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Afghanistan, dieci anni bastano. L'esercito accusa i 'suoi' servizi

(8 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Afghanistan, dieci anni bastano. L'esercito accusa i 'suoi' servizi

foto: www.radiocittaperta.it

007 superflui per la sicurezza dei "nostri" in Afghanistan. Le accuse provengono da dentro l'esercito e sono chiarissime e durissime, da non lasciare spazio a interpretazioni.
L'inutilità della presenza degli elementi dell'Aise all'interno del compound dove c'è l'esercito italiano e, soprattutto, la mancanza del livello minimo di copertura di intelligence per prevenire gli attentati contro i militari italiani, la segnala un generale dei paracadutisti, Carmine Masiello.
Classe 1963, Masiello è uscito dall'Accademia di Modena nel 1983 per salire nella scala di comando della Folgore, ha frequentato la Scuola dell'artiglieria Usa e ha avuto ruoli cruciali nelle missioni Unifil in Libano, alle operazioni Provide Comfort nell'Iraq settentrionale, Ibis in Somalia, Implementation Force in Bosnia.
E' pluribrevettato e pluridecorato. Ma è anche un ufficiale che, stanco di tanta inefficienza e di tante morti, a settembre ha preso carta e penna e scritto la durissima reprimenda, inviandola al generale Abrate, Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Uno scontro tra militari e 007 che viene da lontano. E parte proprio dalla storia raccontata il 14 settembre da Liberazione della sciagurata e dilettantesca operazione di debriefing che portò all'individuazione e all'arresto dei componenti della rete clandestina di informatori dell'allora Sismi e allo smantellamento del network di copertura che doveva contribuire a garantire l'incolumità dei soldati presenti in Afghanistan, tant'è che, numeri alla mano, da dopo quel giorno il numero dei morti è triplicato.
Ora le rivelazioni che una ex fonte del Sismi ha fatto a Liberazione trovano una eco importantissima proprio al ministero della Difesa, dove lo scontro in atto tra il generale Masiello e i vertici dei servizi segreti è ai massimi livelli. La lettera di Masiello è dei primi di settembre, da allora l'Aise si è informalmente difeso dicendo che il generale era mosso da rancori personali e quindi non attendibile. Masiello aveva fatto parte dell'Aise fino ad alcuni anni fa, poi era stato messo nelle condizioni di chiedere di ritornare all'esercito. Non cacciato, ma messo nelle condizioni di doversene andare. Qualcun altro avrebbe detto mobbizzato. L'Aise ha mandato in Afghanistan un nuovo gruppo di 007, la cui attività è stata giudicata dai militari ancora inadeguata. A quel punto dai militari in Afghanistan è arrivata a metà settembre una seconda lettera sempre indirizzata al generale Abrate, nella quale si parlava di «nefandezze» e si parla anche di presenza inutile dell'Aise anche «in altre missioni». In particolare, quella in Afghanistan viene definita una missione militare dove si rileva «la completa mancanza di attività di intelligence nell'area».
Intanto Alì, il giornalista pakistano che ha rivelato a Liberazione la vicenda della debacle del network di informatori che l'Italia aveva addestrato per infiltrarli tra madrasse e tribù, ha contattato di nuovo questo giornale aggiungendo altri particolari sconcertanti. Tra i componenti della rete clandestina del Sismi arrestati e torturati dai servizi segreti del Pakistan c'era un medico, Abdul Wadud, che dopo quella vicenda è stato costretto a lavorare per l'Isi, l'intelligence di Islamabad e, ovviamente sotto minaccia di morte, distruggere e danneggiare tutto quello che aveva fatto in favore degli italiani. I servizi segreti pakistani avevano dato a Wadud un cellulare con questo numero +923449833168, attraverso il quale comunicare esclusivamente con l'ufficiale che lo controllava. E' un'altra prova che dopo la scoperta della nostra rete clandestina i pakistani hanno cercato di vendicarsi e anche questo spiega i maggiori rischi corsi dal nostro personale. Ecco come la legge Gigi Malabarba, oggi a Sinistra critica ma fino al 2006 membro del comitato parlamentare di vigilanza, allora Copaco ora Copasir: «Dopo lo smantellamento delle squadre operative dell'ex-Sismi in Medio Oriente e nel mondo arabo, dovute allo spoilsystem operato dal nuovo plenipotenziario dei servizi segreti Gianni De Gennaro, i rischi per i militari italiani impegnati nelle missioni di guerra sono sicuramente aumentati. Ma dalle denunce riportate da Liberazione, che, per le mie conoscenze all'interno del Copaco, ritengo assai attendibili, la situazione appare persino più grave: motivo in più per tornare a mobilitarsi per il ritiro da tutti i teatri di guerra, senza se e senza ma».
Tutto ciò piomba in un'Italia distratta dalla crisi proprio nel decimo anniversario delle prime bombe su Kabul a poche settimane dal crollo delle Torri gemelle. Politica sorda (anche se probabilmente il Copasir si sta muovendo) e giornali muti senza bisogno di legge bavaglio. «Succede che, a differenza dell'Imperialismo ottocentesco, quando ai generali piaceva farsi fotografare con i piedi sulla testa dei cadaveri dei nemici, questo imperialismo umanitario commemora gli attacchi che subisce e nasconde i massacri che produce - dice Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista - quella afghana è una guerra nascosta in cui è palese che l'oggetto della guerra non è la democrazia e nemmeno il narcotraffico. La cosa più impressionante è che a partire dal Presidente della Repubblica nessuno la chiami guerra, come quel vescovo che volendo mangiare carne il venerdì la battezzava carpa. Ma anche in questo si legge la crisi del capitalismo che, negando l'evidenza, aggiunge falsa coscienza a falsa coscienza». «Trovo davvero scandaloso che non se ne parli - dice anche Flavio Lotti, portavoce della Tavola della pace - un mese fa non c'è stato un giornale che non abbia dedicato ampio spazio al decennale dell'11 settembre. Oggi invece il silenzio è totale su una guerra disastrosa che ci vede ancora pienamente coinvolti. Se il primo anno di guerra in Afghanistan ai contribuenti è costato circa 70 milioni di euro, oggi ne costa più di 700, due milioni di euro al giorno».

Checchino Antonini, Liberazione 7 ottobre 2011

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