Enzo Apicella
Il governo fantoccio dell'Afghanistan dichiara che i collaboratori di Emergency "hanno confessato". Il ministro Frattini prega che non sia vero "perché sarebbe una vergogna per Italia"

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Afghanistan. Ucciso Rabbani. Non era un uomo di pace...

(22 Settembre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Afghanistan. Ucciso Rabbani. Non era un uomo di pace...

foto: www.radiocittaperta.it

Alberto Negri - Il Sole 24 Ore

È stato ucciso, a quanto pare, da una bomba nascosta sotto un turbante mentre incontrava i talebani: così è finito ieri a Kabul Burhanuddin Rabbani, anche lui tagiko come l'ex comandante Shah Massud, il Leone del Panshir che il 9 settembre 2001, fu fatto fuori con un ordigno occultato in una telecamera da due falsi giornalisti. Dieci anni e dieci giorni dopo è toccato a Rabbani.
Come se la maledizione afghana che da 30 anni divora i suoi figli, dai più illustri ai meno nobili, non conoscesse tregua.
Oscurato dai "signori della guerra", Rabbani, 71 anni, non aveva la fama o il carisma di Massud, che era stato suo ministro della Difesa quando era diventato presidente nel 1992, ma rappresentava comunque un lungo pezzo della storia afghana.
Forte degli studi coranici all'Università del Cairo di Al Azhar, era stato il maulana Rabbani a fondare il movimento anticomunista della Jamiat Islami (La società islamica).
Tra i suoi allievi o simpatizzanti c'era anche Gulbuddin Hekmatyar, che poi si separò fondando un suo partito, e lo stesso Massud. Dall'esilio di Peshawar in Pakistan aveva poi guidato la lotta contro l'Armata rossa e il regime filo-moscovita di Najibullah: dopo il ritiro dei russi nell'89 i mujaheddin, nel giugno '92, lo avevano eletto presidente, esautorando brutalmente gli esponenti laici e più ragionevoli della guerriglia.
Non era un moderato: il suo obiettivo era creare uno stato basato sulla stretta osservanza della sharia, la legge coranica. Non ci riuscì semplicemente perché le lotte tra le fazioni esplosero in un conflitto sanguinoso mettendo uno contro l'altro i vari signori della guerra e soprattutto Massud contro il pashtun Hekmatyar, allora alleato con l'uzbeko Dostum. A quell'epoca fu cooptato nel Governo di Rabbani anche un giovane Hamid Karzai, nominato vice ministro degli Esteri. Furono i talebani del Mullah Omar, che lo cacciarono da Kabul nel '96, a realizzare l'Emirato islamico: ma lui, riconosciuto dall'Onu, continuò per anni a rivendicare la presidenza, inondando di conferenze stampa le agende dei mass media. E anche dopo l'insediamento di Karzai ci vollero un paio di mesi per convincerlo a lasciare il compound presidenziale.
Da qualche tempo Rabbani, nonostante fosse all'opposizione, era stato nominato presidente dell'Alto consiglio per la pace per stabilire contatti con i talebani. La sua eliminazione è un'altra risposta eclatante alle proposte di tregua del Governo da parte dei seguaci del Mullah Omar e di Jalaluddin Haqqani, il capo del gruppo di fuoco oggi forse più temibile che tiene sotto scacco Kabul con attentati a raffica.
Il presidente Hamid Karzai è rientrato da New York, dove si trovava per l'assemblea plenaria dell'Onu, rilasciando dichiarazioni contrite per l'uccisione di Rabbani. «È stato un leader che cercato di dare unità e indipendenza al Paese. La sua morte è il segnale di una grande cospirazione ai danni dell'Afghanistan». Ma dobbiamo essere chiari: i due giocavano la stessa partita detestandosi, come la maggior parte dei leader afghani, che siano capi politici o signori della guerra.
Rabbani, nella sua ultima intervista con Il Sole 24 ore nel novembre 2009, realizzata nella stessa casa vicino all'ambasciata americana dove ieri è stato ucciso, era stato esplicito: «Karzai è stato eletto con i brogli, lui crea soltanto problemi». Figuriamoci quanto Rabbani potesse andare d'accordo con un presidente che era stato a 35 anni un suo modesto vice ministro e poi gli aveva strappato la poltrona: per di più Karzai appartiene all'etnia dei pashtun, il gruppo maggioritario che ha sempre visto nei tagiki, dopo gli stranieri, il peggiore dei nemici. Ma le parole di cordoglio di Karzai sono più o meno le stesse che aveva pronunciato Rabbani tre mesi fa fa quando i talebani avevano fatto fuori a Kandahar Ahmed Wali, il potente fratello del presidente, un duro colpo che lo aveva ulteriormente indebolito. In questo Afghanistan fiaccato dalla guerriglia e lacerato da contrasti insanabili ogni giorno i nemici della pace sanno come e dove colpire.

Rabbani non era un uomo di pace, non era un eroe, non è un martire.

Burhannudin Rabbani era uno dei peggiori criminali che la storia afghana ricordi. Ha cominciato la sua lunga carriera criminale negli anni Ottanta gettando vetriolo in faccia alle studentesse dell’Università di Kabul, insieme al suo “compagno di merenda” Massoud.
Ha commesso genocidi, ha fatto uccidere, stuprare, torturare, bombardare migliaia di civili afghani. Ha distrutto la città di Kabul nella guerra fazionale tra il 1992 e il 1996. Ha continuato, anche in tempi recenti, a guidare la formazione più oscurantista nello scenario politico afghano. Ancora recentemente le sue milizie sono state accusate di rapimenti, stupri e uccisioni di bambine. Nel 2010 il governo di Karzai ha concesso un’amnistia in modo che criminali come lui non potessero mai essere giudicati da un regolare Tribunale Internazionale.
Quando dieci anni fa le truppe USA-NATO hanno occupato il paese, gli afghani avevano grandi aspettative: al primo posto chiedevano giustizia. Chiedevano che i signori della guerra come Rabbani venissero spediti davanti a un Tribunale a rispondere di un trentennio di crimini inenarrabili. Ma tutto quello che hanno avuto è la loro legittimazione agli occhi della comunità internazionale.
Ora c’è solo rammarico: nei siti afghani si dice che Rabbani è stato ucciso con le sue stesse armi; che la giustizia doveva arrivare con un Tribunale Internazionale e non per mano di altri assassini come lui. Di fronte all’uccisione di un criminale certamente ci si può – anzi ci si deve! – rammaricare di non essere riusciti a processarlo come avrebbe meritato.
Ma la reazione dei media italiani, anche quelli di sinistra, è semplicemente raccapricciante, nella loro neutralità e acquiescenza. Tacere sui crimini compiuti da Rabbani è esserne complici, è non voler vedere la fame di giustizia degli afghani. Continuare sulla strada intrapresa dalle forze USA-NATO, cioè legittimare e lasciare al governo criminali come Rabbani, renderà sempre più intollerabile l’occupazione militare in Afghanistan.

CISDA (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane onlus)

Radio Città Aperta - Roma

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