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(20 Ottobre 2011) Enzo Apicella

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“Doveva essere un giorno di festa” Peccato…

(17 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Se non state attenti, i media
vi faranno odiare
le persone che vengono oppresse
e amare
quelle che opprimono!
(Malcom X)


Sarò un cattivo maestro ma, francamente, di fronte al coro unanime di “vibrate condanne” contro i “provocatori-blackblock-delinquenti-infiltrati-canaglie-sbirri-fascisti-ecc.-ecc.”, che vede accomunati nello stesso furore “non-violento” l’intero apparato politico da Berlusconi a Diliberto (passando per Cicchitto e La Russa, Casini e Fini, Bersani e Di Pietro, Vendola e Ferrero) non riesco a reprimere un conato di vomito.
Un coro unanime che ha condannato “l’inaudita violenza” (attorno agli stadi, a volte, abbiamo visto di peggio ma quella era “violenza liberatrice”, “comprensibile” valvola di sfogo, funzionale al mantenimento della “temperatura sociale” sotto i livelli di guardia). Un coro di “violenti” che, come sempre, cerca di rivestire con paludati richiami alla democrazia, alla convivenza, alla nobiltà degli ideali che dovrebbero ispirare i movimenti sociali (anche quando rivendicano l’elementare diritto alla sopravvivenza fisica), il tanfo reazionario e la paura di classe che li caratterizza ... e la cattiva coscienza di chi sulla violenza - quella fatta di bombe e di massacri di intere popolazioni - non ha mai perso l'occasione per dare il suo convinto sostegno (ricordate Diliberto che invocava i forconi contro il buon Turigliatto che di votare i crediti di guerra non ne voleva proprio sapere?)

Il copione dell'ignobile teatrino è già noto.
C’è chi non si lascia sfuggire l’occasione per stringere e rinsaldare le fila del “partito dell’ordine”, scatenando la canea forcaiola che chiede sangue e manette, preparandosi – e preparando l’opinione pubblica - a tempi peggiori in cui il conflitto sociale, che si appalesa all’orizzonte, farà apparire banali scaramucce gli scontri di piazza San Giovanni.
C’è chi esprime tutto il suo disappunto per non essere riuscito a incanalare la protesta nei “normali” binari di una manifestazione festosa e … assolutamente innocua sui cui partecipanti pescare a piene mani nelle prossime vicine elezioni politiche. Eppure perfino Draghi si era speso, indicando la strada della “comprensione” e del recupero delle ragioni dei manifestanti nel tentativo, a dire il vero troppo ambizioso, di recuperare consensi alle politiche di saccheggio che sarà impegnato a perseguire nei prossimi mesi.
Ci sono poi i soliti sciacalli che fanno a gara per dimostrare la propria “affidabilità” in vista di future alleanze e del loro tanto agognato rientro fra i banchi di Montecitorio.
E i soliti “compagni che sbagliano”, e che "sbagliano" al punto di criminalizzare la rabbia spontanea di quattro ragazzini menandoli e consegnandoli alla polizia … per il seguito di loro competenza (continuo a non voler credere che qualcosa del genere sia successo e che qualche “compagno” possa sentirsi gratificato dall’encomio pubblico di un rottame dello squadrismo militante del calibro di Alemanno).
C’è, infine, l’ingenua sorpresa di chi (parlo dei ragazzi non certo degli organizzatori), dopo aver sognato per mesi rivoluzioni lontane vissute fra video di you tube e social forum in cui si minacciava “la fine del mondo”, si ritrova in mezzo al fumo dei lacrimogeni e all’acqua gelata degli idranti e scopre che la realtà non è un videogioco che si possa resettare premendo un tastino.
In tutti i “commenti”, comunque, c’è una mistificazione di fondo e il disonesto tentativo di individuare la causa della “violenza” nell’azione irrazionale di qualche scheggia impazzita che – opportunamente diretta da provocatori addestrati nei corridoi della Digos - colpisce il buon diritto di una maggioranza pacifica che voleva solo manifestare in maniera legale e giudiziosa.

“Doveva essere un giorno di festa”. Un giorno come tanti nel mondo in cui viviamo. Un mondo – secondo quello che vorrebbero farci credere – in cui i rapporti sociali sono improntati a una francescana convivenza pacifica, un mondo in cui sono rispettati i diritti e la dignità di tutti. Un mondo di fratelli (non quelli incappucciati della Massoneria!) in cui la violenza è la pratica di pochi “delinquenti” da isolare, sbattere in galera, magari (domani) eliminare in qualche stadio attrezzato alla bisogna.
Un mondo di educati padroni che ti succhiano il sangue dandoti del lei e dove ti è perfino permesso di protestare, evitando di calpestare le aiole, responsabilmente, con juicio; un mondo senza violenza … se non fosse per qualche decina di provocatori infiltrati che “odiano la democrazia” e che “con il loro comportamento irresponsabile” giustificano chi ha sempre detto che le classi dominate sono piene di teste calde e non meritano la benevolenza di chi ha il potere.
Peccato (si è davvero un peccato banchiere Draghi!) che la realtà che viviamo ogni giorno è ben diversa, e con la violenza ci conviviamo ogni minuto della nostra vita pur non avendola scelta e pur amando – sicuramente più di tanti professionisti della non-violenza – la pace di una vita vissuta nel rispetto dei propri simili, con un lavoro che realizzi la nostra umanità e che non ci degradi al livello di una macchina.

