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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Pacifisti, riformisti e cicisbei

(28 Marzo 2004)

Difficile ragionare con freddezza in un momento così convulso, segnato dall'assassinio del leader spirituale di Hamas, lo sceicco Yassin, e dall'attesa di eventi che non potranno non essere tragici. Difficile anche trovare le parole per esprimere il disprezzo verso un ceto politico tanto cinico quanto inetto, quale è il ceto politico della sinistra italiana, a vario titolo impegnato nello smantellamento delle ragioni che hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone, in quella che era una manifestazione convocata per il ritiro delle truppe di occupazione dall'Irak, ma i cui contenuti sono stati oggetto di tentativi di stravolgimento e mistificazione quali non si vedevano da anni.
Per cosa sono scesi in strada i DS, che non hanno voluto e non vogliono il ritiro delle truppe dall'Irak? Che ci faceva Rutelli in piazza, pronto a rilasciare l'ennesima raffica di interviste contro le ragioni stesse dei pacifisti? E di quale isolamento dei violenti va cianciando Bertinotti, ormai calatosi a fondo nel ruolo di ruotino di scorta del Triciclo?
La contestazione verso Fassino era scontata, e il gruppo dirigente DS ha fatto di tutto per capitalizzarla politicamente, con l'obiettivo di mettere nell'angolo e zittire il sempre più forte dissenso interno e vicino; a questa operazione non è estraneo il cicisbeo rifondarolo, che ha a sua volta l'obiettivo di rappresentare il "suo" partito come l'altra gamba della sinistra, insieme a quella "riformista" rappresentata unicamente dal Triciclo. Naturalmente, la condizione perché si realizzi il sogno dei vecchi compagni di merende torinesi è che il PRC appaia sì come la "sinistra radicale", ma non prima di aver definitivamente abiurato ogni antagonismo, ogni velleità di trasformazione ed essere approdato alla religione della nonviolenza senza se e senza ma. Di qui, i latrati contro i "violenti" contestatori e la difesa appassionata delle ragioni della presenza alla manifestazione anche di chi non aveva nulla a che spartire con le ragioni della manifestazione stessa. Quando Fassino - come ha annunciato - si recherà a Nassirya per rendere omaggio alle nostre truppe di occupazione, cosa farà Bertinotti? Gli porterà premurosamente la valigia con il pigiama e lo spazzolino da denti?

Mentre scriviamo, sugli schermi dei nostri normalizzatissimi tg scorrono le immagini delle manifestazioni di rabbia e di protesta che attraversano tutto il mondo arabo. Ad ulteriore testimonianza di quanto le due occupazioni siano intrecciate l'una all'altra, è proprio in Irak che si manifesta con più forza l'esasperazione per l'arroganza assassina di Israele e per l'impunità riconosciutale da una "comunità internazionale" che non ha alcuna intenzione di andare oltre le parole di condanna. Hamas è stata recentemente dichiarata dall'Unione Europea organizzazione terroristica e, conseguentemente, i suoi fondi depositati all'estero messi sotto sequestro; ora che il terrorismo di Stato israeliano è nuovamente sotto gli occhi di tutti, qualcuno crede che verranno adottate sia pur blande sanzioni diplomatiche e commerciali nei confronti di Tel Aviv? Del resto, anche sul versante del ceto politico di movimento ben pochi le chiedono ed ancora meno sono quelli che le vogliono sul serio. Le lobby sioniste sono ben presenti nei posti chiave della politica e dell'informazione di sinistra, non meno che in quelle di destra.
Eppure, non c'è altra strada da perseguire che non sia quella del boicottaggio dell'economia di guerra israeliana e dell'economia di guerra in generale, a cominciare da quella nordamericana. Boicottaggio dal basso, certamente, attraverso il rifiuto dell'acquisto di ogni prodotto israeliano e perlomeno delle aziende statunitensi più significative e coinvolte nell'economia di guerra, come la Esso (e ci piacerebbe sapere perché tanti compagni hanno abbandonato quasi subito questa campagna, che - per ottenere qualche risultato - non può che essere una campagna quotidiana e di lunga durata). Ma non solo boicottaggio dal basso, libera scelta di coscienza individuale: occorre anche lottare affinchè aziende ed enti pubblici sospendano ogni collaborazione con Israele, esattamente come avvenne con successo nei confronti del Sudafrica razzista. La vicenda dell'ACEA romana può essere di esempio: prima la protesta di singoli utenti, che hanno inondato di e-mail la direzione dell'azienda, poi l'occupazione dell'azienda hanno messo la parola fine ad ogni tentativo di collaborazione nella rapina delle acque palestinesi. E' necessario agire analogamente nei confronti, per esempio, di quegli enti locali e di quelle università che continuano ad intrecciare rapporti con Israele, senza dimenticare che non sono solo i Palestinesi a chiedercelo, ma gli stessi cittadini democratici ebrei di Israele e di tutto il mondo; non accogliere e rilanciare i loro appelli significa rendersi complici del fanatismo assassino di Sharon e Mofaz e dei loro amici internazionali, sia neocons che riformisti.

Arcipelago

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