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Lettera a un compagno italiano sull'appello: “Noi il debito non lo paghiamo. Dobbiamo fermarli”

(16 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Tu mi proponi di dare un giudizio sull’appello uscito dalla riunione del 1° ottobre : “Noi il debito non lo paghiamo. Dobbiamo fermarli”.

Vorrei innanzitutto ricordare brevemente ciò che avevo cercato di spiegare alla riunione di Genova alla quale mi avevi invitato : perché la parola d’ordine « non pagare il debito » dovrebbe essere al centro della nostra attività; questo significa difenderla in seno alle organizzazioni sindacali, ma anche nelle assemblee dei giovani o dei lavoratori che possono riunirsi in funzione dello sviluppo della lotta delle classi.

Da quella riunione, il 3° piano d’austerità per i lavoratori greci, il fallimento di Dexia e la collocazione all’ordine del giorno della ricapitalizzazione pubblica delle banche, non hanno fatto che confermare quanto la questione del pagamento o meno del debito fosse una questione centrale.

Michael Spence, economista, premio nobel 2001, professore alla Business School della New York University, pretende di avere un’alternativa all’austerità "massacrante" che i lavoratori greci si vedono inflitta dal loro governo. Innanzitutto constata i rischi, per l’ordine borghese, che fa correre il 3° piano d’austerità :

"(…)Dopo quest´ennesimo passo falso (…) bisogna che la Ue e la Bce mettano in piedi i meccanismi per permettere un´ordinata uscita della Grecia dall´euro. E devono farlo in fretta: questa dev´essere la vera priorità e l´emergenza. Basta con questa dissipazione improduttiva di denaro (…) Quando parlavo di passo falso mi riferivo non alla questione del deficit, che ieri il governo ha verificato con la Troika essere sopra le aspettative, ma proprio alla misura che Atene ha prospettato: il taglio di altri 30mila dipendenti pubblici. È insostenibile per il rischio altissimo di rivolte popolari violente, che peraltro sono già cominciate. La Grecia rischia una rivoluzione, rischia di essere messa a ferro e fuoco dalle gente esasperata per questa lunga agonia: vale la pena, per restare nell´euro?»

Il giornalista gli chiede : qual è la soluzione?

«E´ l´uscita dall´euro. Finché si è in tempo, la si può gestire in modo ordinato e limitare i danni. Che ci saranno, ma saranno limitati nel tempo. Comunque la Grecia resterà legata all´Europa che non l´abbandonerà al suo destino. Uscire dall´euro non significa essere scacciati dal consesso civile. Ma è l´unico modo per recuperare competitività. Deve svalutare e attuare misure di austerity, quelle sì, penalizzanti ma non massacranti." (Da "La Repubblica" del 3 ottobre).

Ma cos’è se non una svalutazione competitiva, particolarmente in questo contesto di crisi mondiale del capitalismo, se non una riduzione drastica di tutti i salari e delle pensioni? Accompagnata, inoltre, da "misure d'austerità" quale differenza farebbe, alla fine, per i lavoratori e i giovani? Non si potrebbe, involontariamente senza dubbio, mostrare in modo migliore fino a che punto, nel quadro dell’economia capitalista, il solo futuro è l’aggravamento senza limiti delle condizioni di vita, di lavoro e di studio per le più larghe masse.

La crisi aperta nel 2007 mette in piena luce come le banche giochino un ruolo agli antipodi di ciò che ci si potrebbe attendere in una società organizzata per rispondere ai bisogni della maggioranza. Il fenomeno dei subprime è stato un primo rivelatore, la "crisi del debito pubblico" ne è un altro.

Il debito pubblico è una conseguenza della crisi del sistema capitalista, e non il contrario.

Ma né l'uno né l'altra sono le cause della crisi del sistema capitalista, al contrario, ne sono le conseguenze. L'estensione illimitata del credito nel settore immobiliare negli USA aveva per ragione principale la necessità di mantenere in attività un settore decisivo dell’economia, e ciò non poteva avvenire che in modo artificiale, la crisi di sovrapproduzione lo esige.

