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Boicottaggio: la sua avversaria è israeliana, promessa della scherma tunisina non gioca

(13 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Boicottaggio: la sua avversaria è israeliana, promessa della scherma tunisina non gioca

foto: www.radiocittaperta.it

13-10-2011/17:32 --- Il gesto di una giovane atleta, di una ragazza tunisina, ha riportato pochi giorni fa all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale la battaglia contro l'occupazione della Palestina da parte di Israele. E' successo durante i Mondiali di Scherma in corso a Catania.

Sara Besbes, tunisina, e Noam Mills, israeliana, si erano già affrontate, nel girone di qualificazione, un anno fa ai Mondiali di Parigi con la vittoria della Besbes, da molti ritenuta una delle migliori giovani spadiste africane.

Ma l'11 ottobre a Catania, dopo il via del giudice di gara, la Besbes è rimasta immobile, con la spada rivolta verso terra, ricevendo le cinque stoccate che le hanno fatto perdere l'incontro.

L’atleta tunisina ha seguito la richiesta della sua Federazione di non combattere contro l’avversaria perché israeliana. Così Sara è salita in pedana, per non essere squalificata, ma é rimasta ferma subendo le cinque stoccate che hanno decretato la sua sconfitta per 5-0.

Non è il primo boicottaggio contro Israele in ambito sportivo. Solo 24 ore prima l’iraniano Sayyad Ghanbari Hamad, anch’egli tiratore di scherma in gara ai Mondiali, si è ritirato piuttosto che affrontare il suo avversario israeliano Tomer Or. La scorsa estate il nuotatore iraniano Mohamed Alirezaei si è rifiutato di partecipare ai cento metri stile dorso perché tra gli atleti partecipanti c’era anche un israeliano. Il sollevatore di pesi Hossein Khodadadi è stato espulso dalla nazionale iraniana per avere partecipato a una competizione insieme a colleghi israeliani.

Alla tennista israeliana Shahar Pe’er fu impedito di partecipare al Campionato di Dubai nel 2009 a causa del boicottaggio in corso nei confronti delle rappresentanze sportive del suo paese.

L’incontro dell’11 ottobre è finito in pochi secondi. Pare che le due atlete, senza scambiarsi parole, si siano ritirate ai rispettivi angoli della piattaforma piangendo. La risonanza data dai media all’episodio è stata molto flebile e si è fermata alla superficie di questa questione estremamente complessa attorno a stereotipi comuni sul mondo arabo, accusato di utilizzare Israele quale capro espiatorio per evitare di fare i conti con la propria realtà. «Fino a quando abbiamo Israele che ci permette di sentirci vittime, gli orrori che abbiamo perpetrato tra di noi rimarranno irrilevanti» il commento di una giornalista egiziana.

Il presidente della Federazione Italiana di Scherma e vice presidente della Federazione Internazionale Scarso l'ha presa male e nelle sue dichiarazioni fa finta di non capire: "Quello che ha richiamato l'attenzione è che è successo con un'atleta tunisina. Fino a qualche tempo fa non si era mai posto questo problema, anche incontrando atleti israeliani, viceversa in questa circostanza l'hanno fatto anche loro. Mi auguro sia un fatto isolato e non porti a un irrigidimento su queste posizioni, che non farebbe bene allo sport. Non si può neanche pensare di fare gli abbinamenti cercando di evitare in tabellone certe sfide. Più di questo non possiamo fare, è un problema che va al di là della Federazione Internazionale".

Commenta il blog 'Polvere da sparo': "Ha scelto di non gareggiare, ma non di ritirarsi. Ha deciso volutamente di rimanere ferma e di subire le cinque stoccate che valgono per la sconfitta, perché certo di vittoria non si può parlare. Una forma di boicottaggio allo stato di Israele, lo stesso che persevera scientificamente nella pulizia etnica della terra di Palestina e nel mantenimento di un regime di Apartheid all’interno dei suoi confini, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Una forma di boicottaggio che deve essere costata molto ad una donna che ha costruito una vita per combattere su quella pedana, e che immobile ha deciso di lasciare la vittoria a chi, da più di 60 anni, è abituato a vivere in uno Stato che abitualmente infierisce su un corpo disarmato per poi chiamarla vittoria".

Claudia Cucco per Radio Città Aperta

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