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(26 Maggio 2010) Enzo Apicella
Varata la manovra economica da 24 miliardi di euro: sotto attacco gli stipendi e le pensioni.

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    I lavoratori possono dire basta

    (11 Ottobre 2011)

    La manovra economica colpisce ancora una volta i lavoratori e le loro famiglie con i tagli nella sanità, nei trasporti e nella scuola, l’aumento dell’età pensionabile per le donne, l’aumento delle tasse (benzina, detrazioni IRPEF, IVA, sigarette). Questo non solo riduce da subito i beni e i servizi a disposizione dei lavoratori ma farà diminuire occupazione e consumi e perciò chiudere ancora altre fabbriche.

    Il governo e gli industriali hanno addirittura approfittato della manovra per colpire i diritti sul posto di lavoro permettendo ogni sorta di deroga ai contratti nazionali e alle leggi che i lavoratori si sono conquistati con decenni di lotte.
    Questa è solo l’ultima conseguenza degli accordi scandalosi firmati da CISL e UIL con il Governo e i padroni (Pomigliano, Mirafiori, ecc.). L’accordo del 28 giugno ha poi aperto la strada fin nei particolari all’art. 8 del Governo e la firma della CGIL, senza alcun mandato dei lavoratori, ha vanificato in anticipo la generosa partecipazione allo sciopero generale del 6 settembre.

    Il Governo, la Confindustria e i parassiti che dagli anni ’80 si sono arricchiti grazie a una spesa pubblica fatta di elargizioni, sprechi e corruzione e in questo modo hanno gonfiato il debito pubblico ci vengono a dire che il debito viene dalla spesa sociale e dal livello dei salari e delle pensioni.
    Dobbiamo rispondere che sono i lavoratori a produrre tutta la ricchezza. Salari, pensioni e servizi sociali sono solo la parte, sempre più piccola, della ricchezza prodotta che rimane ai lavoratori.

    Il blocco dei salari e l’attacco alle pensioni ripropone oggi quello che è stato fatto negli anni ’90: una politica che ha trasferito ricchezza dai salari ai redditi da capitale e ai circuiti finanziari e che dimostra oggi il suo completo fallimento: non solo non ha ridotto il debito pubblico, ma ha direttamente generato le cause della crisi di oggi.
    L’aumento del debito pubblico è stato provocato dal grande e crescente divario tra i salari e i redditi delle altre classi, che sfuggono al prelievo fiscale e finiscono nella finanza internazionale senza contribuire agli investimenti produttivi. Classi che pesano enormemente sul bilancio dello Stato perché ottengono in mille forme molto più di quanto non versino.
    La crisi può perciò essere affrontata solo tagliando e tassando questi redditi.

    Dobbiamo avere chiari i punti decisivi dello scontro in atto:
    - Solo la difesa intransigente dei salari e delle condizioni di lavoro costringerà al taglio e alla tassazione dei redditi delle altre classi. I compromessi, oltre a peggiorare immediatamente le condizioni dei lavoratori, aggraverebbero ancora gli effetti e le cause della crisi attuale.
    - Le pensioni dei lavoratori non sono spesa pubblica, ma solo la restituzione dei contributi pagati. Le pensioni potrebbero anzi aumentare del 30 per cento se si mettesse fine all’evasione contributiva, stimata in 40 miliardi l’anno, e si adeguassero i salari alla media europea. Inoltre lo Stato deve ancora ai lavoratori decine di miliardi di attivi INPS usati per altri scopi.
    - I lavoratori dipendenti e i pensionati pagano oggi l’82 per cento del totale dell’IRPEF, pari a 120 miliardi su un totale di 146. Una quota altissima, sempre crescente e aumentata del 10 per cento negli ultimi 15 anni. Tanto più che nello stesso periodo i salari e le pensioni hanno perduto una quota dell’8 per cento del PIL, pari oggi a 120 miliardi di euro l’anno.

    Tutto questo dimostra che non c’è niente da contrattare né compromessi da considerare. I lavoratori devono respingere con decisione ogni politica di compromesso e cedimento su salari, pensioni, diritti, condizioni di lavoro e servizi sociali. Chi oggi propone cedimenti e compromessi lo fa solo per non mettere in discussione una politica economica e fiscale al servizio di classi parassitarie.
    Le risorse vanno reperite nei capitali, nei patrimoni e nei redditi gonfiati da anni di questa politica, ormai delegittimata e indifendibile per i suoi evidenti effetti distruttivi sull’intera società.

    RSU FIOM PIAGGIO

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