Lo stesso per il debito pubblico. E’ innanzitutto la conseguenza meccanica dei tentativi ricorrenti dei governi borghesi di superare la crisi cronica del capitalismo, dovuta alla caduta tendenziale del saggio di profitto : aiuti sempre più numerosi alle imprese, riduzione delle imposte ai più facoltosi, spese di sicurezza, spese militari e per gli interessi sul debito, ecco che cosa ha contribuito a gonfiare questo debito da anni. L’esplosione della crisi ha spinto questo sostegno al capitalismo a un livello sconosciuto prima: salvataggio e rivalorizzazione delle banche, sovvenzioni all’industria automobilistica, diminuzioni degli oneri e delle imposte per molteplici settori...

L’esempio di stati che si trovano oggi sull’orlo della bancarotta dimostra chiaramente il carattere insostenibile di questa strategia. Questo accrescimento continuo del debito pubblico che accompagna i tentativi ricorrenti di superare gli ostacoli all’accumulazione del capitale, alla fine ne costruisce di altrettanto insormontabili. La crisi del debito sovrano, che infuria già da due anni in Europa, e che, fatte salve le proporzioni, raggiunge attualmente gli Stati Uniti, finisce di dimostrare che il modo di produzione capitalistico nel suo insieme fa fallimento. (I compagni che vogliono approfondire queste questioni potranno consultare le “note sulle crisi del capitalismo” in “Combattre Pour le Socialisme” n. 44 che apparirà su "socialisme.free").

La parola d’ordine « non pagare il debito » è eminentemente politica, in una parola, è rivoluzionaria. In effetti, la sua realizzazione è impossibile per un governo che difende la proprietà dei mezzi di produzione, in quanto l’annullamento del debito ha per corollario l’espropriazione delle banche (che è cosa assai diversa dalla loro “nazionalizzazione”). Allora, ci si potrebbe chiedere, come, nella situazione attuale in cui la classe operaia prende colpo su colpo, si può avanzare una parola d’ordine così improntata all’offensiva ?

Not our debt ...

Dopo lo slogan : « questa crisi non è la nostra », che è sorto spontaneamente nel 2007 nelle manifestazioni dei giovani italiani, lo striscione in testa alla manifestazione degli studenti romani del 7 ottobre portava la scritta: « Not our debt, no solution : global révolution », se lo si avvicina ai tentativi degli studenti milanesi di attaccare le banche, gli istituti di credito, e la Borsa, anche se non è ancora sorto un movimento cosciente per il socialismo, è giocoforza constatare che la questione del pagamento del debito e del ruolo delle banche è ora posta a una scala di massa. Bisogna dunque rispondervi. E per questo definire un orientamento che apra alla lotta per aiutare i lavoratori e i giovani a demolire gli ostacoli a una mobilitazione che cominci a rovesciare il corso attuale della lotta delle classi.


Dovunque in Europa gli apparati burocratici (sindacati, PS, PC,…) si levano per il pagamento del debito, “il controllo dei deficit” :


Partiamo dalla Francia: il 18 agosto, le organizzazioni sindacali della Francia: CGT, FSU, Solidaires, CFDT, UNSA hanno firmato una dichiarazione comune la cui sostanza si riassume in due frasi :

" Per l'intersindacale, risposte nuove che privilegino l’occupazione, la coesione sociale, la riduzione delle ineguaglianze, il potere d’acquisto, un’altra fiscalità, un controllo del debito pubblico sono urgenti.
L'intersindacale riunita oggi, chiede che si realizzi una vera concertazione sociale col governo e il padronato, per esaminare le misure da prendere per sostenere la crescita, l’occupazione e ridurre il debito, pur garantendo la coesione sociale (sottolineatura mia).
Fin d’ora l'intersindacale ritiene indispensabile l'intervento dei salariati (…)"


Questo mese il parlamento deve adottare un bilancio che assegna al pagamento del debito il primo posto (48,8 miliardi contro 45,5miliardi per l'insegnamento scolastico, cioè più di tre quarti del prodotto dell’imposta sul reddito), un bilancio che sopprime 30.000 posti di statali. L'intersindacale, rispettosa del « controllo del deficit pubblico » e della « riduzione del debito » indice una giornata di lotta per l’11 ottobre, senza dire una parola del bilancio, senza dichiarare uno sciopero, senza una manifestazione centrale: un sostegno pieno e completo al governo.

