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Detroit bankrupt city

Detroit bankrupt city

(19 Luglio 2013) Enzo Apicella
Detroit è fallita, rischio di migliaia di licenziamenti e di tagli alle pensioni municipali

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Anche noi vogliamo pagare…

(27 Settembre 2011)

Ha cominciato uno degli uomini più ricchi del mondo, il nordamericano Warren Buffet, proprietario e azionista di società, fondi sovrani, società di rating come Moody’s. Facendo notare che la sua segretaria pagava il 36% di tasse rispetto a lui che paga il 17,4% , ha sostenuto che, in questo momento di crisi, anche i super-ricchi come lui dovrebbero pagare tasse più alte. Il ricchissimo Buffet riconosce che “esiste una guerra di classe, certo, ma è la mia classe, la classe dei ricchi che sta facendo questa guerra e la stiamo vincendo”. Chiaro come sono di solito i capitalisti - a differenza dei politici - Buffet ha anche sfatato il mito che le tasse facciano paura ai ricchi: “Lavoro nel campo degli investimenti da 60 anni e non ho mai visto – neppure quando i tassi di profitto del capitale erano del 39,9% nel 1976/77 – che qualcuno smettesse di investire per l’aumento delle tasse sui suoi futuri profitti –ha detto – La gente investe per fare danaro e le eventuali tasse non l’hanno mai spaventata”.

Obama – il presidente delle promesse perdute, dalla chiusura di Guantànamo alla riforma della sanità pubblica, al disimpegno dai vari teatri di guerra - ha subito raccolto il suo invito, annunciando che presenterà, nell’ambito del piano di riduzione de deficit degli Stati Uniti, un progetto di tassazione in base al quale i milionari pagheranno quanto le classi medie ma già i repubblicani hanno fatto sapere, seguendo il copione già applicato nel caso della riforma della sanità e dei tagli per la riduzione del debito, che vi si opporranno .

Un gruppo di 13 multimilionari francesi non ha voluto essere da meno: dalla padrone de L’Oreal Liliane Bettencourt (coinvolta tra l’altro nello scandalo dei finanziamenti occulti a Sarkozy), a Frédéric Oudéa della Banca Société Générale, da Christophe de Margerie della Total al presidente della Air France.
Questi benefattori hanno affermato di voler contribuire allo “sforzo nazionale” (così il guerrafondaio presidente francese chiama il proprio programma di austerity) per ridurre il deficit di bilancio della Francia. In un appello chiedono anch’essi di pagare più tasse.
Pare che anche un gruppo di banchieri tedeschi voglia seguire il loro esempio.
Intendiamoci, i super-ricchi francesi hanno subito chiarito qual è l’entità dello “sforzo” che generosamente vogliono fare: il contributo dovrà essere “calcolato in proporzioni ragionevoli al fine di evitare effetti economici indesiderabili, come la fuga di capitali all’estero o l’aumento dell’evasione fiscale”, cioè un’imposta eccezionale tra l’1 e il 2%.
Considerando che – secondo la rivista Challenge – il capitale dei 500 più grandi patrimoni francesi è aumentato, nel 2010, del 25% circa (47.000 milioni di euro in un solo anno), lo sforzo è davvero un po’ pochino.

Un’epidemia di generosità attraversa il mondo dei capitalisti? Non proprio. Più attenti dei tirchi padroni italiani e spagnoli che hanno subito chiarito che loro non pagheranno un euro in più, gli altri hanno semplicemente sentito squillare alcuni preoccupanti campanelli d’allarme.

Due anni di crisi mondiale, trent’anni di neoliberismo e l’economia mondiale continua in caduta libera. Il riscatto dei profitti capitalisti è stato la priorità di tutti i governi del mondo.
Salvataggi miliardari di banche e società finanziarie hanno prosciugato le casse degli Stati e prodotto un brutale peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e dei cittadini (a livello mondiale il 10% della popolazione attiva è disoccupata): disoccupazione, povertà, caduta dei salari reali, tagli alle pensioni e perdita dei diritti sociali e lavorativi, perdita del futuro per i giovani.
Dall’altra parte c’è stato un aumento altrettanto brutale della concentrazione della ricchezza: ad esempio, nel paese campione della “democrazia” e della “uguaglianza delle opportunità”, gli USA, oggi l’1% della popolazione concentra nelle sue mani il 40% della ricchezza nazionale, quando 25 anni fa il 12% dei più ricchi ne possedeva “solo” il 33%.
Dall’ingordigia capitalista non si è salvato neanche il pianeta: la devastazione ambientale prosegue a passi da gigante, con tutte le sue conseguenze (cambio climatico, terremoti disastrosi, desertificazione ecc.) e l’esaurimento crescente delle fonti di energia non rinnovabile è una – tra le tante altre cause – dell’aggressione alla Libia, ricca di petrolio, di gas e di acqua. La guerra torna, trionfante, ad essere lo strumento di accumulazione per eccellenza, soprattutto per quello che riguarda le fonti energetiche, senza le quali una società moderna cessa di funzionare.

Ma alla orecchie sempre attente del grande capitale suonano campanelli di allarme. Persino nella vecchia Europa: le lotte durissime dei lavoratori greci, gli “indignados” spagnoli, i riots (disordini) nelle principali città inglesi ricordano che la lotta di classe - come la storia - non è finita, che la ribellione cresce anche “nei paesi sviluppati che hanno intrapreso il cammino verso il sottosviluppo”, come ammettono ormai alcuni economisti.
Spogliato dei propri veli di progresso, futuro, prosperità, il capitalismo mostra il suo volto rapace e sanguinario, non più solo nei paesi da sempre considerati territori da rapinare, ma anche nel suo stesso centro.

Nel Nuovo Mondo i paesi che, in misura e forma diversa, hanno da anni intrapreso la battaglia per liberarsi e riappropriarsi dei loro beni e del loro futuro, dimostrano con il loro cammino - forse lento e difficile ma deciso - che è possibile sconfiggere quel portatore di morte e distruzione che è il capitalismo.

Ci manca, certo, uno strumento fondamentale – il partito comunista, l’organizzazione del proletariato - solo strumento che può garantire che le lotte, per quanto dure, per quanto prolungate, sconfiggano la barbarie del capitale. Ma questo che viviamo non è più tempo di coltivare i propri giardinetti … non è più tempo di limitarsi a denunciare, ad indignarsi, è tempo di organizzarsi.

Anteprima dell’articolo della rivista “nuova unita” - settembre 2011

Daniela Trollio, Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

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