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(3 Agosto 2011) Enzo Apicella

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Rapporto Provincia di Pavia: 1 su 3 con contratto a termine

"Dimenticati" nel rapporto cassaintegrati, disoccupati, in mobilità, morti sul lavoro, migranti

(22 Ottobre 2011)

I dati arrivano dalla Provincia di Pavia, la quale ha raccolto le informazioni dei centri per l’impiego territoriali di sua competenza.

Il quadro generale evidenzia il grande ricorso a contratti lavorativi a termine rispetto a posizioni piu’ stabili. Ne consegue che i dati sull’occupazione nella nostra provincia andrebbero rivisti con una cadenza quantomeno trimestrale.

Prendiamo qui in analisi la pubblicazione relativa al secondo trimestre del 2011 (periodo da aprile a giugno 2011), quella cioè piu’ aggiornata: i dati sottolineano una “lieve ripresa” in pressochè tutti i settori lavorativi, con l’eccezione del vecchio “settore primario”, l’agricoltura. Scontato sottolineare il dato di genere secondo il quale l’occupazione maschile risulta essere ancora maggiore rispetto a quella femminile: il 53% per i primi, il 47% per le altre.

Il report redatto dalla Provincia di Pavia, inoltre, risulta acritico e matematico in termini assoluti dal momento in cui si limita a confrontare i dati occupazionali del secondo trimestre dell’anno in corso rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Evidente il fatto che molti dei contratti a scadenza (vuoi che siano a chiamata, a progetto, a tempo determinato, di collaborazione ecc.) si siano nel frattempo esauriti o siano in via di risoluzione,senza alcuna garanzia per chi ne sta usufruendo o ne abbia già usufruito.

Un discorso ulteriore e non meno importante meriterebbe il capitolo sul caporalato e sul lavoro nero in genere, fenomeno che coinvolge molti dei cittadini e dellle cittadine del nostro stato ed in forma maggiore quella massa di “invisibili” non censiti da alcun rapporto istituzionale (se non per fini di propaganda xenofoba, con dati comunque inflazionati) rappresentati da quelle persone che il nostro Paese bolla come “extracomunitari” o peggio “clandestini”.

I dati inerenti alle cause di cessazione del rapporto di lavoro sono ulteriormente indicativi ed accendono pià di una luce su quella realtà quotidiana che pochi avvertono giorno dopo giorno: la prima causa di cessazione, tra 15 voci in capitolo, resta la fine del rapporto lavorativo precario, con oltre il 52% dei casi; insospettiscono quei 55 casi di interruzione di lavoro a causa “decesso”, che riaprono comunque si voglia il capitolo su quelle che le istituzioni blandamente continuano a chiamare “morti bianche”, di molto ridotte nelle statistiche ufficiali perchè anche queste escludono la schiera degli “invisibili” lavoratori/trici nel nostro Paese.

E’ in ogni caso il lavoro precario ad essere premiato: oltre il 60% dei lavoratori e delle lavoratrici in regola secondo la Provincia di Pavia ha in tasca un contratto a termine: un lavoratore/trice su 3 risulta interinale, ovvero in balia delle agenzie di lavoro (2700 circa su 8500 circa). Lo specchio della situazione del Paese non risparmiala decantata “locomotiva d’Italia” regione Lombardia: dati ancora peggiori possono essere ricavati dalla metropoli milanese, in proporzione.

Gli unici contratti che registrano una flessione sono quelli fissi (tempo indeterminato) e quelli che fanno da anticamera, per i giovani lavoratori/trici, ad un rapporto lavorativo stabile, ovvero quelli di apprendistato: tra tutt’e due, si è bruciata una percentuale di poco inferiore al 20%.

Inutile sottolineare che la maggior parte dei posti di lavoro bruciati si registra nell’industria, per quanto rimasto nella nostra provincia: di quell’Oltrepo Pavese così attivo nel sttore della meccanica poco resta, salvo rare eccezioni; il calzaturiero della bassa Lomellina comincia ora, forse, a riprendere in parte il passo, fermo restando che resta l’area provinciale pià penalizzata.

Mentre il rapporto istituzionale pone l’accento e la chiave di lettura in termini padronali (e ci mancherebbe che non fosse così…) è importante leggere questo rapporto, per parziale e poco obiettivo che sia, in chiave classista: ogni dato riferito al lavoro si riconduce semplicemente a nuclei familiari, singole e singoli, molti con figli e familiari a carico, che affrontano ogni giorno una realtà sempre meno agibile ed aspra.

Il ruolo sociale di lavoratrici e lavoratori non può che essere quello, riconfermandolo, di opposizione di classe, che non si fermi alla “indignazione” verso finanza, banche e mercati, ma che ponga come obiettivo primario di antagonismo il nemico da affrontare ogni giorno, sopra tutto e su tutti: il padronato. Questo pare averlo dimenticato e/o sottovalutato lo stesso sindacalismo di base, troppo preso forse a raccogliere i rigurgiti di piazze poco politiche (in senso lato) e troppo esasperate da un’informazione volutamente sviante, incompleta quando non pacificatrice.

Mattia Laconca - CUB Pavia

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