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    Appuntamento con la storia

    (13 Ottobre 2011)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

    Appuntamento con la storia

    foto: www.radiocittaperta.it

    In fondo era prevedibile. Fin da subito, le forze socialdemocratiche hanno lavorato per rompere il “fronte di massa” che ha iniziato a prendere forma in vista del 15 ottobre.
    Del resto, da personaggi quali Vendola che, in tutta tranquillità, arrivano a identificare la cultura ebraica con il sionismo e il popolo ebraico con il fascismo israeliano, sarebbe ingenuo aspettarsi comportamenti diversi.
    In apparenza, a scatenare la contraddizione all’interno del “blocco” per il 15 ottobre, vi sarebbe una “semplice” questione di percorso. Da un lato, i socialdemocratici, spingono per una manifestazione classica, distante cioè dai Palazzi, mentre le organizzazioni di classe ipotizzano di portare la Strada sotto i Palazzi. Ovviamente, anche sul piano meramente simbolico, si tratta di due ipotesi non solo diverse ma opposte. Da un lato, infatti, c’è una sorta di riproposizione puramente “ritualistica” del conflitto; dall’altra la decisione di portarlo proprio dentro il cuore, almeno sul piano locale, del politico. Ma le differenze non si fermano a ciò. Percorso a parte, a caratterizzare la manifestazione delle forze socialdemocratiche, sarà la parola d’ordine: Cambiare l’Europa, cambiare l’Italia mentre, sull’altro versante, le forze in campo si muoveranno dietro l’indicazione: Noi il debito non lo paghiamo.

    Nel primo caso abbiamo la sintesi di un progetto politico assolutamente indistinto con contenuti riconducibili, grosso modo, a chiunque. Persino Borghezio e Forza Nuova potrebbero, con un po' di sforzo, sfilare dietro quello striscione, così come la stessa Confindustria sarebbe in grado di ritagliarsi uno spazio non secondario. Ben diverse le cose per quanto riguarda la parola d’ordine Noi il debito non lo paghiamo. Nella sua essenzialità questa dice semplicemente una cosa: la crisi è vostra, la crisi è del modo di produzione capitalista, non pagheremo noi i vostri guasti e disastri.

    Ma tutto ciò cosa comporta? Perché, di fronte a un programma politico assolutamente ragionevole come questo, la socialdemocrazia è entrata immediatamente in fibrillazione? Perché ha dovuto, sin da subito, cercare di disintegrare il “fronte unico di massa”? Le risposte non sono né complicate, né difficili. Tutti, ormai, persino coloro che per anni hanno irriso i marxisti, devono ammettere che le contraddizioni proprie del modo di produzione capitalista sono ben lungi dall’essersi eclissate e che, la portata della crisi attuale, è tale da far rimpiangere persino il fatidico 1929. È evidente, pertanto, che davanti a noi si profila una stagione all’interno della quale il politico dovrà sino in fondo esercitare la decisione. Tradotto in soldoni, ed ecco ciò che terrorizza la socialdemocrazia, tutto ciò significa che i costi della crisi dovranno essere fatti pagare senza troppi fronzoli. A svolgere tale funzione non potrà che essere una forma statuale adeguata per intero all’attuale fase imperialista. Alternative, molto realisticamente, non sembrano esservene. O si marcerà dentro i diktat degli organismi politici ed economici sovranazionali oppure si entrerà direttamente in rotta di collisione con questi. Affermare di non voler pagare il debito non significa, solo e semplicemente, diventare “morosi” ma - questo il punto - rompere con l’Europa delle Banche e delle Multinazionali.

    Perché ciò sia possibile è indispensabile immaginare una forma statuale, ossia un potere politico, che si attrezzi in ogni senso per reggere l’impatto che una simile decisione inevitabilmente si porta dietro. Costruire il “fronte di massa” contro il debito significa, pertanto, mettere sul piatto, sin da subito, la questione del potere politico e le classi sociale che lo devono esercitare. Da questa strettoia sembra obiettivamente difficile scappare.

    Per le forze socialdemocratiche che, almeno nel nostro Paese, aspirano a entrare in un governo di coalizione con i partiti politici dirette emanazioni del potere imperialista, i giochi si complicano. Da un lato, infatti, devono continuare ad ammaliare quelle masse di subalterni che ancora le seguono; dall’altra sanno di non dover spaventare i loro alleati politici, primo tra tutti il PD. Così, reiterando la modalità politica più classica dell’opportunismo, si muovono dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Da un lato giurano sulla necessità strategica di unire le masse in un unico fronte al fine di non subire gli attacchi a trecentosessanta gradi portati da Banche e Multinazionali mentre, in contemporanea, ne minano le fondamenta.