E allora, visto che perfino l’elementare buon senso è diventato merce rara, proviamo a ripetere quella che, per qualsiasi sfruttato che ha vissuto sulla propria pelle il ricatto della disoccupazione o che ha visto morire di lavoro il compagno che gli stava accanto (ne muoiono 3 al giorno ufficialmente solo per “incidenti” e quelli che sopravvivono di certo non arrivano a 60 anni con la gioviale freschezza di Luca Cordero di Montezemolo) è una verità perfino banale.
E’ la società capitalista che si basa sullo sfruttamento della maggioranza della popolazione ad essere violenta. Ed è questa violenza, l’espropriazione del lavoro altrui ad opera di una ristretta minoranza di parassiti che sta alla base dei rapporti economici e si ripercuote su ogni forma di rapporto sociale, familiare, interindividuale, la “madre” di tutte le violenze.
E’ la violenza delle fabbriche marchionnizzate dove non hai tempo nemmeno per pisciare (a mangiare ci hai già rinunciato da tempo). Del lavoro nero e “illegale” (di una illegalità contro la quale non si mai visto un celerino usare il suo manganello) nel buio di fetidi sottoscala, dove vivi una esistenza da zombi in attesa che un crollo provvidenziale ti conduca a miglior vita.
E’ la violenza delle periferie-ghetto dove marciscono milioni di giovani senza presente e senza futuro con l’unica speranza di riscatto nella “sicurezza” che può dare una pistola sotto l’ascella, buona per ammazzare (per conto della mafia o per conto dello stato non fa poi tanta differenza) altri disperati che hanno il solo torto di aver scelto di nascere nella parte sbagliata della società o del mondo.
E’ la violenza su intere generazioni massacrate dal business dell’eroina che porta vagonate di soldi (che notoriamente non puzzano) all’economia “pulita” dei mercati finanziari.

E’ la violenta arroganza di classe di chi, possedendo tutto, compra, sporca, uccide chi nulla ha.

E’ la competizione, la sopraffazione violenta, il credo della società in cui viviamo. Che cosa vi aspettate? Che l’enormità dei crimini di cui siete responsabili, il dolore, le umiliazioni, la rabbia, l’odio non tracimino oltre le scatole di patinata propaganda con la quali avete confezionato la nostra miseria?

Non occorre aver studiato Marx, basta saper leggere (e saper far di conto) per capire cosa ci preparano i programmi della borghesia (e i desiderata di BCE e Confindustria): più lavoro e più sfruttamento per i pochi che avranno la fortuna di rimanere occupati, più lavoro con ritmi più intensi e inumani, più lavoro sottratto a favore del profitto. Più lavoro e senza diritti, ratificato dalla legge e cofirmato da sindacati felloni. Più fatica e meno salario.
Per gli altri disoccupazione a costo zero. Pensioni di pura sopravvivenza, ospedali da terzo mondo, niente scuole in cui studiare ne case in cui abitare.
E se proprio nemmeno questo basterà per rilanciare le sorti progressive dell’economia capitalista, la guerra contro il nemico di turno (e la distruzione programmata delle immense masse di prodotti che nessuno riesce più a comprare) è dietro l’angolo. E con la guerra la militarizzazione del paese, la reazione, l’eliminazione di ogni forma di opposizione anche di quelle manifestazioni “colorate e festose” che fanno tanto bene alla “democrazia” e fanno andare in brodo di giuggiole i suoi ben pagati sacerdoti.

Pensare che sia possibile evitare il conflitto, o incanalarlo all’interno di un processo regolato che possa farci superare “tutti assieme” gli effetti della crisi, è pura idiozia.
Se il debito non lo vogliamo pagare, qualcuno deve pure rinunciare a esigere il suo credito. Pensate davvero che una classe che ha il potere politico, militare, giudiziario (che ha uno stato eretto a sua difesa e a difesa della sua proprietà) possa graziosamente e masochisticamente rinunciare alla sua vita dorata senza combattere?
Cosa faremo, domani, quando il conflitto si farà più aspro e gli spazi di agibilità si restringeranno? Il servizio d’ordine, armato e violento, contro chi non marcia gioiosamente e gioiosamente muore arrotato dai blindati?
O istituiremo ronde di indignati-doc, con tesserino ministeriale, per costringere gli sfrattati ad allontanarsi pacificamente dalla propria casa espropriata, non prima di aver lasciato tutto in ordine e ben spazzato?
Oppure ci mobiliteremo, muro umano e mani alzate, per impedire a chi, cacciato dalla fabbrica, e magari non proprio contento di dover passare il resto della propria vita in una tenda di fortuna sia pure benedetta dal parroco del quartiere, vuole rientrarci per forza?
E quando “orde” di “senza nulla” saccheggeranno (lo hanno già incominciato a fare) i negozi pieni di merci irraggiungibili? E quando i bulloni sostituiranno le poco efficaci monetine lanciate contro chi predica la nostra austerità dal predellino della sua auto di lusso?

Nessuno pensa che assaltare qualche banca, bruciare qualche auto, perfino scontrarsi con la polizia in assetto di guerra sia “il preludio della rivoluzione sociale”, ma il problema della violenza, del suo uso, della sua oggettiva necessità, è un problema che non può essere ignorato ne, peggio, affrontato con la logica del questurino.
Semmai dovremmo interrogarci sul come e verso quali obiettivi indirizzarla questa violenza. Ma questo è un compito troppo arduo per gli epigoni nostrani di una sinistra che ha sostituito Rosa Luxemburg con madre Teresa.

17 ottobre 2011

Mario Gangarossa

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