In questo periodo i candidati alle primarie del PS disputano su come fare meglio del... governo Sarkozy in materia di riduzione del deficit. Il candidato alle presidenziali della coalizione sostenuta dal PCF si è distinto per il fatto che ha attaccato violentemente quei lavoratori che s'opponevano all’orientamento dei dirigenti sindacali, che rifiutavano di rompere con la politica concertativa sulla controriforma delle pensioni l’autunno passato.

Bisogna pure decifrare la posizione emblematica di una certa “sinistra radicale”, che si riepiloga in questa dichiarazione del NPA :

" In Francia, siamo ben lontani dalla situazione del settembre 2010, in cui una giornata di sciopero e di manifestazioni era annunciata e preparata per il 7 settembre. Quest’anno, la data fissata è l’11 ottobre e la forma non è ancora precisata. Ma ancora più allarmante, la dichiarazione intersindacale, che accettando di riprendere per conto suo l’obiettivo della «riduzione dei deficit», lascia spazio alla propaganda governativa sull’inevitabile rigore. In numerosi settori, tuttavia, riunioni di militanti, assemblee di rientro dalle ferie, la tonalità è differente, numerosi militanti sindacali si rifiutano di farsi arruolare nell’unione sacra e decidono di preparare l’11 ottobre come una prima tappa, una condizione per sperare un domani .(…)
Più gli scioperi saranno numerosi, più le manifestazioni saranno importanti e combattive, migliori saranno le condizioni per preparare il seguito, costruire le convergenze. "

Dopo avere constatato che l’intersindacale si unisce a Sarkozy per la "riduzione dei deficit" e dunque la giornata di lotta dell’11 si colloca integralmente nel quadro della politica di concertazione delle direzioni sindacali, il NPA le apporta il proprio sostegno, “di sinistra”, evidentemente! Sostegno confermato nella riunione della direzione nazionale della FSU (principale federazione sindacale del personale della pubblica istruzione), in cui i membri eletti del NPA hanno votato contro la parola d’ordine “non pagare il debito” e contro la proposta di una manifestazione nazionale davanti al parlamento, al momento della discussione del bilancio.

Niente di molto differente dalla pratica dei leader della Rete 28 Aprile che pronunciano frasi contro la politica concertativa della direzione della CGIL, per poi vedere nell’appello allo “sciopero generale” del 6 settembre una rottura con questa politica, sciopero generale dopo del quale la Camusso ha (confermato) aggiunto la sua firma all’accordo del 28 giugno!

Ricordiamo la nota della Cgil del 6 agosto, che rende conto dell’incontro col governo del 4 :

" Dopo l'appello alla coesione del presidente Napolitano, le parti sociali hanno inteso lanciare un appello al Governo ed all'opposizione affinché di fronte all'emergenza si praticassero azioni di responsabilità e straordinarietà per rilanciare la crescita e l'occupazione, unica via per rispondere al bisogno di lavoro e far riprendere la produzione di reddito e ridare fiducia ai mercati " (sottolineatura mia).

Nessuna illusione può essere mantenuta su questo orientamento (condiviso dai loro colleghi di Spagna, Portogallo, Inghilterra, …). Un orientamento che guida le giornate di lotta, scioperi e manifestazioni dislocate, che evitano accuratamente i luoghi del potere, la cui funzione reale è di svuotare lavoratori e giovani dalla volontà di affrontare il governo per sconfiggerne la politica.

Combattere per non pagare il debito, contro i piani d’austerità, comporta la lotta per la rottura dei sindacati con la borghesia:

Da questo punto di vista occorre esaminare l’appello del 1° ottobre.

Prima constatazione, si pronuncia per il non pagamento del debito, il che segna una differenza con le posizioni della direzione della CGIL. Un po’ dopo si legge:

" Ci impegniamo a portare i temi affrontati in questa assemblea diffusamente in tutto il territorio nazionale, costruendo un movimento radicato e partecipato. Così pure vogliamo approfondire il singoli punti della piattaforma con apposite iniziative e con la costruzione di comitati locali aperti alle firmatarie e ai firmatari e a chi condivide il nostro appello. (…)
Nel mese di dicembre, a conclusione di questo percorso a cui siamo tutti impegnati a dare il massimo di diffusione e partecipazione, verrà convocata una nuova assemblea nazionale, che raccoglierà tutti i risultati e le proposte del percorso e che definirà la piattaforma, le modalità di continuità dell’iniziativa, le mobilitazioni e anche eventuali proposte di mobilitazione e di lotta. "


Nel caso in cui questo impegno sia seguito da una vera campagna d’organizzazione (costituzione di comitati locali) non è assurdo riflettere a quello che dovrebbe contenere la piattaforma perché sia un punto d’appoggio per i movimenti che potrebbero svilupparsi in primo luogo tra i giovani.