    Pertanto occorre, dentro il movimento di massa, chiarire senza ambiguità che cos’è la scadenza del 15 ottobre e a che cosa mira. Il 15 ottobre deve essere emancipato sia dalla dimensione inconcludente e fine a se stessa dell’evento per l’evento, così come non deve essere sovraccaricato di aspettative immediatiste. In poche parole non dobbiamo trasformarlo in una kermesse ma, con molto realismo, non dobbiamo neppure pensare di essere di fronte a un momento già pre-rivoluzionario. Più concretamente, siamo di fronte a un passaggio, di grandissima valenza, finalizzato alla costituzione di un “fronte di massa” internazionale. Il 15 ottobre è, pur con tutta la sua importanza, una tappa non la tappa. Da lì è possibile iniziare a misurare, finalmente su un piano liberato dal localismo, la consistenza di una linea di classe internazionalista.

    Ma questa linea, il 15 ottobre, non ce la consegna già bella e pronta. Compito del 15 ottobre è fornire dei corposi elementi intorno ai quali ragionare ed agire in termini di “pensiero strategico”. In quella data non verrà certo portata - solo un infantilismo tanto prono alla frase rivoluzionaria quanto impotente lo può pensare - la spallata decisiva al potere della borghesia imperialista bensì, in un'ottica tipicamente leniniana, servirà ad accumulare forza. Solo a partire da tale accumulo sarà possibile iniziare a smuovere i primi passi concreti verso una lotta sempre più serrata contro il potere delle Banche e delle Multinazionali sul piano internazionale. Il “fronte di massa” deve rendere inquieto e “indignato” ogni lembo delle metropoli imperialiste. Attraverso l’accumulo di forze possiamo realisticamente pensare di mettere in prospettiva sotto assedio i centri vitali delle politiche finanziarie ed economiche dell’imperialismo e far maturare, tra le masse, la necessità di porsi la questione del potere politico. Questo è un punto.

    Accanto a ciò dobbiamo altresì tenere a mente quell’insieme di masse subalterne che ancora oggi in maggioranza seguono le organizzazioni socialdemocratiche e neoriformiste. Escluse le direzioni, composte da nemici giurati del proletariato, e le (ancora per poco) solide nicchie di aristocrazia operaia che è facile ipotizzare coltiveranno il più a lungo possibile l’alleanza con le forze imperialiste, all’interno delle forze socialdemocratiche sono presenti anche quote non indifferenti di operai, precari, proletari e piccola borghesia in via di declassamento. Costoro, ovviamente, non sono nemici. Nei loro confronti occorre, con pazienza e tenacia, svolgere un lavorio di agitazione e propaganda costante. Occorre far entrare gli interessi concreti e materiali di questi strati subalterni in contraddizione con le organizzazioni d'appartenenza. Un'impresa che, oggi, non appare troppo proibitiva poiché è la natura stessa della crisi a chiudere, al dunque, le bocche dei neoriformisti.

    Chiediamogli infatti se, una volta al governo, saranno in grado dare risposte concrete e reali alle necessità e alle esigenze delle masse che vorrebbero rappresentare.

    Poniamoli semplicemente ma in continuazione queste domande:

    1) Siete in grado, una volta andati al governo, di ritirare immediatamente tutte le presenze militari impegnate, a vario titolo, in operazioni di guerra nel mondo? Siete in grado di fare la pace o, come già nel passato, continuerete a votare i crediti di guerra?

    2) Siete in grado di porre definitivamente fine alla condizione di esclusione sociale alla quale il lavoro precario conduce oggettivamente o, come avete fatto nel recente passato, lo renderete ancora più esteso?

    3) Siete in grado di alzare i salari e/o garantire il reddito alle masse di disoccupati?

    4) Siete in grado di garantire alle masse servizi e protezione sociale o vi caratterizzerete per le vostre politiche di tagli e privatizzazioni?

    5) Siete in grado di por fine allo scempio della scuola pubblica e garantire il “diritto allo studio” effettivo per le masse subalterne?

    6) Siete in grado di chiudere i campi di concentramento per immigrati o, come avete fatto nel passato, ne prevedete l’ampliamento?

    7) Infine, ma non per ultima, va domandato se, una volta al governo, saranno in grado di por fine agli “sperperi della politica” o una volta entrati nelle varie stalle di Auge ne assimileranno per intero usi e costumi?

    La lista potrebbe essere ovviamente ben più lunga ma questi scarni quesiti sembrano già sufficienti per chiudere all’angolo le forze socialdemocratiche e neoriformiste e aprire gli occhi a quelle masse di subalterni che ancora ripongono in loro qualche speranza.

    Nei prossimi mesi si gioca una partita decisiva per i rapporti di forza tra le classi. La costruzione e il consolidamento di un “fronte di massa” ne è l’elemento cardine. Lì si gioca, per intero, la capacità delle avanguardie leniniste di agire da partito.

    Karla e Kamo

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