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Salvate la Sanità

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(28 Novembre 2012) Enzo Apicella
Secondo Monti il sistema sanitario nazionale è a rischio se non si trovano nuove risorse

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La sanità che ammala lavoratori e utenti

Dopo ben 15 anni il Veneto avrà il nuovo Piano socio-sanitario regionale che programma ulteriori tagli di posti letto e ammazza i servizi pubblici

(10 Ottobre 2011)

Dopo ben 15 anni il Veneto avrà il nuovo Piano socio-sanitario regionale che programma ulteriori tagli di posti letto e ammazza i servizi pubblici

Il nuovo piano socio-sanitario appena approvato dalla Giunta regionale del Veneto, con ben 16 anni di ritardo, si rivela un elenco di tagli ai servizi, e non un vero strumento di programmazione.
La regione Veneto tenta così di rientrare dal deficit sanitario, ed evitare il commissariamento, attraverso ulteriori contrazioni dei servizi e abbassando la qualità dell’offerta assistenziale.

Nel chiudere con enorme ritardo il bilancio preventivo per il 2011, la nostra Regione ha dovuto fare i conti, infatti, non solo con la riduzione dei finanziamenti del Governo centrale, ma in particolare con il disavanzo della sanità: un miliardo di deficit che si è impegnata a pagare, con rate poste a carico sempre del bilancio sanitario, entro il 2038.

I tagli ulteriori che si prospettano nella Regione Veneto sono funzionali ad una vera e propria corsa agli appalti con le cliniche, ai laboratori privati, alle cooperative di servizi.

Desta fra l’altro preoccupazione un’ulteriore contrazione della rete dei servizi ospedalieri - i posti letto nel settore pubblico sono già il 40% di trent’anni fa -, in particolare di quelli riguardanti le emergenze e le urgenze.
Forse non tutti lo sanno, ma la mortalità precoce è tanto più alta quanto più ci si allontana dai presidi di pronto soccorso.

Questo nuovo piano rappresenta inoltre l’affondo definitivo sulle politiche di integrazione dei servizi socio-sanitari, la completa assenza di una programmazione degli interventi di prevenzione e di promozione della salute, di attenzione al disagio ed all’immigrazione.

La Regione Veneto, che già dalla fine degli anni ’90, aveva spietatamente scelto di trasferire una quota consistente della spesa dal fondo sanitario, che dovrebbe garantire l’universalità e la gratuità dell’assistenza, alla spesa sociale sostenuta in primo luogo dalle famiglie e, in via secondaria, dagli Enti Locali, decide oggi, in modo definitivo, di separare la sanità dall’assistenza.
Nell’ambito delle patologie della terza età, si è così conclusa la trasformazione del sistema assistenziale in un grande appalto del sistema sanitario, scaricandone le spese prevalentemente sulle famiglie.

Il blocco del turn over sta devastando i servizi: considerato che il sistema sanitario regionale è al collasso la per carenza di personale qualificato che lo faccia funzionare, l’impossibilità di erogare servizi da parte delle strutture pubbliche, chi rischia di favorire, ancora una volta, se non le strutture private ?

L’attuale rapporto infermieri/abitanti risulta essere insufficiente a sostenere il carico delle prestazioni e cure alle quali gli operatori debbono assolvere e pertanto contribuisce ad aumentare le possibilità di errore.
Bloccare il turn over degli infermieri significa creare le condizioni per aumentare la gravità della patologia del paziente, le infezioni, le lesioni da decubito e la mortalità.

Un’organizzazione del lavoro che punta esclusivamente al risparmio, non favorisce certamente la qualità assistenziale, e rende più difficile anche la prevenzione dalle infezioni ospedaliere.

Così mentre da un lato si continuano a bruciare quantità gigantesche di denaro pubblico per spingere verso la privatizzazione, verso consulenze ed incarichi esterni - solo per la revisione legale dei bilanci delle Asl la giunta veneta ha deciso di spendere 3 milioni per il
biennio ‘11-‘12 - dall’altro, proprio con la scusa di riequilibrare i bilanci si continua a risparmiare sempre di più sui lavoratori del comparto e sulla pelle dei cittadini.

Il peggioramento delle condizioni di lavoro nei servizi sanitari procede, infatti, di pari passo con lo scadimento del livello qualitativo delle prestazioni: è vanificata ogni garanzia che assicuri la salute degli operatori, con la riduzione dei loro salari mediante la liquidazione della contrattazione collettiva nazionale e dulcis in fundo, la liberalizzazione dei licenziamenti, con turni di lavoro massacranti e con il mancato adeguamento della messa a norma di sicurezza delle strutture, con le riduzioni dei ricoveri e le dismissioni post operatorie sempre più veloci.
… operatori sanitari in condizioni di schiavitù ?
L'Europa delle banche e della finanza, che ha dettato la recente manovra al governo, incalza una politica che non ha nulla a che fare con una soluzione positiva della crisi, ma della crisi approfitta per dettare un programma economico e sociale ispirato ai canoni fondamentali della teologia neoliberista “meno stato e più mercato”, realizzando una pericolosissima controriforma sociale.

Nella lettera che la Banca Centrale Europea ha inviato lo scorso 5 agosto al Governo italiano, viene richiesta la liberalizzazione dei servizi pubblici locali.
L’obiettivo del potere finanziario che ci comanda è quello di abbassare i salari minimi per legge, come l’India. Questo è il contenuto reale della lettera della Bce al Governo italiano.

Per impedire che si muoia di lavoro per pochi euro di salario
bisogna prima di tutto dire no a Marchionne, Draghi e Trichet.

Bisogna fermare la distruzione dei diritti sociali e il supersfruttamento del lavoro, bisogna rovesciare la filosofia e i poteri della globalizzazione. Solo così si potranno costruire un’altra economia e una società giusta dove non si muoia come a Barletta.

COBAS Sanità che ha aderito all’appello “Dobbiamo fermarli, Noi il debito non lo paghiamo”, ora scende in piazza il 15 ottobre
MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA

COBAS SANITA' Venezia

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