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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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Con quale potere?

A proposito del Documento finale dell’assemblea “Dobbiamo fermarli”

(4 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Questa critica non nasce da un astratto desiderio di purezza dottrinale e di ortodossia politica, ma dalla preoccupazione che i lavoratori italiani imbocchino ancora una volta vie che non portano a risultati effettivi. Molte rivendicazioni contenute nel documento attirano l’interesse delle masse, e una parte di esse corrisponde ai loro bisogni effettivi, ma il problema sta soprattutto negli strumenti che si vogliono impiegare, che, come vedremo, sono assolutamente inadeguati. Con quale potere è possibile raggiungere questi obiettivi? Con quello del governo borghese, sia pure “di sinistra”, sia pure condizionato dalle rivendicazioni dei lavoratori?

La questione del pagamento del debito è di enorme importanza, e ha sempre condizionato in maniera determinante la politica internazionale. I governi che, per viltà, corruzione o incompetenza, hanno ceduto all’alta finanza, sono diventati impotenti burattini nelle mani delle banche, e, quel che è peggio, hanno creato condizioni di esistenza intollerabile per il proletariato e persino per la piccola borghesia. Non a caso, i lavoratori greci stanno lottando contro catene che non differiscono da quelle dei lavoratori tedeschi del primo dopoguerra, per i risarcimenti bellici fissati col trattato di Versailles.

Marx, nel 1854, parlando della situazione spagnola, scriveva: “Tale è il cercle vicieux entro il quale sono condannati a muoversi i governi rivoluzionari immaturi. Essi riconoscono i debiti contratti dai loro predecessori controrivoluzionari come obblighi nazionali e, per riuscire a pagarli, devono continuare a imporre le vecchie tasse e ad accollarsi nuovi debiti. Per procurarsi nuovi prestiti devono fornire garanzie di “ordine”, vale a dire adottare provvedimenti controrivoluzionari. E così il nuovo governo popolare si trasforma all’istante nel servitore dei grandi capitalisti e nell’oppressore del popolo.”(1)

Ovviamente, oggi non ci troviamo di fronte a governi rivoluzionari, ma a reazionari della più bell’acqua, ma l’insegnamento di Marx ha un carattere più generale e inequivocabile: pagare il debito consolida l’aristocrazia finanziaria e le offre le armi con cui può ricattare e subordinare qualsiasi governo.

Nella situazione attuale, pagare il debito vuol dire accettare la schiavitù, non solo per noi, ma anche per i nostri figli e nipoti, questo l’abbiamo detto e lo ribadiamo. Vale per noi, come per i lavoratori statunitensi, argentini, egiziani, greci o francesi. Ma lanciare slogan è facile, dobbiamo anche chiederci con quale potere è possibile opporsi a questo tragico salasso. Rimandare al mittente la lettera della Banca Europea? D’accordo, però, francamente, gli strumenti di lotta individuati nel documento “Dobbiamo fermarli” per costringere il governo a respingere il diktat BCE sembrano un po’ scarsi. Una petizione di massa sul diritto a votare sul vincolo europeo? Quante votazioni in diversi paesi d’Europa hanno condannato lo spirito e la lettera delle decisioni dell’oligarchia europea! Eppure governi, Commissione europea e BCE, sotto gli occhi del pleonastico parlamento UE, sono riusciti a imporre le loro soluzioni con l’inganno e la connivenza dei partiti di destra e di sinistra. E’ una storia vecchia: il PCI e il PSI, con l’aiuto di numerose associazioni, nella seconda metà degli anni ’40 e negli anni ’50 raccolsero milioni di firme per la pace, contro le armi atomiche, contro la Nato e ci fu chi firmò fino a rischiare il tunnel carpale. Risultati? Zero! O, meglio, i risultati si ebbero esclusivamente sul piano elettorale, perché chi firmava spesso votava per i promotori.