Tralascio le questioni trattate da Michele Basso per limitarmi a qualche proposta.

" Nazionalizzare le banche ". Attenzione, nello stesso giorno, (9 ottobre) i rappresentanti dei governi francesi e belgi si incontrano, e la nazionalizzazione di una parte di Dexia è presa in considerazione. Si tratterebbe, in questo caso, di una « socializzazione delle perdite » di cui i salariati sarebbe chiamati a fare le spese.
Se si tratta della lotta per l’annullamento del debito, si deve dire « espropriazione delle banche senza indennità di riscatto », evidentemente ciò esclude ogni combinazione per sostituire a Berlusconi un governo di salvezza... della borghesia.

" Per l'ambiente, i beni comuni, lo stato sociale ". Il concetto dei "beni comuni" è direttamente estratto dalla dottrina sociale della chiesa, il cui ideale è il corporativismo. Il capitalismo subordina alla ricerca del profitto tutti gli aspetti della vita sociale, lasciamo i vescovi predicare che il capitalismo è la realizzazione della volontà di dio, parlare di "beni comuni" quando la proprietà delle banche e delle grandi imprese è privata, è un artificio retorico da denunciare.

" Per il diritto allo studio nella scuola pubblica ". Perché non sia una posizione vuota di contenuto e di fronte alla collera che si manifesta tra insegnanti e gioventù scolarizzata, non sarebbe il caso di precisare : « ristabilimento dei posti soppressi dal 2008, abrogazione delle riforme Gelmini? »

" Siamo contro l'accordo del 28 giugno e l'articolo 8 della manovra". Bene. La denuncia del patto con la Confindustria non si discute. Ma ci si può fermare qui ? Molti promotori di questo appello hanno posti di responsabilità nella Cgil. Perché non invitano a una battaglia interna per il ritiro della firma in tutte le forme possibili : prese di posizioni di sezioni sindacali, firme di petizioni, delegazioni alla direzione…? Sarebbe indicare una via per un processo di riconquista del sindacato da parte dei lavoratori.

" Intendiamo costruire un fronte comune di tutte e tutti coloro che oggi rifiutano sia le politiche del governo Berlusconi, sia i diktat del governo unico delle banche. Diciamo no al vincolo europeo che uccide la nostra democrazia ".

Quale delle seguenti raccomandazioni della BCE sarebbe contraria a ciò che la borghesia italiana, PD compreso, chiede di realizzare al governo italiano ?

a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.

b) C'è anche l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.
L'accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.

c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.

Anzi, ci sono rivendicazioni formulate dalla Confindustria e dai partiti borghesi del paese (rileggere i nove impegni per la crescita pubblicati ne "Il Sole 24 ORE" del 16 luglio e la lettera di Bersani allo stesso giornale del 5 Agosto : "Il PD pronto al confronto sulle 5 priorità"). Particolarmente significativo e vergognoso per la direzione della CGIL il fatto che la BCE si possa poggiare sull’accordo del 28 giungo per rivendicare la liquidazione del diritto del lavoro, un accordo che non potrebbe essere più italiano e più concertato !!!!

Allora perché mantenere questo riferimento al « governo unico delle banche » che getta un velo pudico sulle responsabilità della borghesia italiana, quando essa è precisamente il nemico da combattere ? Non è indifferente notare che il termine « borghesia » è assente dal testo.

Ecco rapidamente brevemente alcune annotazioni su un testo, che (a mio avviso) non si può difendere così com’è, ma il cui titolo potrebbe attirare lavoratori e giovani, dei quali sarebbe interessante sviluppare la riflessione.


13 ottobre 2011

Jean-Louis Roussely

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