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(21 Luglio 2012) Enzo Apicella

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Gli effetti della crisi mondiale.

Addio Europa

(6 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in ciptagarelli.jimdo.com

Gli effetti della crisi mondiale.

foto: ciptagarelli.jimdo.com

Vi ricordate dell’Europa risplendente degli ultimi venti anni, del lusso delle strade degli Champs Elysées a Parigi, o della Knightsbridge di Londra? Vi ricordate del consumismo esagerato, delle sfilate di moda a Milano, delle feste di Barcellona e della sofisticazione delle auto tedesche?

Là tutto questo c’è ancora, ma non è più lo stesso. Le città europee sono oggi un calderone di etnie. La miseria ha spinto milioni di africani verso il vecchio continente in cerca della sopravivenza; il muro di Berlino, cadendo, ha aperto la strada perché i giovani dell’Est europeo cercassero all’Ovest migliori opportunità di lavoro; le crisi del Medio Oriente hanno favorito le ondate di nuovi immigranti.

La crisi del capitalismo, iniziata nel 2008, ha attaccato a fondo l’Europa Occidentale. Irlanda, Portogallo e Grecia, paesi sviluppati in piena fase di sottosviluppo, tendono la mano alle banche straniere e si rifugiano sotto l’implacabile ombrello del Fondo Monetario Internazionale.

Il treno è uscito dalle rotaie. La locomotrice – gli Stati Uniti – si è quasi paralizzata, non riesce a tornare alla sua produttività precedente e d è ingorgata nella crescita della disoccupazione. I vagoni europei, come l’Italia, barcollano sotto il peso di debiti astronomici. La festa è finita.

Si prevedeva che l’economia globale sarebbe cresciuta, nei prossimi due anni, da un 4.3% ad un 4.5%. E adesso il FMI avverte: preparatevi, stringete la cintura, visto che non supererà il 4%. Si rimpiange l’anno 2010, quando è cresciuta del 5,1%.

Il mondo è finito gambe all’aria. Europa e USA insieme non cresceranno, nel 2012, più dell’1,9%.

Invece i paesi emergenti cresceranno dal 6,1 al 6,4%. Anche se non sarà una crescita omogenea. La Cina, con l’invidia del mondo, passerà al 9,5%. E il Brasile al 3,8%.

Nonostante il FMI eviti di parlare di recessione, non ha più paura di parlare di stagnazione. Cosa che presuppone la proliferazione della disoccupazione e di tutti gli effetti nefasti che genera. Nei 27 paesi dell’Unione Europea ci sono, oggi, 22,7 milioni di disoccupati. Gli Stati Uniti cresceranno solo dell’1% e nel 2012 dello 0,9%. Molti brasiliani che se ne andarono dal paese in cerca di una vita migliore stanno ritornando.

Di fronte alla crisi di un sistema economico che ha imparato a fare denaro ma non a produrre giustizia, il FMI, che soffre di una cronica mancanza di immaginazione, tira fuori dal cappello la ricetta di sempre: pareggio fiscale, il che significa tagliare le spese del governo, aumentare le tasse, ridurre il credito, ecc. Niente sussidi, niente aumenti di salario o di investimenti che non siano strettamente necessari.

Risultato: il capitale volatile, la montagna di denaro che circola per il pianeta in cerca di una moltiplicazione speculativa, dovrà venire armi e bagagli nei paesi emergenti. Quindi, che questi stiano attenti ad evitare il surriscaldamento delle loro economie. E, per favore – chiede a gran voce il FMI – non riducano molto gli interessi, per non pregiudicare il sistema finanziario e i guadagni del circo della speculazione.

Il fatto è che la zona euro è nel panico. Fino al punto che i governi, senza pericolo di essere accusati di comunismo, si sono preparati a tassare le grandi fortune. Molti paesi si chiedono se non hanno commesso una stupidaggine monumentale nell’abbandonare le loro monete nazionali per aderire all’euro. E guardano con invidia il Regno Unito e la Svizzera, che conservano la loro moneta.

E la Grecia, indebitata fino al collo, che farà? Tutto indica che la soluzione migliore per essa sarà decretare una moratoria (colpendo direttamente le banche tedesche e francesi) e uscirsene dall’euro.

Ma chi esce dall’euro dovrà abbandonare l’Unione Europea. E quindi rimarrà al margine dell’attuale mercato unificato.

Bene, quando appariranno i primi sintomi di questa diserzione, ci deve essere un dio che ci aiuti: code per ritirare il denaro dalle banche, fallimento di imprese, disoccupazione cronica, turbe di emigranti in cerca di un posto al sole che solo Dio sa dov’è.

Negli anni ’80 l’Europa decretò la morte dello Stato del benessere sociale.

Ognuno per sé e Dio per nessuno.

Il consumismo sfrenato creò l’illusione di una perenne prosperità. Ora la bancarotta obbliga governi e banche a prendere coscienza e a ripensare l’attuale modello economico mondiale, basato sull’ingenua e perversa credenza dell’accumulazione infinita.

da: alainet.org, 3.10.2011
(Traduzione di Daniela Trollio Centro di Iniziativa Proletaria “G.Tagarelli” Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)

di Frei Betto (Teologo, scrittore e saggista brasiliano)

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