Lo strumento di lotta proprio dei lavoratori è lo sciopero, economico e politico. La borghesia è disposta cedere solo quando è colpita nel portafoglio. Solo una lunga serie di scioperi coordinati tra loro potrebbe costringere il governo ad un atteggiamento meno prono e adorante verso la BCE e il Fondo Monetario Internazionale. Ora, molti promotori di “Dobbiamo fermarli” sono dirigenti della CGIL. E’ nota la linea della Camusso: “La Camusso ritiene che gli Eurobond (che in questo momento sono stoppati dalla Germania) non debbano solo essere dedicati allo sviluppo ma debbano anche «incorporare i debiti sovrani»: lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, precisando che la proposta del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, di dedicare gli Eurobond solo alla crescita è «insufficiente». Quanto alla proposta del presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, di non pagare parte del debito, Camusso ha detto che «non è questa la soluzione». E, in una lettera a Repubblica dichiara: “Il governo rappresenta gran parte del problema: la sua uscita di scena è condizione per recuperare credibilità sui mercati.”(2) Cioè, la Camusso vuole recuperare la credibilità dei banchieri, finanzieri, speculatori.

Ammettendo che si riesca, con l’aiuto di qualche sindacato di base, a proclamare lo sciopero per impedire il pagamento del debito o per qualche altra rivendicazione contenuta nella dichiarazione, che farebbe il nuovo movimento? Appoggerebbe la lotta, infischiandosi dei veti della Camusso? E i dirigenti CGIL, a cominciare da Cremaschi, sarebbero pronti a rischiare le misure disciplinari che ciò comporterebbe? Occorre saperlo subito, perché i fraintendimenti e le illusioni favoriscono solo la controparte. Scoprirlo solo al momento della lotta effettiva sarebbe un grave fattore di sconcerto e di confusione. Il lavoratori non sono un reparto militare che può essere tenuto all’oscuro dei mezzi e delle tattiche usate, ma devono conoscere con precisione le forme di lotta e i metodi impiegati.

Leggiamo, poi: “Questo fronte comune non ha scopo elettorale, ma vuole intervenire in maniera indipendente nella vita sociale e politica del paese, per rivendicare una reale alternativa alle politiche del liberismo e del capitalismo finanziario”. Per niente facile per un movimento così eterogeneo, che non è affatto al riparo dall’influenza dei partiti, soprattutto quelli “aperti a sinistra”, come la SEL o il PRC – e quindi, indirettamente, del Pd - tanto più che, almeno a parole, tali partiti sostengono posizioni simili. Ci sono molte associazioni che portano avanti campagne, dalla difesa della donna a quelle per l’integrazione degli extracomunitari, ma prima o poi, spesso obtorto collo, sono costrette a cercare una sponda politica e, mancando un partito di classe, si rivolgono all’opposizione fasulla. L’alternativa non la si può cercare nelle leggi di iniziativa popolare, su cui l’assemblea sembra puntare molto, ma che finiscono nei cassetti di Montecitorio o di Palazzo Madama.

Lungi dal cercare di affrontare tali problemi reali, il documento alza il tiro e propone di scardinare il regime bipartisan, “scendere in campo contro il colpo di stato economico che sta distruggendo la nostra democrazia”, e condurre un’azione a livello internazionale. Rivendica il cambiamento generale della classe dirigente. Ma cosa s’intende per classe dirigente, la borghesia? In questo caso ci vuole una rivoluzione comunista. Se, invece, s’intende il personale politico, non si speri di ottenerlo col sistema elettorale proporzionale. C’era già, eppure la DC ha governato per decenni. E anche se si riuscisse ad eleggere un parlamento “che più bianco non si può”, è noto che il potere reale non sta nel parlamento, ma nei grandi complessi finanziari e industriali, e anche un presunto governo benintenzionato (in un paese imperialista?) avrebbe le mani legate.

L’appello e il documento finale abbondano di richiami alla Costituzione, il che significa che si propone di rimanere entro il quadro della repubblica borghese. Ma il patto sociale stabilito dai costituenti è stato mille volte violato dalla borghesia, e non solo riguardo all’art.11. I promotori si sentono di escludere che nel corso della lotta, i lavoratori si rendano conto della necessità di andare oltre, e di lottare per il superamento del capitalismo e della repubblica borghese?

3 ottobre 2010

Note

1. Karl Marx, “La reazione in Spagna”, scritto 1-2 settembre 1854, pubblicato in New York Daily Tribune - 16 settembre 1854 , in New York Semi-Weekly Tribune - 19 settembre 1854 e in New-York Weekly Tribune - 23 settembre 1854. Tradotto in “Scritti”, febbraio 1854 –febbraio 1855.

2. “La Camusso a Cremaschi: noi il debito lo paghiamo... con gli eurobond”, Fonte:controlacrisi.org.

Michele Basso

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